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Madre Emmanuel: «Essere annuziatori di speranza significa portare Gesù nel cuore»

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“Oggi parleremo di come annunciare la speranza in Cristo. Spesso si pensa che per annunciare il Vangelo ci sia un modo e invece stasera impareremo ad annunciare il Vangelo da Cristo, come Colui senza il quale non si può fare nulla e ogni cosa è vana”. Madre Emmanuel Corradini ha introdotto così la sua meditazione pubblica nel monastero di San Raimondo lo scorso 5 maggio, come sempre ascoltata da una partecipe platea di fedeli. Intitolato “Annunziatori di speranza”, l'incontro è stato l'ultimo del ciclo di catechesi incentrato sul tema della speranza; i prossimi appuntamenti con la badessa torneranno dopo la pausa estiva.

L'annuncio

 «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, imporranno le mani ai malati e questi guariranno». (Mc, 15 – 20). Con la citazione dal Vangelo di Marco la lectio prende corpo. “L'annuncio è soprattutto il nome di Gesù – spiega quindi la suora - , non servono altre parole, altre forme. I segni che lo accompagnano sono una conseguenza, ma senza dire il nome di Gesù non c'è salvezza. Del resto la missione di Gesù nei suoi 33 anni di vita è stata rivelare agli uomini l'amore del Padre, annunciare loro che ci sono una vita eterna e un amore che li attende, per cui la vita di ciascuno ha sempre un senso. Che si tratti di persona sana o malata, di un uomo importante o di un carcerato, la vita di tutti ha un valore nel cuore e nel nome del Padre”.
Basti pensare ai discepoli, continuamente esortati da Gesù ad agire nel Suo nome.

“I discepoli non sono semplicemente persone accanto a Gesù – fa notare la superiora - : sono membra del Suo corpo e formano con Lui un corpo unico. Camminano insieme perché il corpo di Cristo li ha uniti: non perché hanno compreso, non perché sono capaci e senza peccato ma perché sono un cuore e un'anima sola con Gesù. Impauriti, fuggitivi, peccatori, i discepoli vengono rimessi insieme dallo Spirito Santo e trovano dentro di loro una vita nuova perché, pur nella loro debolezza, credono nella Parola di Gesù e nella potenza dello Spirito. Voglio allora ribadire che senza Gesù non possiamo fare niente. Possiamo solo ottenere risultati effimeri. Anche noi quindi quando ci sono frizioni in famiglia dovremmo invocare lo Spirito Santo e il nome di Gesù, ma quante volte lo facciamo credendoci davvero?” Eppure spesso all'interno di una comunità basta che uno solo faccia professione di fede per salvare tutti gli altri”.

Lasciare passare Gesù nella nostra vita

“E c'è un altro aspetto importante da considerare – continua - . I discepoli partono felici di annunciare Cristo perché sono coscienti di avere un posto privilegiato accanto a Lui; per cui il motore dell'annuncio è l'amore di Dio nei loro confronti, la convinzione di trovare in Lui la salvezza. È questo a renderli credibili. Pensiamo a Pietro: un semplice pescatore, un traditore che ci  dice io sono una persona amata, salvata, riabilitata grazie al perdono e all'amore di Cristo. Il suo annuncio è credibile proprio perché l'autenticità della conversione scaturisce dagli sbagli commessi. La maggior parte dei santi erano grandi peccatori prima dell'esperienza di incontro con Cristo. E allora anche noi chiediamoci: ci sentiamo amati? Ci sentiamo dei salvati? Riusciamo a trasmettere Gesù Cristo o pensiamo di poter fare sempre tutto da soli?

“Non servono perciò condizioni particolari per essere in missione – ha sottolineato l'abadessa -,  bisogna solo lasciar passare Gesù nella nostra vita, fatta di debolezze e cadute. Il nostro rapporto con Cristo deve rafforzarsi sempre di più, fino ad assumere una dimensione mistica. La mistica, si badi bene, non è solo la condizione dei santi. Tocca chiunque abbia una relazione autentica di dialogo con Cristo; chiunque si lasci trasformare da Lui durante l'eucarestia diventando così annunciatore del Suo nome; chiunque insomma abbia il cuore abitato da Cristo. Solo una persona che porta Cristo nel cuore può diventare una creatura nata per il mondo intero, ossia capace di annunciare Gesù all'interno del contesto in cui si trova: lavoro, famiglia, amici o vita quotidiana. Senza fare proselitismo, semplicemente indicando in Gesù il motivo della propria letizia nonostante le difficoltà e le contraddizioni della vita. Ricordiamoci che i cristiani non propongono una filosofia o una corrente, ma parlano della presenza viva di Gesù. Se però non abbiamo questa consapevolezza il nostro annuncio sarà destinato a cadere nel vuoto, non animato da vera fede”.

 Che cosa rappresenta Cristo per il mondo?

“Cos'è per Cristo il mondo? Dobbiamo chiederci questo se vogliamo imparare da Gesù il valore del Suo annuncio, se vogliamo davvero capire cosa significa essere in missione – ha esortato la suora - .

Per Cristo il mondo è l'oggetto del suo amore, e ce lo ricorda Giovanni quando nel Vangelo dice: «Dio infatti non ha mandato il proprio Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per mezzo di lui».(Gv, 17). Noi siamo quindi l'oggetto dell'amore di Dio, tutto ciò che Egli ha creato l'ha fatto per amore dell'uomo. E allora dobbiamo essere capaci di portare la Sua luce nel mondo, di consolare gli afflitti nel Suo nome”. “Di fronte ad una persona sofferente dobbiamo avere il coraggio di dire che quel dolore ha un senso perché c'è Dio e serve per la salvezza. Altrimenti togliamo a Cristo la possibilità di manifestarsi. Non stanchiamoci di dire a chi è malato o prova rabbia per la propria vita che è figlio di Dio; che non si consegna al male o alla morte, ma all'abbraccio amorevole di Gesù”.

Da qui la riflessione si è focalizzata sul valore dell'annuncio più doloroso: quello dei martiri.
“I martiri sono coloro che si fidano di Cristo e non di sé stessi – osserva la madre - . Il loro annuncio è ciò di cui l'uomo ha bisogno oggi, cioè quello di una vita che vince la morte come ha fatto Gesù. È l'annuncio più sconvolgente perché  rappresenta la più profonda contraddizione che il mondo può sperimentare: morire per Cristo; se malati, non smettere di credere in Lui; perdonare se oltraggiati. Abbiamo avuto molte di queste figure, gli Atti degli Apostoli ci ricordano che, grazie al sangue versato da Stefano, Paolo si converte. E anche oggi ci sono martiri in mezzo a noi, persone che portano con sé la luce di Cristo”.

L'esempio di Takashi Nagai

Un esempio su tutti è Takashi Nagai,medico radiologo sopravvissuto alla bomba atomica sganciata su Nagasaki e autore del libro – testimonianza autobiografico intitolato «Ciò che non muore mai», scritto in terza persona e citato nel corso della meditazione.
“Dopo un passato da ateo vissuto all'insegna della scienza, Takashi viene condotto alla fede cattolica dall’incontro e dal matrimonio con Midori, discendente da una famiglia di martiri cristiani giapponesi – ha raccontato la suora - . Ma solo con lo scoppio della bomba atomica, esplosa proprio nel quartiere di Nagasaki dove lui abitava insieme alla moglie, il medico sopravvissuto capirà pienamente il disegno provvidenziale di Cristo e la grandezza del sacrificio della consorte, morta nell'esplosione. Sarà quello il momento di un nuovo inizio”. Takashi scrive nel libro: «nel silenzio sentì una voce potente sussurrare: il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Era la voce di Gesù. Da quel momento Takashi decide di vivere esclusivamente per ciò che non muore mai, perché tutto il resto è cenere e non può dare senso alla vita. Questa speranza in ciò che non muore mai nacque dalla coscienza di fede che c'è un morire che non muore mai: quello dell'Agnello che per amore si offre per la salvezza di tutti». E nel suo discorso davanti alla cattedrale di Urakami, a pochi passi da dove era scoppiata la bomba, il medico dice: «io credo che fu Dio, la Sua Provvidenza a scegliere Urakami e a portare la bomba esattamente sulle nostre case. Non c'è forse un profondo rapporto tra l'annientamento di Nagasaki e la fine della guerra? Non fu forse Nagasaki la vittima scelta, l'Agnello del sacrificio ucciso per essere offerta perfetta sull'altare dopo tutti i peccati commessi dalle nazioni nella Seconda Guerra Mondiale?». Così per Midori, ritrovata carbonizzata con il rosario in mano, «consentire all'offerta di sé per la salvezza degli altri era semplicemente la natura profonda dell'adesione a Cristo: una natura mariana, tutta improntata al sì di Maria; all'avvenimento di Cristo fino alle estreme conseguenze pasquali». E ogni volta che noi moriamo perché un altro abbia la vita, ogni volta che noi taciamo o perdoniamo perché un altro abbia la vita – sottolinea – moriamo a noi stessi, compiendo un sacrificio di espiazione per la salvezza del mondo”.

Poi Madre Corradini si è soffermata su un'ultima caratteristica necessaria per annunciare Cristo: la preghiera.
“Dobbiamo portare nella preghiera coloro che amiamo ma anche quelli che ci fanno del male – ha detto - , come fa Gesù stando per ore a pregare per noi nel deserto. Lo fa per portare gli uomini davanti al Padre. Noi tutti siamo nella preghiera di Dio e dobbiamo imparare a pregare, ad invocare lo Spirito per gli altri e per le situazioni difficili. L'uomo attende il nome di Gesù, ha bisogno della Sua luce e degli strumenti per conoscerlo: quindi chi incontra un cristiano deve sentirlo parlare di Gesù, perché la vera forza dell'uomo per vincere il male in sé e attorno a sé è amare; è l'umile amore di Cristo”.

Micaela Ghisoni

Pubblicato il 25 maggio 2025

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  • In Cattedrale è stato ricordato il beato Secondo Pollo

    pollo

    Lunedì 26 dicembre il vescovo mons. Adriano Cevolotto ha presieduto la messa in Cattedrale a Piacenza nella memoria del beato Secondo Pollo, cappellano militare degli alpini. Vi hanno partecipato i rappresentanti delle sezioni degli Alpini di Piacenza e provincia e i sacerdoti mons. Pierluigi Dallavalle, mons. Pietro Campominosi, cappellano militare del II Reggimento Genio Pontieri, don Stefano Garilli, cappellano dell'Associazione Nazionale degli Alpini di Piacenza, don Federico Tagliaferri ex alpino e il diacono Emidio Boledi, alpino dell'anno nel 2019.
    Durante la Seconda guerra mondale, il sacerdote parte per la zona di guerra del Montenegro (Albania), dove trova la morte il 26 dicembre dello stesso anno, colpito da fuoco nemico mentre soccorreva un soldato ferito. 
    Originaio di Vercelli, fu beatificato il 24 maggio 1998 da papa Giovanni Paolo II. 

    Nella foto, il gruppo degli Alpini presenti in Cattedrale con il vescovo mons. Adriano Cevolotto.

    Pubblicato il 27 dicembre 2022

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