La grazia di Dio
lavora con noi
Dal Vangelo secondo Luca (17,5-10)
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose:
«Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire
a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”,
ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge,
gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”?
Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare,
stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto,
e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo,
perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto
tutto quello che vi è stato ordinato, dite:
“Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
La nostra vita e la ParolaUna fede piccola. È davvero sorprendente l’immagine che Gesù utilizza per indicare la fede necessaria agli apostoli: un granellino di senape. Avrebbe potuto usare un'altra immagine, avrebbe potuto affermare che è necessaria una fede grande come una montagna oppure forte come un cedro. Quella del seme di senape è un’immagine che Gesù utilizza anche quando parla del regno di Dio “Esso è il più piccolo di tutti i semi; ma, quand'è cresciuto… diventa un albero; tanto che gli uccelli del cielo vengono a ripararsi tra i suoi rami” (Mt 13,32). È quindi minuscolo, quasi invisibile ad occhio nudo, ma ha dentro di sé una forza misteriosa e nascosta. Viene da pensare alla fede di Maria. Una fede piccola la sua: la fede di una giovane ragazza del popolo di Israele che non comprende tutto ciò che le viene detto e che accade, ma che affida tutta la sua vita a Colui al quale “nulla è impossibile” (Lc 1,37); “mi sia fatto secondo la tua parola” (Lc 1,38) ella risponde all’annuncio dell’angelo e non “ho capito, ora farò quello che tu mi dici”. È una fede piccola quella che permette a Dio di agire: è l’atteggiamento di chi, conoscendo il proprio nulla, lo pone davanti a colui che può tutto, di chi, conoscendo la propria piccolezza e inconsistenza, vive al cospetto di colui che opera e dà forza. Scrive Charles Peguy in alcune pagine mirabili de“ Il portico del mistero della seconda virtù”: “la fede che preferisco, dice Dio, è la speranza”. Un piccolo seme è il segno di una fede che spera.
Servi inutili. Qual è dunque il frutto di quella fede di cui Gesù parla agli apostoli? Il servizio umile e disinteressato a colui che si è fatto servo di tutti. “Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”, né più né meno. Non è perché siamo particolarmente generosi o altruisti che abbiamo arato il campo o pascolato il gregge: abbiamo semplicemente agito facendo il nostro dovere. Non è un optional o un hobby di alcuni volonterosi servire il Signore: “se evangelizzo, non debbo vantarmi, poiché necessità me n'è imposta; e guai a me, se non evangelizzo!” (1 Cor 9,16) dice san Paolo.
Ognuno nella vigna del Signore ha il proprio compito, secondo la vocazione che ha ricevuto, ma il lavoro spetta a tutti. Il vero problema che si pone è dunque: io vivo la mia vita come un servizio al Signore? Poi dentro a quel servizio ci possono stare, insieme alle gioie e alle consolazioni, le difficoltà, i fallimenti, le fatiche e le incomprensioni. Ma è proprio la consapevolezza di non essere noi i padroni che ci rende liberi dal desiderio di misurare immediatamente il successo o l’insuccesso.
Il compito che ci è affidato è immensamente più grande di noi e delle nostre capacità, il disegno di Dio è più vasto dell’orizzonte che il nostro sguardo può contemplare: noi dobbiamo lavorare con gratitudine e senza alcuna pretesa, sapendo che la grazia di Dio lavora con noi (cfr. 1 Cor 15,10).
Don Andrea Campisi
Pubblicato il 2 ottobre 2025
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