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Il cardinale Baggio a Piacenza per Scalabrini: «La diversità è una ricchezza»

Baggio copia


“Siamo chiamati oggi a vivere e diffondere la cultura dell’incontro, un incontro alla pari tra i migranti e le persone del Paese che li accoglie. Per far crescere la fraternità e l’amicizia sociale, siamo chiamati ad essere creativi, a pensare fuori dagli schemi e assaporare la ricchezza dell’incontro delle diversità”: è, in sintesi, il mandato affidato da papa Francesco il 10 ottobre 2022 agli Scalabriniani il giorno dopo la canonizzazione in piazza San Pietro del loro fondatore, mons. Giovanni Battista Scalabrini. Ora, a quasi tre anni da quel giorno, Piacenza celebra la memoria del Santo, che guidò la diocesi come vescovo dal 1876 al 1905. Mercoledì 4 giugno alle ore 18.30 nella Cattedrale è in programma la messa presieduta dal card. Fabio Baggio, scalabriniano, sotto-segretario del Dicastero vaticano per il Servizio dello sviluppo umano integrale. Il Porporato, classe 1965, sacerdote dal 1992, è stato a lungo impegnato in America latina; prima a Santiago del Cile e poi a Buenos Aires come direttore del Dipartimento per la migrazione dell’Arcidiocesi e segretario nazionale delle Pontificie Opere Missionarie Argentina. Ha operato anche nelle Filippine e d è un compositore di musica liturgica. Nel 2016 il ritorno in Italia per l’impegno alla Santa Sede; il 7 dicembre 2024 è diventato cardinale.

Obbligati a lasciare la propria terra


Cardinal Baggio, il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale è nato nel 2017. I suoi ambiti d’azione spaziano dall’ecologia all’economia, dalla sicurezza al fronte dei migranti: che movimenti, che cambiamenti, che tensioni oggi avverte nel mondo dal suo punto di osservazione in questi ambiti?
 Il nostro è un osservatorio privilegiato. Siamo in contatto con le Chiese locali nel mondo nei duecento Paesi legati alla nostra realtà. È il nostro modo per raccogliere le sfide che salgono dal mondo alla Pastorale sociale. In questo terzo millennio si sono presentate sfide nuove e vecchie, nei vari campi d’azione del Dicastero. Pensando al Covid, mi vengono in mente gli ambiti della salute e della solidarietà. In tema di pace e sicurezza, penso a tutti i conflitti che si sono intensificati in alcune zone del mondo. Faccio riferimento anche alle crisi umanitarie che hanno coinvolto milioni di persone, rendendo difficile a volte la stessa consegna degli aiuti di base. Nel mondo delle migrazioni, invece, penso ai tanti movimenti di massa che si sono verificati lungo le rotte migratorie del mondo con la caratteristica sempre più di migrazione forzata, non voluta, ma obbligata dalle situazioni che si sono venute a creare, spingendo milioni di persone a lasciare la propria terra. Tutto questo complesso scenario mondiale è reso ancor più problematico da un sistema economico globale che anziché aiutare a curare la nostra famiglia umana e a renderla più inclusiva, ha invece evidenziato le disparità che esistono tra le varie regioni. Lo ha sottolineato più di una volta il Santo Padre Francesco. Queste preoccupazioni pastorali sono anche preoccupazioni costante di Leone XIV.

L’intuizione di papa Francesco


Oggi i riflettori sono puntati su papa Leone, ma lui stesso richiama spesso l’opera di Francesco. Qual era l’intuizione del Papa argentino nel dar vita al vostro Dicastero?
 L’intuizione fondamentale di papa Francesco nel volere questo Dicastero nasceva per dimostrare l’interconnessione che esiste tra le diverse tematiche che prima ho citato. Quando parliamo di economia, sicurezza, crisi umanitarie, emigrazione, ecologia, tutti questi ambiti fanno parte dello sviluppo umano integrale inteso a 360°, in quel cammino dell’umanità creata dal Signore verso il compimento della storia. Per il Santo Padre questo Dicastero ha il compito di aiutare e assistere le Chiese locali a superare quegli ostacoli che non permettono la piena realizzazione di tutti gli esseri umani di una determinata area, pensando anche a livello globale alle sfide che vengono proposte a tutta la famiglia umana.

Baggio Canada copia

Padre Fabio Baggio durante un incontro in Canada negli anni del suo servizio come missionario Scalabriniano.


Gli incontri della vita

Dall’Europa all’Oceania, dall’Asia all’America del Sud: è vasta la sua esperienza pastorale e anche come docente nei diversi continenti. Ci sono incontri che lei ha vissuto e che Le hanno fatto capire ancora di più la ricchezza umana dell’esperienza cristiana?
Gli incontri sono stati tantissimi perché il Signore mi ha concesso la grazia di visitare diverse regioni del mondo, non solamente come turista, ma di vivere come missionario, come operatore pastorale all’interno di queste realtà. Sono stato otto anni in America Latina, otto in Asia, poi in Oceania e ho avuto l’occasione per alcuni anni di portare avanti i progetti che la mia congregazione aveva in Africa. Ho imparato che ogni incontro aveva qualcosa da consegnarmi. Lo dico con un senso di stupore, perché, di norma, partendo come missionario, si potrebbe pensare che uno ha molto da dare. Effettivamente mi sono accorto che ho ricevuto molto di più di quello che ho dato. Negli anni latino-americani, dal 1997 al 2002 in Argentina, ho lavorato con l’allora cardinal Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires. In quell’arcidiocesi ero direttore dell’Ufficio migranti. L’incontro con lui mi ha portato a un’introspezione diversa per cogliere la dimensione interconnessa e globale di quel settore specifico di cui mi stavo occupando. Ma soprattutto ho capito, anche grazie a lui, l’attenzione che dimostrava verso gli ultimi, i più abbandonati, come le vittime della tratta. Per loro abbiamo avviato diversi progetti. Porto con me anche un altro incontro, avvenuto nelle Filippine, con un gruppo di laici che si sono avvicinati al nostro carisma scalabriniano nel lavoro per i migranti. Lì eravamo in una terra di partenza, non di arrivo, e insieme volevamo capire le problematiche delle famiglie coinvolte nella migrazione. Spesso partiva il papà, altre volte la madre, le famiglie erano cambiate dall’esperienza migratoria.

Al Conclave

Lei è reduce dal suo primo Conclave, che esperienza ha vissuto?
Un’esperienza meravigliosa di ascolto dello Spirito e di tante esperienze che provenivano da diverse parti del mondo attraverso gli altri cardinali.

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In preghiera di fronte alla tomba di San Giovanni Battista Scalabrini nella Cattedrale di Piacenza. (foto Pagani)

Scalabrini Santo

Sono passati quasi tre anni dalla canonizzazione di Scalabrini. Papa Francesco in quell’occasione invitava in particolare il mondo Scalabriniano ad essere creativi nel far crescere la cultura dell’incontro. Lei che cos’ha ricevuto nell’incontro con i migranti?
 Ho imparato che la diversità diventa una ricchezza. Molto spesso cerchiamo le persone che sono simili a noi; vogliamo confermare quello che noi siamo, i nostri valori, la nostra cultura, la nostra lingua. Ma nel momento in cui si incontra la diversità, ci si arricchisce anche dell’esperienza di altri. Dio si rivela soprattutto nella diversità, il totalmente Altro - ci insegna la teologia - si rivela proprio nell’alterità.

La cultura dell’incontro

Che cosa può fare la comunità cristiana per favorire la cultura dell’incontro?
Occorre essere aperti all’incontro e non rinunciarvi. L’incontro si produce naturalmente nei contesti sociali in cui viviamo. Come cristiani siamo chiamati ad andare alla ricerca dell’altro. Siamo come tanti buoni Samaritani che passano di fronte all’uomo colpito lungo la strada che non ha il coraggio o la forza di alzarsi, oppure si sente perso. Noi siamo impegnati nel nostro viaggio, presi da centomila cose importanti. Eppure possiamo interrompere il viaggio per incontrare l’altro. Questo incontro ci fa responsabili della sua storia.

Il carisma di Scalabrini

Scalabrini preferì rimanere vescovo a Piacenza per stare con il suo popolo rinunciando anche alla proposta di diventare cardinale. Che cosa animava un uomo così?
Ho avuto modo di studiarne a lungo la vita e di conoscerne il legame con la sua Chiesa e il suo popolo, quand’era spinto a fare viaggi oltreoceano anche se la salute era cagionevole. Voleva “farsi tutto a tutti”, dedicandosi totalmente agli altri, senza mai dimenticare le radici, la terra da cui proveniva. Per lui la fede che viviamo è sempre collegata alla nostra terra di origine. Per questo ha sempre raccomandato ai suoi missionari di accompagnare la fede della gente ma anche di promuovere la cultura.

La chiamata di Dio

Lei è entrato in seminario a 11 anni, conquistato anche dalla possibilità di giocare a calcio. Che cos’ha tenuto in piedi la sua vocazione in tutti questi anni?
La vocazione è una chiamata del Signore, ognuno ha la sua chiamata. Quello che mi ha condotto nel vivere la mia chiamata fino ad oggi è sentire che sono al posto giusto. È una sensazione esistenziale di fondo, che mi fa essere contento nel posto in cui mi trovo. Probabilmente sarebbe lo stesso se fossi, come avrei voluto, missionario in Africa o in altre parti del mondo per annunciare la Parola e l’amore di Dio. Alla sera vado a dormire tranquillo perché mi sento di aver dato un piccolo contributo allo sviluppo del Regno di Dio.

Il motto episcopale

Il suo motto episcopale qual è?
È preso dal salmo 16: “Mi indicherai il sentiero della vita”. Mi accompagna da quando sono diventato sacerdote. È la certezza che nei momenti di dubbio o quando occorre prendere decisioni importanti, il Signore è vicino e mi indica il suo sentiero. Il Salmo conclude con le parole “gioia piena alla tua presenza”. Si cammina verso quella felicità che solo il Signore può donare.

Davide Maloberti

Nella foto, il cardinal Fabio Baggio al termine di una celebrazione a Castel Gandolfo.

Pubblicato il 3 giugno 2025

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