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Non siamo in corsa
verso il nulla

Dal Vangelo secondo Giovanni (6,37-40)
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me,
io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo
non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla
di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.

Questa infatti è la volontà del Padre mio:
che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna;
e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

La nostra vita e la Parola
vg30ot25La vita. Non accade di frequente, ma quest’anno ci viene fatto il dono di celebrare la commemorazione dei defunti nel giorno del Signore. È un’opportunità poter porre il nostro sguardo sul dono della salvezza nel contesto del mistero pasquale. Diceva sant’Ambrogio che senza la grazia, l'immortalità sarebbe stata per l’uomo più di peso che di vantaggio.
Senza la grazia la vita umana prima o poi si rivela una condanna e precipita verso l’assurdo e il nulla. Come ha affermato Benedetto XVI, “forse oggi molte persone rifiutano la fede semplicemente perché la vita eterna non sembra loro una cosa desiderabile. Non vogliono affatto la vita eterna, ma quella presente, e la fede nella vita eterna sembra, per questo scopo, piuttosto un ostacolo. Continuare a vivere in eterno - senza fine - appare più una condanna che un dono. La morte, certamente, si vorrebbe rimandare il più possibile. Ma vivere sempre, senza un termine - questo, tutto sommato, può essere solo noioso e alla fine insopportabile”. Questo ci fa intuire che ciò di cui noi abbiamo bisogno è un incontro sulla terra con un amore incondizionato e assoluto che renda già questa vita una vita nuova che ha un nome e un volto, quello di Gesù. Non è quindi una convinzione solida quella che ci dona di sperare di fronte alla morte, ma l’esperienza di una salvezza già efficace in questa vita.
La beatitudine. Le beatitudini che ascoltiamo nella liturgia sono la descrizione di questa salvezza che ci viene incontro in un uomo, il Figlio di Dio, e rende la nostra vita beata, cioè amata, riempita della presenza di Colui per il quale il cuore dell’uomo è fatto. Se una beatitudine non è fatta di eternità è una menzogna, è una gioia effimera, è un temporaneo sollievo per tirare avanti qualche giorno. Ogni uomo è afflitto, anche noi lo siamo. La condizione dell’uomo dopo il peccato originale è tale per cui nasciamo bisognosi di consolazione, di salvezza. È dunque la nostalgia di un bene originario perduto che affligge ogni uomo e perciò ogni consolazione autentica non può prescindere dal tentativo di risvegliare la speranza di una felicità ritrovabile.
La logica è quella delle beatitudini: beati quelli che sono nel pianto perché saranno consolati (“saranno consolati” è un passivo che si chiama passivo divino), da chi? dal Padre, beati quelli che hanno fame, perché saranno saziati, da chi? Dal Padre. Per questo non esiste un’autoconsolazione, è una contraddizione semantica. Le beatitudini sono proprio questa necessità di completezza a partire da una incompletezza, una premessa che manifesta una mancanza, ma che viene completata solo nella relazione di amore che si riceve dal Padre.
Don Andrea Campisi

Pubblicato il 30 ottobre 2025

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