E’ stato avviato il nuovo sito di Acer Piacenza. «Il filo conduttore che abbiamo voluto fin dal nostro insediamento – ha sottolineato Bergonzi alla presentazione - era rilanciare nel campo della comunicazione la veste grafica ma, soprattutto, le utilità per gli utenti. Abbiamo iniziato cambiando il logo e modificando qualche messaggio per essere più accessibili, più leggibili, più semplici da spiegare, più facilmente raggiungibili e far comprendere che con i nostri servizi siamo a disposizione dei cittadini. Acer deve essere conosciuta di più, svolge un’attività preziosa non solo per i propri utenti ma per l’intera comunità. Il sito è una porta di accesso importante in questo senso». Gli inquilini avranno la possibilità di scaricare la modulistica necessaria per il cambio alloggio, la consegna delle chiavi o, per i Comuni che ne hanno affidato la gestione ad Acer (Bettola, Borgonovo, Castelsangiovanni, Sarmato) per l’assegnazione di un alloggio. Allo stesso tempo, i cittadini interessati potranno verificare la presenza o meno dei requisiti per partecipare al Bando di assegnazione, conoscere i termini del contratto di locazione, il regolamento d’uso degli alloggi e verificare dove vi sono appartamenti liberi. Per tutti i cittadini - e non solo per gli inquilini – la possibilità di affittare un garage (la mappa completa, con il numero di box liberi sarà aggiornata mensilmente) e di verificare con gli uffici il canone. Nel segno della trasparenza – oltre ai bilanci degli ultimi anni – sul sito si potranno vedere i compensi degli amministratori con i relativi verbali di nomina, gli incarichi dirigenziali e quelli dei consulenti. Largo spazio quindi alle informazioni utili con orari degli uffici e possibilità di pagare on line le bollette con l’oramai consolidata applicazione di ACERZIP. Il sito, tuttavia, è solo un primo step verso un progetto più articolato: «Stiamo lavorando – spiega Bergonzi – insieme ad Acer Parma e Acer Reggio Emilia per avere lo stesso sistema gestionale per mettere a disposizione una serie di servizi con la registrazione dell’inquilino (che sarà dotato di una password personale) per permettergli di vedere la sua situazione aggiornata e le sue bollette. In altri termini una gestione moderna, efficiente ed efficace del rapporto tra l’inquilino e l’Ente».
Ogni anno, con l’arrivo della stagione estiva, si verificano incidenti riconducibili, molto spesso, al fatto che si sottovalutano le insidie che un evento di svago come il bagno in un fiume, in un lago o in un mare possono celare. “Una delle conseguenze più estreme – evidenzia Alessandra Rampini, direttore Igiene e Sanità pubblica - è la morte per annegamento che può essere facilmente evitata se si conoscono i rischi cui si va incontro quando ci si immerge in acqua”. Il team di professionisti Ausl ha quindi messo a fuoco una serie di indicazioni utili da osservare. “È importante – evidenziano i sanitari – non fare il bagno se non ti senti fisicamente in grado di farlo, perché non sai nuotare o per stanchezza; se hai fatto uso di alcol o altra sostanza; se esistono divieti di balneazione o con l’intenzione di richiamare l’attenzione con atti che possono metterti in pericolo”. “Raccomandiamo – aggiunge la dottoressa Rampini – una stretta sorveglianza dei bambini, che devono stare al massimo alla distanza di un braccio dall’adulto di riferimento. Per motivi di sicurezza è comunque preferibile portare i più piccoli in luoghi dove è assicurato un servizio di salvataggio”.
Una delle possibili con-cause di annegamento nella stagione estiva può essere anche la sindrome da idrocuzione: “Questo termine medico – sottolineano i professionisti di Igiene e Sanità pubblica – identifica una sincope da immersione rapida in acqua, specialmente fredda. Nei casi più gravi può causare la morte per arresto cardiorespiratorio”. Una perdita improvvisa e temporanea di coscienza può essere favorita anche da processi digestivi in corso. Sulle rive dei corsi d’acqua come quelli della nostra provincia, è necessario prestare attenzione soprattutto allo shock termico che può ingenerarsi se una persona, dopo essere stata al sole, si tuffa. “Il corpo esposto al sole o durante attività fisica è frequentemente a 37/39° - spiega Anna Maria Andena, dipartimento Cure primarie - e l’acqua di lago e fiume non supera probabilmente i 18. Quello che succede, anche se i meccanismi fisiopatologici non sono del tutti condivisi, è che il cervello riceve un sovrastimolo che crea uno shutdown del sistema. La respirazione si ferma, si sviene e, trovandosi in acqua, spesso si affonda, in quanto l’acqua dolce di laghi e fiumi non aiuta a sorreggere il corpo e si finisce per annegare come fenomeno secondario. La parola “shutdown” è forse adatta ai sistemi per spegnere o riavviare un computer, ma non per il cervello, e tantomeno per uno sbalzo termico. Quindi possiamo pensare che una volta “spento” il cervello non si riavvii autonomamente”. “È fondamentale bagnarsi con calma e gradualmente per evitare qualsiasi rischio, partendo dalle braccia e dalle gambe. In questo modo abbassiamo la temperatura corporea gradualmente e il corpo non subirà shock termici”. Attenzione anche ad alcuni campanelli di allarme quali nausea, affaticamento, senso di freddo improvviso, ronzii o riduzione del campo visivo. È consigliabile non nuotare da soli o assicurarsi che ci sia qualcuno che vi stia guardando. Questa indicazione vale anche per gli adulti. In caso di incidente, allertare prontamente il 118. Attenzione anche alle manovre di soccorso: “Se si è soli, è consigliabile chiamare aiuto quando si vede qualcuno in pericolo e non agire autonomamente. Altrimenti si mettono a rischio due vite. Lanciate un salvagente, una cima oppure tendete alla persona in difficoltà un bastone”. Cosa non fare dopo svenimento? “Una volta recuperato il soggetto – evidenzia la dottoressa Andena - non bisogna somministrare né bevande alcoliche, né caffè, né altro per bocca, soprattutto durante la fase di incoscienza: si può rischiare di fare inalare (quindi mandare nei polmoni) quello che si vorrebbe fare ingoiare. È bene poi non schiaffeggiare la persona svenuta: si tratta di una manovra inutile”. Per chi invece si sente insicuro delle proprie capacità di nuotare ma vuole comunque fare bagni in sicurezza, esistono diverse tipologie di giubbotti di salvataggio (life jacket) compatti e semplici che evitano rischi di annegamento. È sempre consigliabile chiedere informazioni a chi conosce la zona prima di immergersi in un’area non presidiata con acque apparentemente poco profonde, come sono spesso quelle del fiume Trebbia, che nascondono però zone con mulinelli o buche di diversi metri, magari poco visibili dalla riva. Dopo le tragedie che hanno riguardato il Piacentino e in particolare il fiume Trebbia – cinque decessi in soli due mesi – sono stati inoltre programmati e diffusi alcuni volantini in quattro differenti lingue per informare il più possibile la popolazione straniera dei rischi e pericoli che si corrono nell’affrontare le acque del fiume.
Un uomo capace di «far sentire la sete di Dio», soprattutto a giovani. Il cardinal Tonini era così, racconta don Alberto Graziani, direttore di Santa Teresa. Oggi 28 luglio, a 10 anni dalla sua morte, l'Arcidiocesi di Ravenna-Cervia lo ricorderà nella chiesa di Santa Teresa con una messa presieduta dall’arcivescovo mons. Lorenzo Ghizzoni e concelebrata da tutti i sacerdoti che sono stati ordinati da lui. Un modo per dire insieme grazie dei tanti doni ricevuti nel corso nei suoi 15 anni di episcopato, dal 1975 al 1990. Il primo a ringraziare è proprio don Graziani: «Mi ha incoraggiato e scaldato il cuore quando ero a San Biagio e anche a San Zaccaria. Sapeva radunare assemblee di giovani. Aveva anche la capacità di guardare lontano, ai problemi veri». Oltre il qui ed ora, «con uno sguardo profondo che sapeva darci prospettiva».
Nella foto, don Alberto Brunelli
Tonini e la fiducia che trasmetteva agli altri
«Monsignor Tonini aveva una gran fiducia nelle persone – ricorda il vicario generale della diocesi, don Alberto Brunelli -, una fiducia che sapeva trasmettere. Agli inizi del suo episcopato in diocesi venne a Portomaggiore e chiese al parroco don Guido Marchetti di indicargli i ragazzi che a suo parere potevano entrare in seminario. Io ero tra quelli e il vescovo, con semplicità mi chiese: ‘Senti il desiderio di impegnarti in modo particolare nella Chiesa?’. E dopo tanti anni, eccomi qua». «È stato uno dei miei maestri negli anni della formazione – aggiunge il parroco di Cervia don Pierre Laurent Cabantous – sono tanti gli aspetti per cui lo ricordo: il suo amore a Cristo e alla Chiesa, la sua capacità di intuire le sfide del futuro che a noi seminaristi all’epoca parevano tanto lontane, il rapporto che riusciva ad instaurare con la gente, la fede come criterio di giudizio». Ma quel che ricorda con più affetto don Pierre Laurent è «l’entusiasmo di quegli anni che ha avuto il suo apice nella visita di Papa Giovanni Paolo II in Romagna». Tonini era un vulcano di idee, di iniziative e di realtà, a partire da Risveglio e Ravegnana Radio. «Ma il dono più grande che fece alla diocesi – dice il parroco di Cervia – fu il seminario» che riaprì, con l’aiuto per la parte spirituale di alcuni gesuiti. «Ci raccolse da varie parti d’Italia, con atteggiamento paterno – dice don Fulvio Bresciani, parroco di Argenta –. Per lui era importante che conoscessimo la realtà ravennate, per questo mantenne il biennio formativo a Ravenna. Era sempre molto vicino a noi seminaristi, ci ascoltava e ci seguiva con attenzione. Aveva una capacità di trasmettere la fede che gli derivava dalla sua storia personale - veniva da famiglia di contadini -: sapeva parlare con il povero e con il ricco con lo stesso atteggiamento».
Nella foto, don Claudio Ciccillo (a destra)
Tra i poveri di Ravenna
E tra i poveri a Ravenna in quegli anni c’erano anche i tossicodipendenti in piazza San Francesco o alla stazione. Per il loro recupero si impegnò a dare vita al Ceis, dove i giovani facevano un percorso di reinserimento sociale: «Metteva insieme Dio e l’umanità, anche quella più ferita che aveva bisogno di essere risollevata – dice don Claudio Ciccillo che ora è all’eremo del Cerbaiolo –. E aveva attenzione non solo per loro ma anche per le famiglie». La cura della preghiera personale, la capacità comunicativa, il saper leggere e anticipare i tempi, la continua formazione culturale, sono altri aspetti di monsignor Tonini. Ma quel che più resta, nei sacerdoti che egli ha ordinato, è l’eredità spirituale: «Vivo il mio sacerdozio su quello che ho imparato da lui – dice don Alberto Camprini, parroco della Malva –. Per lui un sacerdote deve vivere come prima cosa la carità pastorale, donandosi alla gente. Poi deve nutrirsi della preghiera e della celebrazione eucaristica. Infine un prete non può permettersi mai di ‘perdere le staffe’, perché chi ci incontra possa sempre chiamarci nei momenti cruciali della sua vita. Monsignor Tonini ci ha trasmesso anche un grande amore per la Chiesa».
Veri e proprio giganti della natura, testimoni silenziosi di epoche lontane arrivati fino a noi. Esemplari unici per caratteristiche morfologiche come la circonferenza del tronco, l’altezza, lo sviluppo dei rami e della chioma, ma anche la rarità botanica, la particolare collocazione nel paesaggio e il legame con avvenimenti storici e culturali. La Regione rafforza la tutela degli alberi monumentali regionali e lo fa con un progetto di legge approvato nell’ultima seduta dalla Giunta, che in questo modo aggiorna una precedente legge del 1977, in linea con la disciplina nazionale. Tra le novità del testo, che ribadisce l’intangibilità di questi esemplari: l’istituzione di un elenco regionale, di una banca-dati georeferenziata, di una Zona di protezione dell’albero (Zpa) di almeno 10 metri di raggio, l’obbligo di recepimento dei vincoli di tutela negli strumenti urbanistici dei Comuni e nei regolamenti degli Enti parco, il rafforzamento delle attività di comunicazione e di informazione. Il testo porta in capo alla Regione la gestione di questi alberi – compresa l’autorizzazione degli interventi che dovessero essere necessari a tutela della pubblica incolumità – e stanzia un plafond di risorse di quasi 600 mila euro per il triennio 2023-2025. Finanziamenti che serviranno a sostenere, attraverso appositi bandi, gli interventi di cura sia da parte di enti pubblici che di privati cittadini. Ma non solo: con il nuovo progetto vengono per la prima volta individuati – e tutelati –i boschi vetusti, quei boschi, cioè, che da almeno 40 anni non sono stati oggetto dell’intervento umano e che per questo presentano caratteristiche naturalistiche e di biodiversità di particolare valore. “Nel 1977 la Regione Emilia-Romagna è stata pioniera nella protezione degli alberi monumentali. Oggi confermiamo e rafforziamo la nostra attenzione per questi esemplari che rappresentano un vero e proprio bene comune di grande interesse sul piano ambientale, paesaggistico e storico- sottolinea l’assessora regionale ai Parchi e forestazione, Barbara Lori-. Vogliamo dare continuità e regolarità all’attività di gestione, in linea con le più avanzate conoscenze dell’arboricoltura, una disciplina che in questi anni ha fatto passi da gigante. E vogliamo valorizzare questi esemplari sul piano comunicativo, consapevoli che possono rappresentare anche un importante traino turistico per i territori appenninici. Non meno importante la scelta di definire i criteri per individuare e tutelare sia gli alberi monumentali che i boschi vetusti, anche questi una preziosa risorsa sul piano della biodiversità per l’intera comunità regionale”.
GLI ALBERI MONUMENTALI REGIONALI
Singoli, in filare o in gruppo. Sono 600 gli alberi monumentali presenti in Emilia-Romagna, di cui 102 sono anche alberi monumentali d’Italia. Ma altri sono in lista di attesa per fare il loro ingresso nell’elenco regionale. Chiunque può, infatti, comunicare alla Regione alberi ritenuti meritevoli di tutela. Non solo Comuni ed Enti territoriali, ma anche privati, associazioni, scuole grazie ad una scheda disponibile on line nella quale indicare, oltre al tipo di pianta e alla sua localizzazione, anche le caratteristiche salienti, allegando la relativa documentazione fotografica. La ripartizione per provincia vede Bologna con 162 alberi monumentali, Piacenza con 37, Parma con 32, Reggio Emilia con 90, Modena con 108. In provincia di Forlì-Cesena sono 51, in quella di Ravenna 61, mentre nel Riminese e nel Ferrarese sono rispettivamente 36 e 20. Tantissime le specie rappresentate: platani, pioppi, faggi, gelsi, cedri, cipressi, castagni, tigli, aceri, olmi. E ancora: pini, ippocastani, frassini e tassi. Su tutti svettano però le querce con 360 esemplari complessivi.
Katherine Jane arriva dalla California, e ha scelto Piacenza perché voleva «studiare enologia e viticoltura dopo la laurea triennale in Scienze ambientali». Alessandro ha abbandonato la sua amata Milano, almeno durante la settimana, perché nella nuova laurea magistrale in Viticoltura ed enologia sostenibili dell’Università Cattolica ha trovato «un corso con un’impronta che guarda chiaramente al futuro, all’innovazione e alle nuove tecnologie». Dimitra di strada ne ha fatta di più, partendo da una piccola città nel cuore del Peloponneso vicino a Olimpia, la culla degli antichi Giochi olimpici, e per lei «è una grande soddisfazione essere nel primo gruppo di laureati di questo nuovo corso di laurea». Anna, la più giovane, è contenta della «scelta lungimirante» che ha fatto, lasciando la Valle d’Aosta per trasferirsi a Piacenza, «prima al Collegio Sant’Isidoro, durante la triennale, e poi nel centro città». Ci sono le loro storie dietro le prime quattro tesi di laurea dell’ambizioso percorso magistrale che oggi, nell’auditorium Mazzocchi, «conclude il suo primo biennio denso di soddisfazioni», come ha sottolineato Marco Trevisan, preside della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali. «Un biennio che ha puntato al consolidamento di questo indirizzo peculiare della nostra Facoltà, in lingua inglese, nel settore vitivinicolo». Alessandro Bariè lo ha apprezzato perché «è incentrato sulla sostenibilità ambientale e sulle nuove tecniche di coltivazione, che sono gli aspetti oggi più interessanti per viticoltori ed enologi». Dopo la discussione della tesi, uno studio della resistenza alla peronospora, la più importante malattia del vigneto, in una collezione di varietà geneticamente resistenti, sa esattamente cosa farà. «Ho già un contratto per la Francia» racconta il 24enne milanese, «perché purtroppo il nostro Paese non offre grandi opportunità, soprattutto se si è ancora studenti universitari. Ma vorrei lavorare in Italia con le varietà che amo, il mio sogno è aprire la mia azienda vitivinicola». Anche Katherine Jane Gannon, 26 anni, vorrebbe lavorare in questo settore in Europa, così ha lasciato San Diego, in California, e ha trovato in questo corso «il perfetto connubio tra due passioni, la sostenibilità ambientale e l’amore per il vino». La sua tesi ha studiato diverse tecniche innovative di gestione del suolo come strumento di complemento al controllo delle malattie nel vigneto e di riduzione dell’impiego di prodotti fitosanitari. Anna Trasino ha frequentato la triennale in Scienze e tecnologie agrarie, curriculum Viticoltura ed enologia. «Dopo la laurea, avendo saputo dell’apertura di questo nuovo percorso in inglese, sono rimasta in un ateneo dove mi sono trovata molto bene fin da subito» racconta la 23enne. «Qui ho fatto amicizie che ancora oggi sono molto importanti per me». Sua è la tesi sulla validazione di un protocollo di difesa a rateo variabile del vigneto in grado di modificare in tempo reale il volume di soluzione rameica distribuita sulla chioma in funzione del vigore rilevato dal sensore di prossimità Mecs-Vine. Una prova, in altre parole, che vuole contribuire alla diffusione della viticoltura di precisione mediante lo sviluppo di soluzioni efficaci, sostenibili ed economicamente convenienti anche per aziende di dimensione medio-piccola.
Dimitra Skouteri, 25 anni, ha scelto l’Italia «perché è un Paese con una grande produzione ma anche una grande cultura nel settore del vino. Quando ho finito la mia triennale, in Grecia, sentivo il bisogno di frequentare un percorso internazionale. A Piacenza ho trovato professori preparatissimi. Di questi anni ricorderò le tante ore passate a studiare, ma anche le pizze e i bicchieri di buon vino». La tesi di Dimitra ha studiato due patogeni che fanno parte del complesso del mal dell’esca, una problematica che sta causando gravissime perdite nei vigneti di tutto il mondo, per la quale non esistono ancora metodi completamente efficaci. In un settore per definizione internazionale, come quello vitivinicolo, «l’internazionalizzazione non poteva che essere un cardine di questo corso di laurea» spiega Stefano Poni, coordinatore del profilo in Sustainable Viticulture and Enology. «Questi sono i primi quattro laureati, non è un caso che siano equamente divisi tra italiani e stranieri, e non è un caso che vi siano una ragazza americana e una greca. La laurea magistrale, interamente in inglese, è oggi un vanto per tutti i ricercatori che lavorano nella Sede, ma lo è soprattutto per la città di Piacenza». Alla luce degli ultimi trend di mercato, «dove ormai il 60% del vino italiano è esportato, essere su un mercato globale significa che il posto di lavoro può essere in tutto il mondo», conclude Poni. «E questi giovani, che si presentano al futuro datore di lavoro dopo aver frequentato un corso di laurea integralmente in lingua inglese, hanno certamente una carta in più da giocare».
Nell foto, i laureati nella nuova laurea magistrale in Viticoltura ed enologia sostenibili alla Università Cattolica.
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