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La carità non si delega: vi spiego perché

Cevolotto e CORAZZA

«Quando ero direttore della Caritas della mia diocesi, Concordia-Pordenone, una volta mi telefonò una signora: alcuni suoi vicini di casa, anziani, vivevano al freddo, non perché non avessero legna per la stufa, ma perché non c'era nessuno che andava a tagliargliela. "Lei in Caritas non ha nessuno da mandarmi?", mi chiese. “Certo - le ho risposto - che ce l'ho: mando lei. Lei ha visto il bisogno, lei è Caritas"». Ha messo in in guardia contro il rischio della delega il vescovo di Forlì-Bertinoro mons. Livio Corazza, delegato della Conferenza episcopale regionale per la carità, intervenendo stamattina al convegno annuale delle Caritas parrocchiali al centro "Il Samaritano" (nella foto sopra, da sinistra, il vescovo mons. Cevolotto con mons. Corazza e la comunità delle carmelitane intervenute in collegamento video per la preghiera iniziale).

La mattinata, occasione di confronto e formazione per chi opera sul territorio, ha segnato anche la conclusione della Visita pastorale del vescovo mons. Adriano Cevolotto alla Caritas diocesana ed ha permesso di accendere i riflettori sull'impegno nella lettura dei segni di tempi sul fronte dei bisogni emergenti, per essere vicini a chi fa fatica, sul piano materiale e non solo.

«Non parliamo di povertà, ma di poveri: sono i volti che ci interpellano»

«Non parliamo di povertà, ma di poveri, altrimenti spersonalizziamo le cose, mentre in gioco ci sono dei volti. E se davanti abbiamo un volto, quello ci interpella", ha richiamato da parte sua mons. Cevolotto, rinnovando l'invito a lasciarsi coinvolgere nella relazione, anche quando è scomoda, anche quando non sortisce l'effetto che desideriamo, anche quando l'aiuto viene rifiutato. «Saper leggere i segni dei tempi, o meglio i segni del kairos, del tempo di Dio, ci aiuta a rimanere consapevoli che c'è Dio all'opera. Nei fatti, nei segni, Dio ci manda degli appelli, delle chiamate, che non sono evidenti, hanno bisogno, appunto, di un discernimento comunitario a cui purtroppo non siamo abituati, ma che è ncessario».

«Tutto nasce dall'eucaristia»

La carità non nasce da uno sforzo del singolo o di un gruppo. La carità cristiana ha bisogno di una dimensione spirituale. È la sottolineatura arrivata, in apertura di convegno, da mons. Livio Corazza, una lunga esperienza in Caritas, prima alla guida dell'organismo nella sua diocesi di origine, poi nella commissione Europa per la Caritas nazionale, ora come delegato della carità per i Vescovo dell'Emilia-Romagna. «Tutto parte dall'Eucaristia», ha ricordato, citando l'aspro rimprovero di San Paolo alla comunità di Corinto: è sacrilegio per la Chiesa ignorare il povero che ci sta accanto, perché nel volto del povero un cristiano è chiamato a vedere il volto di Dio. Non a caso Caritas nasce dal cammino del Concilio Vaticano II: oltre alla riforma liturgica e della catechesi, c'è questa terza grande riforma - sottovalutata, evidenzia mons. Corazza - che porta alla fine della Pontificia Opera Assistenza e alla nascita della Caritas, con la funzione pedagogica di animazione della carità. Un punto, questo, ribadito anche nelle proposizioni del documento del Cammino sinodale: non c'è carità senza la comunità.

corazza livio e cevolotto adriano

Da sinistra, i vescovi mons. Adriano Cevolotto e mons. Livio Corazza.

E le povertà che oggi si manifestano - mons. Corazza cita la relazione del presidente di Caritas italiana, mons. Redaelli, ma è l'esperienza che vive anche nella sua diocesi e che le Caritas del nostro territorio confermano - non sono soltanto materiali. Sono povertà relazionali e spirituali. Fanno pensare i numeri: 5 milioni e 700mila italiani sotto la soglia di povertà, secondo l'Istat. Con volti sommersi, come la valanga distruttiva del gioco d'azzardo: da 35 miliardi di euro giocati nel 2006 siamo passati in Italia nel 2014 a 157 miliardi di euro giocati. Crescono le donne vittime di violenza. Cresce il disagio tra i giovanissimi. A fronte di un panorama così complesso, la carità «volentieri ci viene affidatda, sia dalle istituzioni che dalle comunità», non nasconde il vescovo Corazza. Ma Caritas, che pure fa e fa molto, ha come prima vocazione quella di incoraggiare e dare indicazioni su possibili risposte da assumere comunitariamente. Non si tratta solo di un'esperienza personale. «È un servizio che nasce dal cuore della Chiesa». Per citare la Dilexi Te di papa Leone: “Dimenticare i poveri significherebbe staccarsi dalla linfa vitale della Chiesa, che nasce dal Vangelo e rinnova ogni tempo storico”.

tavola rotonda caritas piacenza

 La tavola rotonda con la condivisione di esperienze di alcune realtà di Caritas a Piacenza, a Fiorenzuola e a Castel San Giovanni.

Ascolto, relazione, accompagnamento

Le esperienze condivise nella tavola rotonda - e protagoniste di un video realizzato dalla giornalista Barbara Tondini per il Servizio diocesano multimedia per la pastorale - hanno confermato questo stile di ascolto, attenzione, relazione. Non basta la borsa viveri o garantire un tetto sulla testa. La Caritas che ripensa i servizi alla luce dei nuovi bisogni è quella che cambia gli orari del centro d'ascolto per andare incontro ai nuovi orari di un lavoro precario e in continua turnazione. Che con la fantasia della carità mette in campo progetti legati all'abitare che guardano lontano, da "Casa tra le case" a Casa Don Camminati fino al recentissimo co-housing in Santa Maria di Campagna. È una Caritas che a Castel San Giovanni propone l'accompagnamento con "Casa Sant'Agnese" per i lavoratori della logistica, settore esploso nell'ultimo decennio, o che con la Casa della Carità "Don Beotti" vicina alla Collegiata e all'oratorio si fa segno visibile di una carità che nasce dal sacramento celebrato e vuole coinvolgere tutti, partendo da giovani - e giovanissimi - per crescere nell'amore concreto. È la carità che a Fiorenzuola si accorge che le famiglie hanno bisogno di essere ascoltate a 360 gradi e quindi fa nascere l'Emporio Solidale e il centro d'ascolto per una accoglienza che vada oltre l'assistenza e diventi motore di relazioni buone, per chi viene accolto come per chi vi presta servizio e, a ricaduta, per tutto il tessuto sociale.
"Superiamo la pigrizia mentale, la logica del si è sempre fatto così - ha incoraggiato il vescovo mons. Cevolotto in conclusione di convegno -. E ricordiamoci che uno dei nostri compiti è anche quello di fare azione politica: è giustificato un certo sistema di produzione che produce sacche di povertà? È nostro dovere richiamarlo".

Barbara Sartori

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