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Camoteca, il messaggio del Manzoni: prima o poi si manifesta la giustizia di Dio

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“Dopo il matrimonio di Renzo e Lucia comincia il post-romanzo, una microstoria in cui c’è tutto il «sugo» del racconto e dell’umanità intera”. È sul capitolo conclusivo dei Promessi Sposi, il trentottesimo, che si concentra l’incontro del 9 ottobre di Lunedilibri alla Camoteca. All’esegesi di Fabio Polledri, docente di Lettere al liceo Colombini, si accompagnano le letture di Sara Marenghi e Cristina Spelta, che insieme formano il gruppo teatrale “Le stagnotte”.

La “storia nella storia”

“Sul finale del romanzo – spiega Polledri – Manzoni fa alcuni cenni sui primi anni di vita matrimoniale tra Renzo e Lucia. Molti critici sono perplessi e si chiedono che necessità ci sia di inserire un altro lieto fine a una storia già conclusa”. Ma è proprio in quella “storia nella storia” che si cela l’insegnamento del Manzoni. “Come scrive Ezio Raimondi, nei Promessi Sposi c’è il lieto fine, ma non l’idillio, il «vissero tutti felici e contenti», la vita che scorre senza problemi. Manzoni fa questa scelta perché il «vissero tutti felici e contenti» nella realtà non esiste; e, perciò, in nome del suo realismo e della sua fede cristiana, l’autore non l’ha voluto. Nella vita terrena non esiste una felicità senza ombre”.

Renzo e Lucia abbandonano il paese natale

Quali ombre si allungano sul presunto “idillio”? “In primis, la morte di Fra Cristoforo, la figura che più di tutte aveva sostenuto e guidato Lucia. E poi l’«incompatibilità ambientale» di Renzo e Lucia: il paese natale evocava troppi ricordi traumatici, il cui peso avvelena l’aria. Dunque, gli sposi, insieme ad Agnese (la madre di Lucia, nda), si trasferiscono nel paese del Bergamasco in cui Renzo era già stato, ospite del cugino Bortolo. È una scelta definitiva, tant’è che Renzo, Lucia e Agnese vendono tutte le proprietà. Ma la destinazione, descritta da Renzo come un luogo di bella vita per convincere la moglie e la suocera, presto si rivela invivibile. All’inizio, l’«impiccio» che grava su Renzo di come investire l’ingente somma di denaro ricavato dalla vendita delle case al successore di don Rodrigo; e, poi, i pettegolezzi del paese quando si scopre che Lucia non è quella donna meravigliosa che la gente si aspettava. Quando le malelingue giungono alle orecchie di Renzo, il giovane si offende. Il malumore è così forte che inizia a rovinare il suo carattere, facendolo diventare scontroso e ponendolo «in guerra» con la maggior parte del paese. Il risultato è un nuovo trasferimento, in un altro centro sempre nel Bergamasco, dove Renzo e Bortolo acquistano una filanda e, dopo le prime difficoltà economiche, riescono a condurre una vita serena. Nasce la primogenita di Renzo e Lucia, Maria, e poi altri figli in numero imprecisato. Ma qualche «fastidiuccio» continua sempre a farsi presente”.

Pensare a “fare del bene” per stare meglio

Nell’abbozzo dei “Materiali estetici” Manzoni scrisse che “ogni finzione che mostri l’uomo in riposo morale è dissimile dal vero”. “È questa la ragione dei continui chiaroscuri”, spiega Polledri. “Dall’ultimo capitolo dei Promessi Sposi si possono trarre due insegnamenti – prosegue –: il primo è l’«utile ammaestramento» che Renzo ricava dai pettegolezzi e dalla decisione di trasferirsi per la seconda volta; l’altro sta nella riflessione generale dell’anonimo seicentista (l’autore del presunto “scartafaccio” trovato dal Manzoni, nda). Renzo impara ad avere più cura delle proprie parole e si rende conto dell’importanza di dare il giusto peso ai problemi, evitando di sopravvalutare questioni di poco conto. Ognuno desidera altro da quello che ha, dice Manzoni, «l’uomo, fin che sta in questo mondo, è un infermo che si trova su un letto scomodo più o meno, e vede intorno a sé altri letti, ben rifatti al di fuori, piani, a livello; e si figura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena s’è accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire, qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo preme: siamo, in somma, a un di presso, alla storia di prima». L’insegnamento è che bisogna pensare più a «fare bene» che a «stare bene»: in questo modo si riesce anche a stare meglio”.

Renzo e Lucia riflettono sul male patito

“Nell’ultima pagina si capisce il motivo della scelta, molto coraggiosa per i tempi, di porre come protagonisti due personaggi di ceto sociale umile”, dice il prof. Polledri. “Il «sugo del racconto» è come una morale, un faro che Manzoni mette per illuminare tutto il romanzo. Sono i due protagonisti a trovarlo, non è l’autore che tira le fila e neanche l’anonimo seicentista. E il «sugo» arriva in un momento dimesso, colloquiale, durante una conversazione domestica. Renzo e Lucia riflettono a posteriori sulle loro vicende, quelle condivise e quelle vissute dall’uno e dall’altra separatamente. Decidono di tornare su fatti sedimentati perché hanno bisogno di una comprensione più profonda per dare senso agli avvenimenti. La riflessione, che parte dai «guai» patiti, è sul dolore. I due, partendo da punti di vista diversi, arrivano alla conclusione: entrambi capiscono di aver fatto un passo avanti rispetto a ciò che già sapevano. Riflettendo, scoprono che il male non è solo la conseguenza di comportamenti non adeguati alle circostanze – come sostiene inizialmente Renzo – ma può avvenire anche senza aver compiuto azioni scatenanti. Lucia capisce che anche la condotta più innocente non basta a stare al riparo dai guai”.

Il “sugo” della storia

In conclusione, Polledri fa notare come il punto non sia “capire il motivo per cui arrivano i problemi, bensì nel modo di affrontare il male e la sofferenza”. “Manzoni scrive che «la fede in Dio ha il potere di raddolcire i guai», qualunque ne sia la causa. Nel verbo «raddolcire» sta il senso dell’azione di Dio, che non cancella i problemi, bensì ne toglie l’amarezza che ci preclude di credere che la vita sia bella e abbia un senso. Il «sugo» di tutta la storia – non solo quella di Renzo e Lucia, ma dell’intera umanità – è che prima o poi, o nella vita terrena o in quella eterna, si manifesterà la giustizia di Dio. Con la scusa di una storia (questo il titolo della serata, nda) Manzoni manda un messaggio a tutti”.

Francesco Petronzio

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Nelle foto, l'incontro sui Promessi Sposi alla Camoteca; in alto, da sinistra Fabio Polledri, Sara Marenghi e Cristina Spelta; sopra, il pubblico presente.

Pubblicato il 10 ottobre 2023

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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