La voce delle Chiese del sud del mondo alla COP30 di Belém

Papa Francesco, con l’enciclica Laudato si’ (LS) del 24 maggio 2015, dedicata alla “cura della casa comune”, è stato punto di riferimento per coloro che avevano preso sul serio l’emergenza climatica e ambientale, in modo particolare le Chiese del sud del mondo. Riporto questi pochi punti dell’enciclica, che riguardano i Paesi del sud globale.
La riflessione di papa Francesco
“Gli impatti più pesanti dei cambiamenti climatici probabilmente ricadranno nei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo. Molti poveri vivono in luoghi particolarmente colpiti da fenomeni connessi al riscaldamento e i loro mezzi di sostentamento dipendono fortemente dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’ecosistema, come l’agricoltura, la pesca e le risorse forestali” (LS n. 25).
“Spesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che colpiscono particolarmente gli esclusi. Essi sono la maggior parte del pianeta, miliardi di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera un mero danno collaterale” (LS n. 49).
Le diseguaglianze e il debito ecologico
“L’inequità non colpisce solo gli individui, ma Paesi interi e obbliga a pensare ad un’etica delle relazioni internazionali. C’è infatti un vero «debito ecologico», soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni Paesi” (LS n. 51). Si è appena conclusa a Belém, “la porta dell’Amazzonia”, Brasile del Nord-Est, la trentesima Conferenza delle Parti (COP30), della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Il documento delle Chiesa del Sud del mondo
Sulla traccia della Laudato si’ e incoraggiati dalle parole di papa Leone XIV che invitava ad affrontare “le ferite causate dall’odio, dalla violenza, dal pregiudizio, dalla paura della differenza e da un paradigma economico che sfrutta le risorse della terra ed emargina i più poveri”, il 1° luglio scorso è stato presentato nella sala stampa della Santa Sede a Roma il documento dal titolo impegnativo: “Un appello per la giustizia climatica e la Casa Comune: conversione ecologica, trasformazione e resistenza alle false soluzioni”. Promotori del documento sono i vescovi delle Chiese del sud del mondo: Asia, Africa e Madagascar, America Latina e Caraibi. I vescovi hanno voluto mettere le mani avanti in vista della Conferenza mondiale sul clima, la COP30. I lavori sono stati coordinati dalla Pontificia Commissione per l’America Latina (Pcal).
“Non c’è giustizia climatica senza conversione ecologica”
“Il documento è il frutto di un processo sinodale di discernimento spirituale e comunitario tra Chiese sorelle del Sud globale. Il suo messaggio è chiaro: non c’è giustizia climatica senza conversione ecologica, non c’è conversione ecologica senza resistenza alle false soluzioni”. Così si è espresso il cardinale Jaime Spengler, arcivescovo di Porto Alegre, Brasile, presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, come anche del Consiglio Episcopale Latinoamericano.
Gli interessi nascosti
E afferma in modo deciso: “Denunciamo il mascheramento degli interessi sotto nomi come «capitalismo verde» e «economia di transizione», che perpetuano logiche estrattiviste e tecnocratiche. Rifiutiamo la finanziarizzazione della natura, i mercati del carbonio, le cosiddette ‘monoculture energetiche’ senza consultazione preventiva, la recente apertura di nuovi pozzi petroliferi, ancora più grave in Amazzonia e l’estrazione abusiva in nome della sostenibilità. La conversione ha un prezzo da pagare: o abbiamo il coraggio di decisioni oppure metteremo in pericolo il futuro delle prossime generazioni”.
“L’Africa non è un continente povero”
Gli ha fatto eco il cardinal Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa e portavoce delle Chiese africane: “L’Africa è una terra ricca di biodiversità, minerali e culture, ma depauperata da secoli di estrattivismo, schiavitù e sfruttamento. L’Africa non è un continente povero, è un continente saccheggiato. E oggi il continente che inquina meno paga più caro il costo dell’inquinamento globale”.
L’appello ai paesi sviluppati
Interviene anche il cardinale Filipe Neri Ferrão, arcivescovo di Goa e Damão, a nome delle Chiese dell’Asia: “Il nostro messaggio di oggi non è diplomatico, ma pastorale. È un appello alla coscienza di fronte ad un sistema che minaccia di divorare il creato, come se il pianeta fosse solo un’altra merce. È necessario che i Paesi più sviluppati riconoscano e si assumano il loro debito sociale ed ecologico, in quanto principali responsabili storici dell’estrazione delle risorse naturali e delle emissioni di gas serra”. Il documento illustra gli impegni di queste Chiese del sud del mondo: difesa dei più deboli nelle decisioni su clima e natura; promozione di sistemi basati sulla solidarietà, la sobrietà felice e i principi della saggezza ancestrale; rafforzamento di un’alleanza intercontinentale tra i Paesi del sud del mondo; costituzione di un osservatorio sulla giustizia climatica per monitorare i risultati delle Conferenze mondiali sul clima.
Oggi l’attenzione è rivolta alle tragiche guerre, particolarmente in Ucraina e a Gaza, inoltre c’è la questione spinosa dei dazi... Sarà ascoltata questa voce oppure ancora una volta, come denunciava Laudato si’ n. 49 sopra citata, finirà in appendice di un ennesimo documento non decisivo per la sorte del pianeta?
Don Mauro Bianchi
Pubblicato il 25 novembre 2025
Ascolta l'audio


