Menu
logo new2015 ok logo appStore logo googleStore

Quando mio padre curò il Papa ferito

ATTENTATO wojtyla

Non è facile a distanza di tanto tempo ordinare i ricordi di un pomeriggio di maggio di 40 anni fa. I ricordi personali si sono mescolati e saldati con quelli familiari e con le tante immagini viste negli anni ed è difficile distinguere tra ciò che è effettivamente ricordo di qualcosa vissuto quel giorno e ciò che è stato visto, vissuto ed ascoltato dopo.
Per attenermi ai ricordi, utilizzerò i riferimenti di orari presenti negli appunti di mio padre relativi a quel giorno.
In quel pomeriggio di maggio assolato a Roma, quaranta anni fa, io e mio fratello eravamo a studiare in stanze separate, come sempre, mia madre era in cantina e mio padre (medico personale del Papa e Direttore dei Servizi Sanitari dello Stato della Città de Vaticano) era in ufficio.
Sapevamo che generalmente si affacciava alle udienze per vedere se andava tutto bene.
Si sentiva il rumore di elicotteri in cielo. Squillò il telefono e risposi io. Era Lorenzo Pozzo, allora direttore della Federazione nazionale della stampa italiana e amico da decenni di mio padre e di tutta la famiglia, che mi chiese se mamma era in casa, e, a seguito della mia risposta negativa, se c’era mio fratello maggiore. Gli diede la notizia che avevano appena sparato al Papa.
Mia madre tornò dalla cantina e la informammo.
Uniche fonti di informazioni, in quel mondo ormai lontano, erano la televisione e la radio.
Accendemmo la prima e passammo le ore a vedere e ascoltare le edizioni straordinarie, angosciati per la sorte di Giovanni Paolo II e chiedendoci dove fosse papà e se gli fosse successo qualcosa.
Solo dopo sapemmo che quel giorno, per caso (o per intervento della Provvidenza, sarebbe meglio dire) mio padre aveva posticipato il passaggio in Piazza ed era rimasto in ufficio, approfittando della presenza in Piazza San Pietro di un altro medico a cui aveva demandato un primo controllo. Questi lo chiamò. “Hanno sparato al Papa” gridò.
L’assenza dalla Piazza al momento dello sparo consentì a mio padre di non rimanere bloccato nella folla e di potere attendere l’arrivo dell’ambulanza.

A casa probabilmente, perché non ne ho un chiaro ricordo, arrivarono e si fecero telefonate, ma certo non si ebbero informazioni.
Le sensazioni erano miste, incredulità, angoscia per il Papa, un po’ di ansia per il capofamiglia (anche se non ricordo particolari timori che fosse rimasto ferito anche lui), desiderio di sapere e di capire. L’assenza di telefoni cellulari, oggi sembra un’epoca preistorica, impediva comunicazioni dirette.
E’ strano ripensare ad un mondo dove le informazioni erano veramente centellinate.
Forse, perché non so se è proprio di quel pomeriggio, una riflessione sulla facilità di compiere un simile atto ci fu.
La sera arrivò la prima telefonata di papà, per dire che la situazione era grave e di pregare per il Papa. Ripiombammo nel silenzio e nell’assenza di informazioni.

Seguendo gli appunti di mio padre, questo è quello che era successo quel pomeriggio.
“Ore 17.19 di mercoledì 13 maggio 1981 In Piazza San Pietro esplodono due colpi di arma da fuoco che colpiscono Giovanni Paolo II. La jeep bianca lascia velocemente la Piazza e raggiunge la Direzione dei Servizi Sanitari dello S.C.V.
Il Papa viene deposto a terra nell’androne dell’edificio e sommariamente da me visitato. Il Papa è cosciente, obbedisce ai comandi elementari, muove le gambe, ha tutti i polsi arteriosi pulsanti.
E’ notata una piccola macchia rossa sulla fascia che cinge l’abito bianco.
Il Santo Padre è adagiato sulla barella di una delle due ambulanze sopraggiunte. Alle ore 17,29 l’ambulanza parte e, varcato il cancello di Sant’Anna, si dirige al Policlinico Gemelli per mia disposizione, convalidata dal Segretario (l’allora don Stanislao Dziwisz).
Durante il percorso la sirena dell’ambulanza si blocca e l’autista rimedia pigiando disperatamente il clacson.

Durante il viaggio la veste del Santo Padre viene sollevata, si osservano i pantaloni impregnati di sangue, si nota la frattura delle falangi distali del secondo dito della mano sinistra e la ferita di striscio del gomito destro. Durante il trasporto la pressione arteriosa si riduce senza raggiungere livelli critici.
Nell’ambulanza il Santo Padre si lamenta con gemiti sommessi ed invoca ininterrottamente in polacco “Gesù, Maria madre mia”.

Alle ore 17,36 l’ambulanza raggiunge il Policlinico Universitario Gemelli”.
L’auto della polizia, che scortava l’ambulanza e avrebbe dovuto farle strada, l’ha seguita per tutto il percorso non riuscendo a superarla.
“Alle 17.50 il Santo Padre è sul letto operatorio. Alle 23.25 termina l’atto chirurgico”.
Mio padre tornò a casa il giorno dopo per riposarsi per poco tempo e per cambiarsi il vestito, macchiato del sangue del Papa.

Circa trent’anni più tardi sono venuto a sapere da chi era allora ragazzo e lavorava nella tintoria dove fu portato a lavare, che per un attimo pensarono di non lavare il vestito del medico macchiato di sangue del Papa, dicendo che si era perso.
Il giorno dopo la vita riprese. Abituati e istruiti a negare il fatto che nostro padre fosse il medico del Papa, l’intervenuta ufficialità della sua presenza fece sì che il nostro segreto da mantenere, e di cui eravamo sicuramente orgogliosi, non avesse più motivo di essere.
Ricordo però ancora un particolare.
Il giorno prima dell’attentato, il 12 maggio 1981, il Papa aveva compiuto una visita ufficiale alla Direzione dei Servizi Sanitari dello S.C.V.. All’uscita aveva pronunciato le parole "Arrivederci presto”.
Credo che nessuno dei presenti le abbia mai dimenticate.


Paolo Buzzonetti

Pubblicato il 13 maggio 2021.

Ascolta l'audio

Altri articoli...

  1. Non ci sono più bambini
  2. «3479 km di speranza»: il Sermig ha incontrato l'As.So.Fa
  3. La giustizia oltre la pandemia
  4. Casa don Camminati, un segno concreto di amore
  5. Il Vescovo al Campus Agroalimentare Raineri-Marcora
  6. «Volevo andare a Formosa, Manfredini mi mandò al Peep»
  7. «I miei quarant'anni da infermiera»
  8. Il Vescovo ha incontrato la comunità Islamica di Piacenza
  9. 5 maggio, giornata nazionale contro la pedofilia
  10. Rotary Piacenza e Caritas insieme a sostegno dei più deboli
  11. «Don Eliseo ha voluto bene alla nostra Chiesa»
  12. Don Eliseo ci ha insegnato a vivere la libertà della coscienza
  13. L’umano oltre la pandemia
  14. San Giuseppe Operaio, l'oratorio si apre al quartiere e alla città
  15. Fism: "le nostre scuole e la visione cristiana della vita"
  16. Suor Antonella: «Ogni uomo ha una sua dignità e deve poter fiorire»
  17. Mons. Cevolotto: don Eliseo, un’anima della nostra Chiesa
  18. CdS, una «compagnia» nella ricerca del lavoro
  19. Don Eliseo e gli Eremi della diocesi
  20. Fotografie e racconti, raccontateci la felicità in famiglia
  21. Con don Eliseo il mio primo «4mila»
  22. Don Eliseo, un grande dono per tutti
  23. Il rosario la nostra forza
  24. Perché quella bomba non è esplosa
  25. Don Eliseo, il primo sacerdote della diocesi a laurearsi in sociologia
  26. Don Eliseo, modi pacati e fuoco interiore
  27. Don Eliseo, quando un prete «ti cambia la vita»
  28. Don Eliseo e i preti della mia giovinezza
  29. Il grazie del Vescovo al Germoglio
  30. «Don Eliseo, sono qui per confessarmi»
  31. Don Eliseo, «un prete del Concilio»
  32. La Chiesa oltre la pandemia
  33. Le Suore della Provvidenza da Piacenza all'Africa
  34. Don Conte, un prete innamorato di Dio e della sua comunità
  35. Dallo studio dei satelliti alla povertà francescana
  36. La Madonna Sistina di Raffaello «ritorna» a Piacenza
  37. Suor Gil: perché ho fatto la suora
  38. Adolescenti e revenge porn
  39. «Scommettiamo sugli adolescenti»
  40. «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito»

"Il Nuovo Giornale" percepisce i contributi pubblici all’editoria.
"Il Nuovo Giornale", tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), ha aderito allo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

Amministrazione trasparente