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«Il mio amico padre Gigi è vivo»

Padre Maccalli è stato rapito in Niger nel settembre 2018. Il racconto di Mauro Carioni

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Padre Pier Luigi Maccalli è vivo: a confermarlo un filmato di 24 secondi arrivato alla redazione del quotidiano Avvenire tramite una fonte intenzionata a mantenere l’anonimato.
“Mi chiamo Pier Luigi Maccalli. Di nazionalità italiana. Oggi è il 24 marzo 2020”, queste le uniche parole del religioso, pronunciate in francese, e rese difficili da ascoltare dal vento che soffia in sottofondo.
Padre Maccalli, di 59 anni, è stato rapito in Niger da un gruppo Jihadista nella notte tra il 17 e il 18 settembre del 2018 nella zona a sud-ovest del paese, verso il confine con il Burkina Faso, dove operava come missionario per la S.M.A., Società Missioni Africane.
Con lui si trova Nicola Chiacchio, ingegnere di origine campana, rapito in Mali, dove viaggiava come turista, oltre 15 mesi fa. La sua dichiarazione è ancora più breve, “Mi chiamo Nicola Chiacchio”, e conclude bruscamente la registrazione.
Una testimonianza che quasi inquieta per la sua brevità, ma che dà la certezza che i nostri connazionali rapiti in Africa sono ancora vivi. Nelle immagini si possono distinguere uno accanto all’altro, entrambi molto dimagriti, e vestiti con abiti tipici del posto: padre Maccalli con occhiali da sole e folta barba bianca sulla sinistra, e Nicola Chiacchio con una lunga barba scura sulla destra.

In Niger dal 2007

Padre Maccalli, o meglio padre Gigi, come lo hanno sempre chiamato gli amici, si trovava dal 2007 in missione nella parrocchia di Bomoanga, villaggio a nord di Niamey, capitale del Niger. Questo territorio è situato vicino alla frontiera con il Burkina Faso, e per questo è crocevia di migrazioni e infiltrazioni jihadiste, oltre che zona fortemente arretrata e isolata per mancanza di vie di comunicazione.

maccalli2“Io e padre Gigi, amici da una vita”

Mauro Carioni, responsabile della casa famiglia Santa Lucia di Caorso per la Comunità Papa Giovanni XXIII, conosce padre Gigi fin dalla giovinezza, e ha continuato a rimanere in contatto con lui negli anni, nonostante la lontananza e le difficoltà nella zona di missione.
“Io e padre Gigi siamo amici da una vita - racconta Mauro -: ci siamo conosciuti alle scuole medie che abbiamo frequentato entrambi alla paritaria «Dante Alighieri» collegata al seminario vescovile della diocesi di Crema. Al liceo, durante il corso di teologia nel seminario unificato Crema-Lodi, lui ha conosciuto l’esperienza dei padri della S.M.A., e ha cominciato a maturare una vocazione verso la missione. Subito dopo l’ordinazione - continua -, nel 1985, è entrato a far parte della Società, e dal 1987/’88 ha iniziato a lavorare in una missione in Costa d’Avorio. Dopo un periodo in Italia in cui si occupato di formazione missionaria a Padova, nel 2007 è ripartito per la missione in Niger”.
Questo Paese dell’Africa occidentale è per buona parte desertico e conta alcune piccole città e villaggi solo nella parte meridionale. La popolazione vive principalmente di agricoltura, e la mancanza di vie di comunicazione, anche telefoniche, rende il territorio isolato e dimenticato.
“Cercavo di rimanere in contatto con padre Gigi per aggiornarmi sulla sua situazione - spiega Mauro -, ma avevo occasione di farlo solo una volta alla settimana, quando si spostava a Naimey, nella capitale, dove aveva la possibilità di telefonare. So che la sua azione non si fermava all’evangelizzazione, ma cercava di mettere in pratica la fede con le opere: si è sempre preoccupato dei bisogni sociali della parrocchia di Bomoanga, scavando pozzi, costruendo scuole e ambulatori, e organizzando corsi di formazione per i giovani contadini. Aveva anche una particolare predilezione per le persone disabili. Forse si potrebbe ipotizzare che proprio a causa di questa sua attività sia saltato all’attenzione dei gruppi jihadisti, anche se, in generale, ha sempre agito in difesa degli ultimi con molta discrezione, restando attento a non stare troppo in vista”.

Continuare a pregare

Sapere che padre Gigi è vivo riaccende la speranza, e, pur essendo lontani, abbiamo la possibilità di agire. “Quelle che possiamo mettere in atto - dice Mauro a riguardo - sono sostanzialmente iniziative di preghiera: penso alla messa che abbiamo celebrato per lui in Sant’Antonino a Piacenza nel febbraio 2019, ma anche alla messa in strada che si tiene davanti alla nostra casa famiglia in agosto, a cui anche lui aveva partecipato nel 2007 prima di partire per il Niger. Nella diocesi di Crema ogni 17 del mese, anniversario del rapimento, organizzano iniziative per mantenere viva la preghiera per lui, e se ne ricordano anche nella diocesi di Padova. Sarebbe davvero una grande gioia poterlo riavere per Pasqua. Nel frattempo manteniamo viva la speranza e continuiamo a pregare”.

Alberto Gabbiani

Pubblicato l'8 aprile 2020

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