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L’ex ministro Giovannini:«Abbiamo città che fanno male ad ambiente e persone, entro 20 anni vanno rigenerate»

futuro

“In Italia abbiamo città che fanno male all’ambiente e alle persone. Vogliamo che le nostre città siano sicure non solo dal punto di vista criminale, stradale, ambientale: devono superare la vulnerabilità di cui alcune zone, spesso periferiche, soffrono”. Sono le parole di Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile del governo Draghi e poi del Lavoro e delle Politiche sociali del governo Letta, cofondatore e direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS), intervenuto (da remoto) sabato mattina, 23 settembre, al Laboratorio aperto di Piacenza nell’incontro “Come immaginare e costruire la città del futuro?” del Festival del Pensare contemporaneo.

L’incontro

Al tavolo, moderato dalla giornalista architetta Paola Pierotti, sono intervenuti il curatore d’arte Matteo Lucchetti e l’architetto Cino Zucchi. “La domanda – precisa Giovannini – non è tanto ‘come’ vogliamo costruire la città del futuro, ma ‘cosa’ vogliamo costruire. Le nuove opere finanziate dal Pnrr devono essere costruite in maniera diversa: col progetto di fattibilità tecnica ed economica il progettista deve domandarsi non solo come ripristinare la sostenibilità, ma anche qual è l’impatto sulle disuguaglianze. È una novità che sta richiedendo un enorme sforzo ai progettisti, chiamati a lavorare in un modo nuovo, coinvolgendo chi si occupa di ecologia e rispetto degli ecosistemi. Questo salto di qualità fatto col Pnrr è stato ‘travasato’ anche nel nuovo codice degli appalti entrato in vigore a luglio”.

Un appello alle istituzioni

“I Comuni – dice Giovannini – devono dotarsi di tecnici competenti per fare bandi che prevedono premialità sia per le aziende che assumono sia per quelle che hanno proposte innovative sui materiali, sull’uso dell’energia. Fattori da tenere in considerazione come discriminante per scegliere un’impresa piuttosto che un’altra. Nel nostro Paese – continua – c’è un coordinamento nazionale per le aree interne, ma non per quelle urbane, i cui problemi sono demandati ai singoli Comuni. È assurdo che le associazioni dei Comuni non si siano mai battute per questo. Nei prossimi vent’anni abbiamo bisogno di rigenerare le nostre città e ridefinirle, perché molte costruzioni fatte nel secondo dopoguerra, che rischiano di avere problemi di stabilità o di altra natura, richiederanno forti investimenti di manutenzione. Peccato che manchi una legge. L’anno scorso la caduta del governo Draghi impedì l’approvazione della legge sulla rigenerazione urbana: abbiamo norme vecchissime che bloccano la rigenerazione. Dunque, per liberarci dai vincoli burocratici dobbiamo operare su più fronti, studiando norme tecniche e urbanistiche per una sostenibilità ambientale e sociale. È un peccato che questo problema sia totalmente assente dal dibattito politico attuale”.

Partnership pubblico-privato: “Attenzione ai progetti presentati”

“I fondi d’investimento sono sempre più vincolati dalla finanza a seguire le regole della sostenibilità ambientale e sociale – aggiunge Giovannini – e i Comuni si stanno rendendo conto che avere collaborazioni di questo tipo è una leva importante per fare cassa. In Italia è tradizione stringere partnership tra pubblico e privato, ma spesso i progetti presentati non hanno solidità finanziaria e finiscono per gravare sui bilanci pubblici. I Comuni devono essere più robusti da un punto di vista sia strategico sia tecnico nel valutare questi progetti. C’è bisogno di efficientare le case, renderle meno costose dal punto di vista energetico, e ripensare al funzionamento dei nostri quartieri. Una buona notizia è che il governo ha deciso di spendere i Fondi europei per la politica di coesione secondo le missioni del Pnrr; dunque, per progetti seri sulla trasformazione digitale ed ecologica. Spetta alle Regioni e ai Comuni cogliere le opportunità per dare una prospettiva decennale alle città con un’idea precisa su dove vogliamo andare. È l’occasione per pensare contemporaneo con una prospettiva futura da realizzare”.

Gli artisti “riparano” i danni provocati nei secoli scorsi

Matteo Lucchetti cura per la Fondazione Pistoletto il progetto “Visible”. “Riuniamo tutti gli artisti che si interrogano e affrontano in maniera creativa le sfide della società, come le disuguaglianze di genere e la giustizia sociale – spiega Lucchetti – e riparano cose che si sono rotte tra Ottocento e Novecento, in un periodo che ha portato sì grande progresso ma anche parecchie conseguenze di cui ancora oggi paghiamo il prezzo. Abbiamo trovato persone che stavano ridisegnando il proprio quartiere – prosegue – e le abbiamo chiamate a occupare i parlamenti delle varie città. A Parigi, ad esempio, ai rappresentanti di dieci progetti è toccato prendere «lo spazio della politica». L’idea di base è: come sarebbe la città se a discutere non fossero solo i politici, ma anche gli artisti?”. Il progetto dà voce a progetti che non sono visibili. “Questi artisti – spiega Lucchetti – non hanno la visione di un’opera d’arte che si debba immediatamente capire: oggi gli artisti vanno a riparare tutto ciò che nel mondo è stato rovinato da ingiustizia e sofferenza”.

“Non abbiamo più così tanto bisogno della città”

L’architetto Cino Zucchi fa notare la dualità del concetto di città. “Esiste una città fisica e una città delle relazioni, Marsilio Ficino parlava della città di pietra e della città degli uomini, indispensabili l’un l’altra per sopravvivere. Per definizione la città è il luogo di tutti – dice Zucchi -: le foto dall’alto delle città antiche ci appaiono stucchevoli, da ‘guida turistica’, ma ci sembrano naturali, hanno l’aria di un salotto all’aperto. Oggi però crediamo che una città che funzioni bene sia quella che risponde ai nostri attuali bisogni: spostarsi velocemente, avere i cinema multisala, i campi da tennis. Ciò che era importante nella città antica oggi ha perso rilevanza: non abbiamo più bisogno di vivere la città per fare shopping o per spettegolare, oggi possiamo fare tutto dal divano di casa. Dunque, oggi la città non è più un bene di lusso, non abbiamo più così tanto bisogno della città. È fondamentale, tuttavia, che il livello suburbano sia connesso”.

“L’architettura ha bisogno di un consenso”

Sulla bellezza, Zucchi evidenzia come l’architettura debba sottostare a regole diverse rispetto alle altre arti. “Il concetto di bellezza è cambiato negli anni, così come l’arte: Duchamp e Raffaello non sono paragonabili”, e allo stesso modo le architetture nei vari secoli. “La bellezza antica – prosegue Zucchi – si basava sul canone: se due persone erano in disaccordo bastava consultare Policleto o Vitruvio e avere una risposta esatta”. Oggi non esiste una risposta esatta. “Ascolto la radio che voglio, leggo i libri che più mi piacciono – commenta Zucchi – ma l’architettura è ‘piantata per terra’. E per esserlo deve piacere a tutti, ha bisogno di un consenso che ad altre forme d’arte non serve”.

“Climavore” e “Silent University”

Matteo Lucchetti sostiene che stiamo diventando “climavorici” perché sfruttiamo le risorse in modo non sostenibile. “Il salmone, ad esempio, ha un impatto incredibile sull’ecosistema. Se si considera il suo ciclo vitale, dagli oceani ai fiumi, è incredibile che sia diventato un alimento quotidiano”. Dall’esigenza di sostenibilità è nato il progetto Climavore, a cui aderiscono 60 istituzioni tra gallerie d’arte, musei, comunità, università, eccetera, si è dato come obiettivo quello di “servire a tavola solo alimenti che aiutino la rigenerazione delle acque e dei terreni”. A ottobre Climavore, annuncia Lucchetti, arriverà a Roma, al Campidoglio. Altra iniziativa presentata da Lucchetti è Silent University, che valorizza tutti i laureati che, immigrati da Paesi extra Ue, si vedono non riconosciuti i titoli accademici e dunque vengono “silenziati”. “Il progetto è partito dall’Inghilterra – precisa Lucchetti – e poi si è diffuso nei centri di accoglienza. Le persone del posto possono andare a imparare dalle competenze di queste persone, dall’altro lato gli scambi aiutano i laureati stranieri a inserirsi nelle città dove vivono”. Progetti, commenta Paola Pierotti, che “tengono insieme il business immediato e le prospettive di lungo periodo”.

Francesco Petronzio

pubb

Nelle foto: in alto, da sinistra, Cino Zucchi, Paola Pierotti, Matteo Lucchetti; sopra, il pubblico in sala.

Pubblicato il 23 settembre 2023

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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