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Carmelo Dotolo: la fede è il coraggio che sposta le montagne

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È stato il teologo Carmelo Dotolo, docente della Pontificia Università Urbaniana, il protagonista del secondo appuntamento di “Talità Kum, il risveglio degli adulti nella Chiesa”. Un’iniziativa promossa dall’Azione Cattolica e svoltasi presso il Seminario Vescovile di Piacenza nella serata di lunedì 13 gennaio. Chiamato a parlare di come portare il Vangelo nel mondo di oggi, il teologo ha subito distinto la religione dalla fede, due espressioni semanticamente vicine ma che interpretano diversamente il senso dell’ esistenza.

La fede come processo di umanizzazione

“Parlando di Dio, la fede parla di noi stessi, suoi partners, rendendoci capaci di umanità” esordisce Dotolo. È in questo senso che l’atto del credere – non a caso verbo dinamico - costituendoci nella nostra umanità di uomini e donne, rappresenta l’utopia dell’umano. Un’utopia che è per lui il non luogo verso il quale siamo in cammino, quel non ancora da aggiungere costantemente e senza la quale l’esperienza religiosa resterebbe al livello dell’abitudine finendo per implodere.

La fede come desiderio

“L’Eucaristia è per noi celebrazione di un bisogno o di un desiderio?” domanda il teologo invitando a chiedersi se l’accumulo dei punti Paradiso sia il motore principale del nostro andare a messa. Religione e fede sono per Dotolo inscritte in due logiche differenti entro le quali si gioca la felicità dell’uomo: nella logica del bisogno la prima – lo vediamo spesso nel mondo ecclesiale essendo l’uomo un animale rituale che tende a idolatrare - e del desiderio la seconda. Da un lato quindi la soddisfazione possessiva dell’io e dall’altro la rinuncia all’ego e la tensione verso l’altro; unico lato quest’ultimo dal quale accedere a una relazione autentica con il prossimo. Esempio della distinzione tra bisogno e desiderio è per il teologo campano la distinzione tra innamoramento e amore. Laddove l’innamoramento vede nell’altro lo specchio in cui soddisfare il proprio bisogno, l’amore vi vede il compagno di un viaggio da progettare insieme. “Il fatto che l’amore per il prossimo sia un comandamento – spiega – significa che non è in dotazione della nostra natura e che il realizzarlo, cosa alquanto difficile al pari della fede, comporta prima il desiderio e poi la rivoluzione”. Rivoluzione della qualità delle relazioni e dell’io, senza il cui decentramento non può – per Dotolo – sussistere amore.

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Nelle foto, in alto il teologo Carmelo Dotolo e sopra il pubblico presente
all'incontro promosso dall'Azione Cattolica

La fede come trasgressione

Rifacendosi al teorico della speranza Ernst Bloch secondo il quale l’atto di credere, poiché mette in crisi il ritmo banalizzante dell’esistenza, implica una trasgressione dell’umano, per Carmelo Dotolo credere significa trasgredire luoghi comuni, buon senso e ragione. “Per trasgredire ci vuole coraggio e la fede è il coraggio che sposta le montagne” . È in questo senso che la fede è disobbedienza e che la disobbedienza non è dire no ma dire sì, ad altro.

La fede come domanda e ricerca

Una distinzione questa volta tra la risposta chiusa e preconfezionata che garantisce sicurezza e la risposta aperta che, nel farsi domanda, conduce a quella verità che supera le certezze a buon mercato. “A coloro che gli chiedono cosa poter fare per guadagnarsi il Regno – prosegue il docente dell’Urbaniana – Gesù risponde di mettersi in cerca, trasformando le domande religiose in domande di fede”. La fede intesa come un mettersi in viaggio – ecco i viandanti della lettera agli Ebrei – alla ricerca del non ancora. Riscrittura costante del linguaggio esistenziale è per Dotolo la fede. Inquietudine che ci fa camminare e non tranquillità che ci lascia seduti. “Abbiamo fede ogniqualvolta reinterpretiamo la nostra vita, non paghi del nostro modo di essere”.

La fede come ferita

“La fede è innanzitutto la ferita del nostro narcisismo religioso” esclama il teologo. Un po’ perché capire che la verità va oltre ciò che si pensava umilia il nostro io e comporta l’accettazione della nostra limitatezza e un po’ perché la presenza dell’altro è spodestante e disturbante. Un disturbo che il professore ben esemplifica con l’immagine di un figlio che, convinto di restare unico, viene declassato a primogenito. Ma fede è aprirsi all’altro e smettere di essere autosufficienti.

La fede come decisione

Se in virtù del libero arbitrio abbiamo potere di scelta, la fede è a maggior ragione una decisione. “Un taglio interpretativo che in un’epoca che non conosce la decisione responsabile è ancor più rivoluzionario e coraggioso perché – conclude – decidere significa entrare in conflitto”.

Elena Iervoglini

Pubblicato il 15 gennaio 2025

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