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Strage di Capaci, Montinaro: «Mio marito scelse di continuare a difendere Falcone»

Tina Montinaro

“Quando muore un poliziotto l’Italia intera ha perso. È importante dire ai giovani cosa è successo nel nostro Paese e cosa continua a succedere: dopo Falcone, la mafia ha cambiato volto e non possiamo correre il rischio di pensare che siano lontane da noi”. Sono le parole di Tina Montinaro, vedova di Antonio Montinaro, caposcorta di Giovanni Falcone, intervenuta martedì mattina, 10 ottobre, a Palazzo Gotico a Piacenza, insieme al procuratore della Repubblica Grazia Pradella e al questore Ivo Morelli. Oggi Montinaro si impegna a sensibilizzare gli studenti sulla memoria e sulla legalità attraverso l’associazione “Quarto Savona 15”, che prende il nome dalla Fiat Croma blindata su cui viaggiava la scorta del magistrato nel giorno della strage di Capaci. I resti di quell’auto, all’interno di una teca, sono rimasti davanti all’ingresso del Municipio di Piacenza per tutta la giornata del 10 ottobre.

“I magistrati andavano protetti”

Tina Montinaro, che afferma di sentirsi “moglie” e non “vedova”, descrive il marito Antonio come un uomo con un fortissimo senso dello Stato e della famiglia. “È cresciuto a Calimera, nel Leccese – ha raccontato – poi è entrato in polizia e nel 1986 si è trasferito a Palermo in occasione dell’apertura del maxiprocesso. A quel tempo la gente pensava che Falcone fosse un folle, si chiedeva chi stesse processando, dato che la mafia, come loro dicevano, «non esisteva». Il maxiprocesso ebbe un risalto a livello nazionale, e quindi i magistrati andavano protetti. Molti agenti furono mandati a Palermo, altri decisero di andarci: Antonio Montinaro scelse volontariamente di andare a difendere il dottor Falcone. Antonio ed io ci incontrammo a Palermo, lui aveva 24 anni e io 26. Non perdemmo tempo. Poco dopo rimasi incinta e ci sposammo. Antonio voleva mettere su famiglia nonostante i rischi del suo lavoro”.

“Quella bomba da 500 kg è entrata in casa mia”

“Gli agenti della scorta erano convinti che Falcone fosse una persona preziosa per il nostro Paese e non dovesse essere lasciato solo. Dopo l’attentato sventato all’Addaura nel 1989 – ha detto Tina Montinaro – la scorta doveva essere rafforzata. Ma, chi voleva aggiungersi, doveva farlo rinunciando all'indennità di rischio, perché il Ministero non aveva soldi. Quegli agenti non lo facevano per lo stipendio, ma per un profondo senso dello Stato. Mio marito Antonio Montinaro disse: «Io il dottor Falcone non lo lascio, se succede qualcosa mi verrai a raccogliere con il cucchiaino». Quel 23 maggio (1992, giorno della strage di Capaci, nda) si cambiò il turno con un collega perché voleva andare lui a prendere il 'suo' magistrato. Al mattino si mise a giocare con i suoi figli, Gaetano di 4 anni e mezzo e Giovanni di quasi due anni: fu l'ultima volta che lo vidi. Neanche dopo la sua morte, perché di lui non rimase nulla. Quegli agenti potevano scegliere se restare a far parte della scorta o farsi trasferire in un altro ufficio, ma decisero di continuare a difendere Falcone. È per questo forte senso delle istituzioni che noi oggi abbiamo il dovere di ricordare e imparare. Quella bomba da 500 chilogrammi (il tritolo usato da Cosa Nostra per far saltare in aria il tratto di autostrada A29, nda) è entrata in casa mia, io e i miei figli ne portiamo ancora addosso i segni. Ogni giorno vado in una città diversa a parlare di legalità perché Antonio Montinaro mi ha fatto capire cos’è il senso del dovere”.

“Gli uomini della scorta diventano persone di famiglia”

La procuratrice Grazia Pradella ha voluto ricordare agli studenti che la visione dell’auto accartocciata non fosse “una scena di una serie televisiva come Gomorra o Mare Fuori”, ma una testimonianza reale. “Nel 1992 ero un giovane magistrato – ha detto – ma dal 1995 in poi anch’io sono stata scortata e sono dovuta salire su quelle Croma”. La scorta fu assegnata a Pradella negli anni in cui si occupava, da sostituto procuratore al Tribunale di Milano, della strage di Piazza Fontana e di altre inchieste sulla criminalità organizzata, sul terrorismo e sui servizi segreti “deviati”. “Si parla spesso, giustamente, del sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due fari per noi magistrati. Ma è doveroso citare anche quelle figure che ci permettono di lavorare in sicurezza. Per un magistrato in pericolo, gli uomini della scorta diventano persone di famiglia. Alle loro mogli io lasciavo mio figlio da accudire. Hanno partecipato alla Prima Comunione e alla Cresima di mio figlio e ancora oggi, dopo 25 o 30 anni, ancora ci sentiamo per gli auguri di Natale o di compleanno. Questo è ciò che fanno gli uomini della scorta per noi magistrati e per la Repubblica”. Per questo motivo Pradella confessa che “parlare accanto a Tina è un momento di profonda gratitudine: quella macchina – ha detto – è un simbolo, ma deve essere soprattutto un insegnamento”.

Fiat Croma

Sopra, nella foto, i resti della Fiat Croma "Quarto Savona 15". Di spalle, il vicesindaco Marco Perini.

Le mafie sono ovunque

“Dopo Falcone – ha aggiunto la procuratrice rivolgendosi agli studenti – la mafia è diventata «le mafie», che non sono così lontane come pensate. La benestante Piacenza è stata toccata direttamente dall’organizzazione criminale più potente al mondo, la ‘ndrangheta: nel 2023 è diventata definitiva la condanna dell’ex presidente del Consiglio comunale perché appartenente alla cosca dei Grande Aracri. Ragazzi, crescete con la legalità che quella Fiat Croma vi chiede di imparare”.

Gli interventi delle istituzioni

In apertura, il vicesindaco di Piacenza Marco Perini ha sottolineato l’importanza, per le giovani generazioni, di riconoscere i fatti accaduti ascoltando la storia e di sentirsi chiamati in causa personalmente, coinvolti in una pagina di storia recente di cui non si può dire “Non mi riguarda”. Ha preso poi la parola il questore di Piacenza Ivo Morelli, evidenziando l’opportunità per gli studenti presenti – circa 400 – di ascoltare la testimonianza di Tina Montinaro. Il viceprefetto Attilio Ubaldi, citando il giornalista de “La Stampa” Carlo Casalegno, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1977, ha definito Antonio Montinaro “un uomo che apparteneva al «nostro Stato»”.

Francesco Petronzio

Nella foto, Tina Montinaro.

Pubblicato l'11 ottobre 2023

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