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Notizie Varie

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Groppi e Cova a Cives: «Come viene prodotta l’energia per le auto elettriche? Non demonizziamo il diesel»

giovannigroppi

“Le auto elettriche non sono la soluzione migliore per ridurre le emissioni”. Gli ingegneri Giovanni Groppi e Bruno Cova arrivano a questa conclusione dopo aver analizzato scientificamente l’intera filiera dell’elettrico, partendo dalla produzione dell’energia. In pratica, se l’energia elettrica è generata da fonti non sostenibili, il gioco non vale la candela. Se n’è parlato venerdì 15 dicembre al corso di formazione “Cives” all’Università Cattolica di Piacenza. Non solo l’energia in sé, ma anche i materiali e la questione dello smaltimento delle batterie deteriorate sono fattori che alimentano il dubbio sulla sostenibilità effettiva di un tipo di mobilità da molti considerata come “green”.

Emissioni inquinanti e climalteranti

Groppi, imprenditore, è docente all’istituto superiore di scienza dell’automobile di Modena; Cova vanta una lunga esperienza al Centro elettrotecnico sperimentale italiano (Cesi). Per introdurre il tema della serata, Groppi premette che “il tema della mobilità sta subendo un cambiamento mai visto prima. L’impostazione particolarmente attenta ai problemi ecologici – dice –, caratteristica delle politiche degli ultimi decenni, ha posto giustamente al centro dell’attenzione la cura dell'ambiente e la salute dell’uomo. In ogni campo, ma soprattutto in quello relativo alle emissioni in atmosfera, prevalgono e prevarranno sempre di più quelle soluzioni tali da assicurare il miglior compromesso tra le esigenze dell’ambiente e quelle del mercato, e l’evoluzione della mobilità sarà sempre più influenzata, se non determinata, da scelte ecologiche”. L’incontro parte da una distinzione fra le emissioni, inevitabili, dei motori termici. “Esistono emissioni inquinanti – spiega Groppi – dannose per la salute dell’uomo in modo diretto e locale, come l’ossido di carbonio, gli idrocarburi incombusti, gli ossidi di azoto NOx e il particolato PM, ed emissioni climalteranti, come l’anidride carbonica, che di per sé non è un inquinante. Quando espiriamo, tutti emettiamo CO2, che è presente sul pianeta nella crosta terrestre, negli oceani, nella biosfera. Un perfetto equilibrio ha permesso l'ambiente vivibile che conosciamo. L’anidride carbonica è un gas serra il cui accumulo in atmosfera causa il riscaldamento del pianeta dovuto all’effetto serra. Questo accumulo, che altera l’equilibrio che da millenni consentito la vita sulla terra, è causato dall’uomo e dalle sue attività, dalla rivoluzione industriale in poi. Le emissioni di CO2 hanno quindi un effetto indiretto e globale sulle condizioni di vita del pianeta: se l’Europa azzera le emissioni di CO2 non si risolve il problema, tutto il pianeta dovrebbe farlo”.

“La criminalizzazione del diesel non ha fondamento scientifico”

La legislazione in merito di inquinamento “stradale” negli anni ha raggiunto diversi traguardi, il 1991 segna un punto importante: da quel momento le norme europee sono vincolanti per l’omologazione dei veicoli e la loro vendita nel territorio dell’Unione Europea. “In 40 anni in Europa – continua Groppi – tra gli organi legislativi e di controllo e i costruttori si è sviluppato un rapporto virtuoso che ha portato a grandi risultati, di cui hanno beneficiato tutti i cittadini europei. L’abbattimento delle emissioni inquinanti è stato progressivo e rispettoso dei tempi tecnici di realizzazione, ma continuo e ambizioso. I costruttori hanno fatto grandi sforzi, ma è sempre stato garantito il rispetto della «neutralità tecnologica»: il legislatore fissa gli obiettivi, ai costruttori le modalità del raggiungimento di tali obiettivi”. Come siamo messi oggi? Un grafico mostra come, dalla classe di emissione Euro 0 all’Euro 6, sono stati raggiunti risultati importantissimi sul piano delle emissioni. “Vinta la battaglia contro le emissioni inquinanti – dice ancora – ci si è trovati a combattere contro un nuovo nemico: le emissioni di CO2. Nel 2016 tutti gli Stati europei hanno firmato l’accordo di Parigi (COP21), il primo vincolante in modo stringente sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica”. Ma Groppi, sulla base delle evidenze scientifiche elaborate, sostiene che “mercato e produttori in questi anni si sono comportati male, si sono fatte delle scelte controproducenti” che sarebbero “l’irrefrenabile ascesa dei suv, che emettono più degli altri segmenti di veicoli” e “la criminalizzazione del diesel”. “I motori diesel – osserva Groppi – sono notoriamente più efficienti di quelli a benzina e hanno un miglior rendimento. La criminalizzazione del diesel, senza motivi tecnici, ha spostato gli acquisti verso le motorizzazioni benzina, che hanno maggiori consumi e quindi maggiori emissioni di CO2. Quando si ragiona bisogna sempre tenere presente l’obiettivo finale: ridurre le emissioni di CO2 nel modo più rapido ed efficace”.

Se produrre energia inquina, l’auto elettrica non è “green”

Bruno Cova si concentra sull’origine dell’energia, un aspetto spesso trascurato quando si parla di mobilità. “Le riviste specializzate parlano di elettrico con emissioni zero, ma in realtà è un messaggio fasullo – afferma – perché si pensa solo dal serbatoio alla ruota. Ma, se si va a monte, si scopre che i processi di produzione dell’energia elettrica e di fabbricazione delle batterie generano emissioni”. Le cattive abitudini sarebbero altre. “In vent’anni il parco macchine italiano sta invecchiando: siamo passati da un’età media di 8,8 anni a 12,2 anni con 0,72 veicoli pro capite”. Questione ambientale a parte, la transizione all’elettrico comporterebbe ricadute anche su altri piani: “Avrebbe un grosso impatto sociale, in quanto si rischierebbe di perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro. E poi, in termini di convenienza, si rischia il mobility divide, perché le auto elettriche costano ancora molto di più rispetto a quelle a motore termico”. Al Cesi, Cova si occupa anche delle colonnine che erogano energia per le auto, che “dovrebbero avere a monte una rete adeguata”. Oggi “si sta puntando su colonnine sempre più potenti, perché ad esempio da fredde le batterie si caricano molto più lentamente”. Altre due questioni da tenere sotto controllo sono l’autonomia dell’elettrico, che permette di percorrere relativamente pochi chilometri con un “pieno”, e la reperibilità dei materiali, che avrebbe peraltro risvolti geopolitici, in quanto “la Cina detiene praticamente il monopolio su litio, cobalto e nichel”.

Le emissioni dipendono dal sistema di produzione dei singoli Stati

Due scenari ipotizzati. “Il futuro dell’auto non sarà elettrico, ma eclettico”, sostiene Groppi, che nel primo caso immagina che tutte le auto circolanti diventino da subito elettriche e l’infrastruttura risulti adeguata. “Il sogno dei commissari europei”, dice. Ad avallare la sua tesi è la piattaforma interattiva En-roads, che simula l’aumento della temperatura media globale nel 2100 a fronte di cambiamenti impostati dall’utente. Il sistema, aumentando al massimo l’elettrificazione del trasporto lasciando inalterate le altre componenti, restituisce il medesimo aumento di temperatura: 3,3 gradi centigradi. “L’auto elettrica ha punti di forza e di debolezza – afferma Groppi - non esiste l’auto a zero emissione. Ogni stazione di ricarica ha un mix energetico fra fossili e rinnovabili”. Quest’ultimo aspetto dipende dallo Stato in cui si effettua la ricarica. “In Italia, per ogni chilowattora di energia prodotto, si emettono 371 grammi di CO2. Con una Tesla model S, ricaricando in Italia si avrebbero 56 g/km di emissioni, in Francia – con il nucleare – 10, in Polonia – con centrali quasi esclusivamente a carbone – 136, ossia più del termico. Il paradosso è che, se quella Tesla che circola in Polonia fosse a motore termico, non potrebbe circolare in Europa perché non rispetterebbe i parametri”.

Combustibili di nuova generazione

Il secondo scenario prende in esame e-fuels e biocombustibili. I primi sono prodotti a partire da energia rinnovabile, con un elaborato processo che cattura anche la CO2 dall’atmosfera. Gli altri originano dalla combustione di materiali vegetali di scarto come oli e grassi. “I vegetali hanno già assorbito anidride carbonica con la fotosintesi; quindi, l’emissione va a pareggiare il vantaggio ottenuto senza emettere ulteriormente”. Lo scenario futuro sarà costituito dalla “coesistenza fra veicoli elettrici, e-fuels e bio-fuels”, sostiene Groppi, che avverte: “Il benessere dell’uomo viene anche da un equilibrio con sé stessi”. Infine, Cova riflette sul carico contemporaneo del sistema. “Se si ottimizzassero le abitudini di utilizzo – pendolari, utenti residenziali, flotte aziendali e trasporti pubblici – delle colonnine, il sistema ne beneficerebbe”.

Francesco Petronzio

Nella foto, da sinistra Giovanni Groppi e Bruno Cova.

Pubblicato il 16 dicembre 2023

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Patrick Zaki a Piacenza. «In carcere mi chiamavano Giulio Regeni per spaventarmi»

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Di “sogni e illusioni di libertà” Patrick Zaki ne ha vissuti tanti nei ventidue mesi in cui è stato recluso nelle carceri egiziane. Così ha deciso di intitolare il suo libro, che ha presentato lunedì 11 dicembre alla Camera del Lavoro di Piacenza, ospite di Cgil e Amnesty in un incontro organizzato in collaborazione con l’editore La nave di Teseo. Zaki, studente all’Università di Bologna, il 7 febbraio 2020, mentre tornava in Egitto a trovare i parenti, fu arrestato dalla polizia egiziana all’aeroporto del Cairo. Le accuse erano di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie e propaganda per il terrorismo. Da lì il calvario, con violenze e processi rinviati. Il 18 luglio 2023 è arrivata la condanna definitiva a tre anni ma, immediatamente dopo, la grazia concessa dal presidente Abdel Fattah al-Sisi, al termine di una lunga trattativa diplomatica con l’Italia, lo ha rimesso in libertà. Oggi Patrick Zaki si batte per i diritti delle minoranze e degli oppressi.

“Non smetterò mai di lottare per la libertà”

“Sono cresciuto in una famiglia copta, fin dal principio mi ho sentito una minoranza – dice Zaki, intervistato dal giornalista Mattia Motta –. Dovunque io vada mi sento di appartenere a una minoranza. La scintilla che mi ha fatto scattare la voglia di battermi per i diritti è stata nel 2011, in occasione della rivoluzione del 25 gennaio (migliaia di egiziani scesero in piazza per la rimozione del presidente Hosni Mubarak, che alla fine si dimise lasciando il controllo ai militari, nda). Vedevo gente morire in strada – racconta Zaki – perché manifestava per avere più diritti e uguaglianza di trattamento. Avevo 19 anni, molti giovani in quell’anno si affacciarono alla politica. Appena ho avuto la possibilità, mi sono trasferito a Bologna per prendere una specializzazione nei diritti umani, più precisamente nelle differenze di genere. Quello che mi ha fatto finire in galera è una sorta di punizione collettiva che ha fatto di me un esempio, sono finito in carcere per tutti. Tuttavia, anche quando sono stato scarcerato, non ho mai voltato le spalle al tipo di lotta che volevo fare. E che farò sempre”.

“La mobilitazione mondiale per la mia libertà mi ha salvato la vita”

Nel libro, edito da La nave di Teseo, Patrick Zaki racconta minuziosamente la sua esperienza in carcere. Un genere che nella letteratura, come ha ricordato peraltro anche Mattia Motta nel corso dell’incontro, è presente in diverse occasioni. “Credo di essere stato più fortunato della media – afferma Zaki –: quando sono finito sotto la lente delle autorità non ero digiuno di conoscenze, avevo già un’idea di cosa mi sarebbe successo, già prima avevo documentato migliaia di casi di persone recluse. Quando sono stato portato in carcere non è stata una sorpresa assoluta per me. Un prigioniero nelle mie condizioni non sa per quanto tempo dovrà restare in carcere, ma avevo paura che sarei stato lì a lungo. Ciò che non immaginavo è che il fatto suscitasse così tanto scalpore a livello internazionale, la gente è scesa in strada immediatamente. Questo movimento popolare ha fatto sì che alcune persone all’interno del carcere venissero a saperlo e me lo comunicassero: le manifestazioni a mio favore mi hanno dato la forza di andare avanti. Così, le autorità non hanno potuto fingere che non fosse successo nulla, mi hanno dovuto necessariamente portare davanti a un tribunale. In qualche modo, l’ondata di sdegno a livello internazionale mi ha salvato la vita. Le cicatrici (del carcere, nda) restano, ma cerco di andare avanti perché quel tipo di fatica non sia richiesta ad altre persone”.

“Mi chiamavano Giulio Regeni”

Prima di entrare nel salone Mandela della Camera del Lavoro, Zaki si è fermato davanti allo striscione giallo di Amnesty International che chiede “verità per Giulio Regeni”. Nel libro, Zaki spiega che i carcerieri, per impaurirlo, lo chiamavano col nome di Regeni, il ricercatore italiano ucciso in Egitto all’inizio del 2016. Ma l’effetto di quell’appellativo non suscitò in Patrick Zaki l’effetto voluto dalle guardie. “Ogni volta che venivo accostato a Giulio – spiega Zaki – non mi sentivo non all’altezza. Era un onore essere accostato a lui, una persona di grande spessore culturale. Non bisogna mai fermarsi, continuiamo a cercare giustizia per Giulio Regeni”.

“Il tempo in carcere non è mai utile”

“Quali risorse si mettono in campo per resistere alla reclusione e per far sì che non sia un tempo del tutto inutile?” gli chiede con una domanda registrata la giornalista Carla Chiappini, che per 14 anni ha condotto un laboratorio di giornalismo nel carcere di Piacenza. “È difficile pensare che il tempo in carcere possa essere utile. Io – racconta Zaki – ho adoperato risorse per renderlo sopportabile senza radio, libri o quant’altro. Ho passato il tempo in varie maniere: nel mio caso le difficoltà non si sono palesate all’inizio, come spesso accade, ma sono venute dopo. Passare 23 ore di una giornata chiuso in una cella mi ha fatto perdere la testa, il tempo diventa il principale nemico. Si inizia a farsi una serie di domande a cui non si può dare risposta. Cercavo il modo migliore. A un certo momento, siccome non avevo accesso a radio e stampa, minacciai uno sciopero della fame: mi diedero radio e giornali, ovviamente filtrati dalla censura del governo, ma che mi aiutavano almeno ad avere uno sguardo sul mondo. Credo che nessuno che passi tempo in carcere possa trovarlo utile”. Su quest’ultima affermazione, riferita alle prigioni egiziane, Mattia Motta chiarisce che “nei sistemi democratici il carcere dovrebbe avere tra le sue funzioni il reinserimento”.

96 giornalisti uccisi nel mondo nel 2023

Sullo schermo appare un planisfero: è la conta dei giornalisti uccisi nel 2023 elaborata dall’International federation of journalists. Sono 96 i colleghi che sono rimasti vittime durante l’esercizio del proprio lavoro, di cui 74 solo a Gaza. “Il corrispondente principale di Al Jazeera ha perso quattro figli e la moglie – dice Zaki – un mio amico giornalista, sempre di Al Jazeera, che stava facendo la telecronaca di un attacco aereo ha appena ricevuto la notizia che fra le vittime c’era anche suo padre. Io spero in un cessate il fuoco immediato (fra Israele e Palestina, nda), anche se c’è un mondo capitalista che non lo vuole. Ieri (10 dicembre, nda) gli Stati Uniti hanno posto il veto sulla risoluzione Onu. Nessun ostaggio merita di esserlo, speriamo che la pace arrivi il prima possibile”.

Un egiziano su cinque è copto: i cristiani sono discriminati

Uno dei motivi – pretesti – per cui Zaki è stato arrestato nel 2020 è la “diffusione di false notizie”. In particolare, il governo egiziano si riferiva a un articolo di giornale che parlava della condizione dei cristiani copti in Egitto (circa il 18-20% della popolazione, sebbene la notizia ufficiale diffusa dalle autorità parli di una percentuale molto più bassa) e, in particolare, del diritto ereditario che penalizzava le donne di religione cristiana. Zaki sosteneva che i cristiani copti non dovessero sottostare alla sharia, la legge islamica.

Francesco Petronzio

Nella foto, l'intervento di Zaki alla Camera del lavoro di Piacenza.

Pubblicato il 14 dicembre 2023

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A Bettola la prima «camminata della salute» con Ausl

valnure

Si è svolta domenica 10 dicembre la prima inaugurale "Camminata della Salute", iniziativa promossa da Ausl Piacenza, Casa della salute Comunità di Bettola, in collaborazione con MoveYourMind, associazione culturale sportiva con sede a Bettola proprio accanto alla Casa della Salute. Mym è una realtà nuova, da poco costituita che dà valore al senso di comunità e di salute affiancata e supportata da Ausl e dagli operatori della Casa della Salute tra cui l’infermiera di comunità. Insieme condividono l’obiettivo di promuovere corretti stili di vita: il ritrovarsi in gruppo per fare movimento diventa quindi il mezzo per trasferire conoscenze e informazioni grazie alla presenza degli operatori della Casa della Salute, oltre che a rappresentare un momento d’incontro.

Mym è stata riconosciuta associazione che promuove salute all’interno del progetto "Costruire salute" di Ausl e "Tutta salute" di Regione Emilia-Romagna in linea con il Piano Nazionale della Prevenzione 2021-2025. La collaborazione appena avviata è costruttiva e funzionale nell’offrire questa opportunità per prevenire l’eventuale sviluppo di malattie croniche (soprattutto nella fascia d’età over 65), riconosciute statisticamente dall’Oms come possibile maggior causa di decesso negli anni a venire. Il grande lavoro di co-progettazione tra Ausl e Mym ha dunque portato all’avvio di questa iniziativa che prevede per ora una camminata settimanale su un percorso cittadino definito da specialisti del settore di circa 4 chilometri che avrà come punto di partenza e di arrivo la Casa della Salute e la sede di Mym. Presenti alla camminata rappresentanti di varie associazioni tra cui Pubblica assistenza Valnure, Avis Bettola, le Panare ed il direttivo Mym. Per l’Ausl Casa della Salute comunità di Bettola erano presenti vari operatori sanitari del territorio: l’infermiere della specialistica ambulatoriale del servizio Adi, la nuova figura dell’infermiere di famiglia e comunità, risorsa messa a disposizione per tutte le uscite. Vivi complimenti sono stati rivolti da tutti i presenti, circa una ventina, alla signora Gabriella a breve ottantenne che ha affrontato con entusiasmo e simpatia la camminata portando a termine il percorso insieme agli altri. L’auspicio e l’augurio è che altre persone possano aggregarsi e dedicare un’oretta circa alla settimana a se stessi e alla propria salute. Prossimi appuntamenti il 20, 27 e 30 dicembre e ogni mercoledì dal 10 al 31 gennaio alle ore 14.30.

Pubblicato il 13 dicembre 2023

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Castel San Giovanni: una Casa nuova per camminare nella Carità

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“Sono molto contento che l’inaugurazione della Casa della Carità avvenga proprio nel giorno dell’Immacolata Concezione di Maria. A Lei è stata data la grazia della vicinanza a Dio perché la accogliesse e la donasse poi a noi, insegnandoci a non nasconderci e ad abbracciare la presenza di Gesù in mezzo a noi”. Queste le parole di don Andrea Campisi, parroco di Castel San Giovanni, durante l’omelia nella celebrazione dell’8 dicembre, al termine della quale sono stati inaugurati i locali della nuova Casa della Carità, che ora raccoglie le sedi di vari servizi caritativi castellani. “Credere che possiamo salvarci da soli è un’illusione: Maria ci mostra che per lei Dio non è qualcuno di cui avere paura, ma è soltanto amore. È lei, allora, la prima vera casa della carità, perché in lei ha abitato la Carità di Dio. Quando la carità tocca – anche solo sfiorandolo – il cuore dell’uomo, lo fa germogliare. E noi che di solito siamo sempre preoccupati, per un istante, ci meravigliamo: la paura è sconfitta e il cuore diventa come quello di un bambino, aperto e felice. Alla base della storia della nostra Casa della Carità c’è tutto questo. È un piccolo ma grande segno di un’umanità riconciliata con Dio e che cammina – senza arrivare, ma anche senza arrendersi – nella carità, cioè spinta da questo amore che sempre ci muove. Ora abbiamo una casa per camminare: sembra un paradosso ma è così. Apriamo una casa nuova non per rinchiuderci ma per camminare nella Carità”.

Alla celebrazione erano presenti anche le autorità locali e un nutrito gruppo di Alpini che hanno animato la messa. Dopo la benedizione, i presenti si sono recati nel cortile dell’oratorio di fianco alla collegiata, su cui si affaccia la Casa della Carità, per la visita dei locali e lo svelamento della targa. La Casa della Carità, che racchiude oggi le sedi di Carrello Solidale, guardaroba e Centro di Ascolto Caritas e San Vincenzo, è infatti intitolata al beato don Giuseppe Beotti: “Tutta la sua vita, fino al martirio, è stata testimonianza umile e credibile che vivere il Vangelo è possibile, e che amare i fratelli nella carità rende la vita più bella, più vera – ha aggiunto don Campisi –. Siamo contenti che questa Casa non sia in un luogo periferico ma qui nel cuore della nostra comunità cristiana, all’incrocio tra la chiesa con la liturgia, l’oratorio con la catechesi e, appunto, la carità”.

L'intervento di Alberto Amici

Ha poi preso la parola Alberto Amici, presidente della Fondazione Amici che ha finanziato la ristrutturazione dei locali: “Papà girava tanto per il mondo ma alla fine tornava sempre a Castello: questa era la sua comunità, la sua casa, il suo porto sicuro. E sono sicuro che, dal cielo, papà sarà molto contento di vedere quest’opera finalmente compiuta. Sono davvero grato a tutti quelli che hanno contribuito a rendere viva questa nuova Casa, perché solo attraverso il bene delle persone che hanno bisogno possiamo davvero realizzare noi stessi”.
Anche Dino Capuano, presidente del Carrello Solidale, ha espresso gratitudine: “Tutti i parroci e i sacerdoti che sono passati a Castello hanno collaborato per implementare i servizi caritativi. Anche nei momenti di maggiore difficoltà, abbiamo sempre trovato qualcuno che provvidenzialmente ci ha dato una mano anche nei bisogni più concreti. Ora torniamo a casa: la nostra sede ritorna qua vicino alla chiesa, dove è nata dodici anni fa l’idea del Carrello”.
Infine, è intervenuta anche l’assessore al welfare Federica Ferrari: “Questa Casa realizza l’idea di aiuto, collaborazione e comprensione per tutte le persone fragili. I volontari che opereranno qui sono persone straordinarie, educate all’ascolto, che hanno fatto della carità la loro ragione di vita. spero che questo diventi davvero un luogo di creatività. Una creatività che passa attraverso la sinergia tra tutti i servizi, la contaminazione tra esperienze diverse. Sarà un luogo vivo, capace di creare relazioni che spero possano dare le risposte giuste a tanti problemi del presente”.

Paolo Prazzoli

Pubblicato il 13 dicembre 2023

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I ladri entrano nella chiesa di Santa Rita: spezzata una croce e divelti i candelieri per rubare le offerte

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Furto nella chiesa di santa Rita: un gruppo di ladri è entrato lunedì mattina, 11 dicembre, intorno alle 10 per rubare le offerte dai candelieri. Il bottino è stato magro, solo pochi euro in monete. Ingenti invece i danni per i padri, Figli di Sant’Anna, e la comunità di Santa Rita: per prelevare le offerte i ladri hanno distrutto la parte posteriore di due candelieri, tra cui uno, del valore di 1.500 euro, appena acquistato col contributo dei fedeli. “Un’azione violentissima”, così la descrive padre Adelio Pedro Joao: i ladri hanno staccato una croce dalla parete di un locale adiacente all’altare per colpire meglio i candelieri, svuotati delle candele che sono state appoggiate sul presepe. Danni anche a una pesante lastra di marmo che è stata utilizzata con lo stesso intento.

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Nella foto, la croce spezzata nella chiesa di santa Rita.

Non c’è stato intento sacrilego

Nessun segno di effrazione sul portone d’ingresso della chiesa che, come ogni mattina, era aperta. È stato padre Bonifacio, entrato qualche minuto più tardi, ad accorgersi dei danni e ad allertare le forze dell’ordine. Poco dopo è arrivata la polizia per i rilievi del caso. “Per fortuna nessun confratello e nessun fedele era presente – dice padre Adelio –, la forza che i ladri hanno scaricato sugli oggetti è stata enorme, avrebbero potuto ferire qualcuno”. È da escludere con certezza un intento sacrilego: i ladri non hanno toccato né il tabernacolo né le reliquie di Santa Rita né i quadri né altri oggetti sacri. “È la prima volta che ci succede un fatto simile”, commenta amareggiato padre Adelio. La piccola chiesa di Santa Rita è molto frequentata da fedeli provenienti dalla città e dalla provincia, che ogni giorno – e in particolare al sabato e alla domenica – partecipano alla messa celebrata dai Figli di Sant’Anna. Ogni anno, il 22 maggio, in occasione della ricorrenza di Santa Rita, centinaia di automobilisti si fermano all’altezza della chiesa, sullo stradone Farnese, per ricevere la benedizione.

Francesco Petronzio

Nella foto sopra padre Adelio.

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