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Notizie Varie

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Piacenza ha reso omaggio alle vittime della Shoah

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Anche Piacenza ha reso omaggio alle vittime della Shoah nella Giornata della Memoria; la cerimonia istituzionale  nel 77° anniversario della liberazione del campo di Auschwitz si è svolta nel Giardino della Memoria in Stradone Farnese 6.
Al saluto del Prefetto Daniela Lupo è seguito l'intervento del Sindaco e Presidente della Provincia Patrizia Barbieri, mentre a don Giuseppe Basini, parroco della basilica di Sant'Antonino, è stato affidato il consueto momento di preghiera.

Il discorso del sindaco Patrizia Barbieri

“Immaginatelo così, cio che è stato. Tre generazioni della vostra famiglia hanno vissuto insieme nella stessa città, nella stessa casa. I vostri genitori hanno dato tutto per crescere i figli, hanno costruito amicizie e relazioni sociali. All'improvviso gli viene ordinato di lasciare ogni cosa entro l'indomani, portando con sé una sola valigia”. Con queste parole Irene Fogel Weiss, nata negli anni '30 nell'allora Cecoslovacchia, ritornando ad Auschwitz per condividere la sua testimonianza di sopravvissuta, raccontava: “Non dimenticherò mai quell'ultima notte con la valigia sul letto. La riempimmo di cibo, di vestiti caldi, di lenzuola. Un orologio, un paio di orecchini e una fede nuziale come merce di scambio, ma in realtà non avevamo alcuna consapevolezza dell'inferno che ci attendeva”.
Mentre il treno si arrestava su quei binari che la storia ci ha consegnato, per sempre, come simbolo dell'ideologia nazista dello sterminio di massa, il suo papà intravvide i prigionieri in uniforme e le baracche: “Pensammo che, se ci avevano mandato qui per lavorare, la vita sarebbe potuta andare avanti. Ci aggrappammo alla speranza che avremmo potuto riabbracciarci ogni sera, dopo una giornata di fatica. Era quello, del resto, l'ingranaggio chiave della soluzione finale: l'inganno. La consapevolezza che le persone avrebbero fatto affidamento sulla propria normale percezione delle cose, fino alle estreme conseguenze: credere di essere mandati a fare una doccia, mentre ci si incamminava verso la camera a gas”.
Fu quello che accadde alla sua mamma, alla sorellina. Ma Irene – che si salvò perché sembrava più grande della sua età – lo avrebbe scoperto solo molti anni dopo, riconoscendole in una foto dell'epoca, mano nella mano in fila tra centinaia di donne, ragazze e bambine come loro, smistate lungo la cosiddetta “Judenrampe” come si fa con gli oggetti senza più utilità. Sul loro destino cadeva lo sguardo impietoso di ufficiali e medici delle SS: per i più piccoli, per le madri in attesa, per gli anziani e i disabili, così come per coloro che apparivano malati, la condanna era immediata, appena scesi dal vagone. Senza neppure procedere all'identificazione.
Era l'atrocità di un'efficienza perseguita e sperimentata scientificamente, che tra il 1943 e il 1944, quando le deportazioni raggiunsero il picco massimo, faceva nel solo campo di Auschwitz, rinchiuse tra le esalazioni dello Zyklon-B, 6000 vittime ogni giorno. Oltre 4000 – ma gli addetti sostengono che si arrivasse persino al doppio – i corpi esanimi bruciati quotidianamente nei crematori di Birkenau, dopo che altri detenuti, addetti a questa macabra, barbara procedura, ne avevano rimosso la dentatura d'oro e i capelli, perché il Reich potesse trarre profitto da quelle vite cui era stata tolta, prima ancora di ciò che aveva un valore economico, ogni forma di dignità e rispetto.

Educare i giovani a rifiutare ogni forma di razzismo


“Fino all'ultimo hanno tentato di eliminare tutte le persone possibili”, ricorda la scrittrice Edith Bruck, giunta ad Auschwitz non ancora 13enne, poi trasferita in altri lager sino a Bergen Belsen, dopo un'estenuante marcia della morte: “Era la fine della fine, anch'io ero ormai una specie di nullità: pesavo 20 chili. Ma i tedeschi non volevano lasciare testimoni e non dovevamo esistere nemmeno noi, né per loro né per quei pochi parenti sopravvissuti... C'erano macerie ovunque, eravamo macerie anche noi che siamo tornati. Pensavamo che un giorno il mondo si sarebbe inginocchiato davanti a noi per chiedere perdono per ciò che è stato fatto a degli innocenti. Invece non fu così... l'Europa era distrutta, c'era la fame... e noi eravamo una specie di avanzo”. Nonostante tutto, non ha mai dimenticato la promessa che fece, adolescente, ai compagni di prigionia che morivano intorno a lei: “Non ci crederanno, ma tu racconta. Se sopravvivi, racconta anche per noi”.
Perché è questo, il Giorno della Memoria: dare voce a chi può ancora testimoniare quell'orrore e ascoltarne le parole, custodirle, difenderle come un'eredita morale da cui le nostre scelte e il nostro impegno civile non possano mai più prescindere. Educando le giovani generazioni a rifiutare e contrastare il razzismo e la discriminazione, la sopraffazione dei forti sugli inermi, l'indifferenza di fronte alle richieste di aiuto e alla sofferenza del prossimo.
Nel 77° anniversario della liberazione del campo di Auschwitz, il nostro pensiero commosso e partecipe va allora ai milioni di donne, uomini, bambini e ragazzi che non hanno mai fatto ritorno dai campi di concentramento e sterminio, perché la loro religione, la loro appartenenza etnica, le loro idee politiche, il loro orientamento sessuale o il loro aspetto fisico non erano conformi alle aberrazioni dell'egemonia ariana. Alle centinaia di migliaia di vite violate e calpestate con brutalità feroce nei ghetti delle grandi città europee. A tutti coloro che subirono umiliazioni e torture indicibili, nel nome dell'odio antisemita e della persecuzione dei diversi.
Perché la volontà e il dovere di coltivare la memoria, di onorarne il significato e i tragici insegnamenti, sono essenziali nel far sì che nessuno, come ha scritto Primo Levi, debba più subire “l'esperienza non umana di chi ha vissuto giorni in cui l'uomo è stato una cosa agli occhi dell'uomo”.

Quattro medaglie alla memoria

In questa giornata di ricordo e riflessione comune, il prefetto Daniela Lupo, nell’assoluto rispetto della normativa vigente in materia di contenimento della diffusione del Covid-19, nel Salone delle Armi della Prefettura, ha provveduto alla consegna delle medaglie d’onore che ai sensi dalla legge 296/2006 vengono concesse ai cittadini italiani, militari e civili, ovvero ai familiari dei deceduti, che siano stati deportati o internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra nell’ultimo conflitto mondiale. Nella nostra provincia quattro sono le medaglie che sono state consegnate alla memoria:

CLAUDIO FAIMALI  (alla memoria) militare deportato dal 10/09/1943 al 25/05/1945 e internato A Witemberge – M.Stammlager III A Arb. KD.575;

RIZIERO LATRONICO (alla memoria) militare deportato dal 18/11/1943 al 06/09/1945 e internato in Germania.

LUIGI MERLINI (alla memoria) militare deportato dal 09/09/1943 al 25/04/1945 e internato a Forbach 12 F;

ALESSANDRO REPETTI (alla memoria) militare deportato dal 14/09/1943 al 15/05/1945 e internato in Germania.

Giornata della Memoria 102

Giornata della Memoria 066

Nelle foto di Carlo Pagani,  i momenti della Giornata della Memoria a Piacenza.

Pubblicato il 27 gennaio 2022

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Cadeo, anziani in soggiorno ad Alassio

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“Siamo tra i pochi Comuni che hanno organizzato la vacanza anziani in questo inverno, una scelta dettata dal desiderio che per i nostri over 65 non venga meno una preziosa occasione di socializzazione, dove poter godere della compagnia reciproca e guadagnarci in salute, nel pieno rispetto delle norme sanitarie oggi vigenti”. Così la prima cittadina di Cadeo, Marica Toma ha presentato il soggiorno ad Alassio di ben due settimane, che si concluderà il 28 gennaio e a cui hanno aderito 12 cittadini di Roveleto.

“Chi sta prendendo parte a questo soggiorno non ha dovuto sostenere i costi di trasferimento andata e ritorno, poiché il trasporto è offerto dall’Amministrazione, grazie al bando del trasporto scolastico”, aggiunge l’assessore Marco Bricconi che ha accompagnato gli anziani a prendere il bus di fronte al Municipio-. Auguro a tutti i partecipanti giorni sereni e spensierati, vista la grande prova che noi tutti, ma in particolare la terza età, ha dovuto affrontare in questi due anni a causa della pandemia”

“Soggiornare ad Alassio è uno splendido modo per abbandonare il grigiore e il freddo della nostra pianura in questo periodo dell’anno, domenica 23 gennaio con immenso piacere ho raggiunto il gruppo con la vicesindaca Amici per un saluto e una giornata insieme.   Li abbiamo trovati in ottima forma - conclude la sindaca Toma -. Fanno lunghe passeggiate ogni giorno, ottima cucina e personale della struttura recettiva gentilissimo. Un’esperienza sicuramente da riproporre il prossimo anno”.

Pubblicato il 25 gennaio 2022

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Rotary Piacenza: valorizzare il dialogo interreligioso

collage nuovo giornale

“Convivenza, inclusione ed accoglienza nella Piacenza multietnica e multireligiosa” è il tema del ricco dibattito, organizzato dal Rotary Piacenza, che ha visto protagonisti il vescovo mons. Adriano Cevolotto, il presidente della comunità islamica di Piacenza Yassine Baradai e il diacono della chiesa ortodossa romena Teodor Ursachi.
Moderati da Augusto Pagani, i tre si sono confrontati a distanza - online - sull’importanza del dialogo interreligioso per far crescere Piacenza, alle prese, inoltre, con una crisi demografica e qualche problema nell’integrazione, nella comunità locale, dei giovanissimi.

Baradai: c'è ancora molta strada da fare

 “La nostra è una comunità recente sul territorio - ha esordito Baradai - ha vent’anni, si è costituita nel tempo ed è composta da diverse etnie: albanesi, egiziani, marocchini, arabi, sub-sahariani. Al nostro interno la convivenza è pacifica: condividendo i valori si riescono a tenere insieme le persone”. Per Baradai Piacenza è “comunque accogliente e i dati lo dimostrano”. “Non è una città esclusiva - ha aggiunto -, dà opportunità. Se tanti stranieri abitano a Piacenza, è perché qui si può vivere, oltre all’offerta di lavoro. Altrimenti se ne andrebbero altrove”.
Si stimano 10mila musulmani residenti nel capoluogo. “Rispetto ad altre realtà riteniamo che vi siano molte più famiglie, quindi nuclei stabili, con figli che crescono qui”. Per il presidente della comunità islamica il dialogo interreligioso “è uno strumento utile per introdurli alla vita nella società, far capire quali sono i valori nei quali crediamo per convivere. L’unico aspetto negativo è che abbiamo ancora molta strada da fare”.

Vescovo Cevolotto: se c'è interesse a dialogare è un bene

A detta di tutti, il cammino è ancora lungo. “Vent’anni possono sembrare molti – ha precisato mons. Cevolotto - ma in realtà è poco tempo. Lo sappiamo, all’inizio da parte di molti piacentini ci possono essere stati «timori, paure, sospetti». Qualcuno si è sentito «invaso dal nemico». Con la paura e la difesa non si va da nessuna parte, bisogna comprendere e capire”. Per il vescovo l’accoglienza e il dialogo non coinvolgono solo l’ambito religioso. “C’è anche la questione della lingua, della cultura. Però il dialogo tra noi è importante, mi riferisco più a quello umano, tra le persone, rispetto a quello istituzionale. Se c’è interesse a conoscersi e dialogare è un bene”. Comunque la diversità è sempre arricchimento. “Le distinzioni non sono separazioni: essere differenti non significa essere contrapposti”. La diocesi spalanca le porte: “stiamo incontrando la comunità islamica, quella ortodossa e quella metodista”.

Ursachi: un dialogo umano

Il diacono ortodosso Ursachi ha concordato con il Vescovo. “Il dialogo, prima di essere religioso, deve essere umano. Se entrambi i confronti proseguono, si dimostra la comunione dell’uomo. A Piacenza tutto questo lo vediamo e ne sono felice, siamo ad un buon punto. Possiamo migliorare ma la base c’è”.

Pagani ha invitato gli ospiti a discutere dei possibili interventi per favorire l’integrazione e inclusione sociale, soprattutto dei giovani. “Sono arrivato in Italia a 7 anni – ha parlato della sua storia personale Baradai -. La cosa più brutta è sentirsi chiamare «straniero». Quando ho iscritto i miei figli a scuola, non ho apprezzato sentirli definire «stranieri» dalle maestre: sono nati e cresciuti qui. Non dobbiamo far percepire ai nostri giovani questa sensazione, da piccoli. Essere visti come «non italiani», «estranei», è frustrante. La maggior parte di questi bambini, quando crescono, vengono rifiutati anche dalla propria origine. Quindi si sentono respinti da entrambi i Paesi. Per questo auspico che la scuola sia più inclusiva, per far sentire tutti a casa propria”.
“Incontrando i veneti che sono emigrati nel mondo - è il ricordo del trevigiano mons. Cevolotto – ho notato che si sentivano stranieri sia in Italia che nel Paese che li ha accolti. È giusto entrare in un contesto senza dover rinnegare le proprie origini. Bisogna aiutare ciascuno ad essere sé stesso. Le differenze non devono farci opporre. Per i giovanissimi forse non è il dialogo interreligioso lo strumento più necessario, vivono altri problemi a quell’età. Ritengo la scuola e lo sport i due mondi dove i giovani possono sentirsi integrati”.

Anche Ursachi ha parlato della sua vicenda personale. “Come Baradai sono in Italia da quando ho 7 anni, ho fatto le scuole in questo Paese e noto che le persone che hanno Fede riescono ad integrarsi meglio, da tutte le parti. Infatti ai bambini e ragazzi ai quali facciamo catechesi insegniamo prima di tutto la bontà”. Per favorire l’integrazione, Ursachi ha ribadito l’importanza di “dare il buon esempio a chi non ha ancora l’intenzione di lasciarsi coinvolgere”. Cevolotto è conscio della delicatezza del cammino da intraprendere: in tutte le comunità ci sono ancora oggi molte persone che non sono disposte a dialogare. “Serve tempo per cambiare certe dinamiche – ha convenuto Baradai -. Noi, ad esempio, ci teniamo ad insegnare la nostra religione in italiano, perché parlare in arabo significa separare i mondi. I ragazzi apprezzano, perché così si tengono in equilibrio tra i loro due mondi”.

Nella foto, da sinistra, Yassine Baradai, il vescovo Adriano Cevolotto, Teodor Ursachi.

Pubblicato il 25 gennaio 2022

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«La forma del Cuore»: progettare con la robotica

rossetti paolo la forma del cuore

Imparare a costruire un'arnia con l'ausilio della robotica. E mettere la professionalità acquisita al servizio dell'inclusione sociale. È la nuova "sfida" formativa dell'associazione "La forma del cuore Aps", che partirà l'8 febbraio a Spazio 2 a Piacenza in via XXIV Maggio 53 (qui il programma completo) messa a disposizione da Asp Città di Piacenza. Il progetto vede l'associazione guidata dall'ingegner Paolo Rossetti (nella foto sopra) collaborare con la milanese OpenDot, uno dei più importanti Fab Lab Italiani. A tenere il corso sarà l'esperto  Alberto Ornaghi, Designer and Digital Fabricator.

Una figura professionale tra le più richieste

"Sappiamo bene - spiegano i promotori - che il mondo della produzione si sta orientando sempre di più alla robotica e all’automazione. Per questo imparare a progettare oggetti e ad usare una macchina a controllo numerico per produrli può aprirci tantissime strade anche dal punto di vista lavorativo. E non solo! Potremo dar forma alle nostre passioni per creare oggetti unici, belli e utili a qualcuno".

La figura professionale del progettista ma anche quella dell’operatore CNC è una delle più ricercate nel mondo del lavoro e possono essere svolte anche da persone con disabilità per la sicurezza della macchina CNC e la sua operatività di lavorazione.

Una macchina CNC (la sigla sta per “Computer Numerical Control”) è una macchina utensile che si avvale dell’utilizzo di un dispositivo elettronico (controllo numerico) per la gestione dei suoi movimenti. Le CNC vengono impiegate per realizzare oggetti di qualsiasi forma e tipo, dagli articoli di design a componenti meccanici di alta precisione, a oggetti unici per bisogni speciali che nessuno produce in serie. Le macchine a controllo numerico sono particolarmente diffuse nelle produzioni di tipo industriale, grazie alla loro notevole versatilità nell’eseguire la lavorazione di materiali molto diversi tra loro come acciaio, legno, plastica, polistirolo EPS ed XPS, metalli leggeri non ferrosi, poliuretani e tanti altri ancora.

"In buona sostanza, con una macchina CNC, è possibile lavorare la maggior parte de materiali in sicurezza e senza abilità manuali particolari - spiegano ancora gli organizzatori del corso -. Le funzioni e i movimenti di una macchina CNC sono predefiniti, ossia sono pre-impostati mediante l’impiego di specifici software. Proprio queste peculiarità, non solo rendono le macchine CNC ideali per effettuare lavorazioni di alta precisione, per le quali è richiesto un tempo di realizzazione generalmente lungo, ma impediscono anche alla macchina CNC stessa di interagire con l’ambiente esterno in maniera autonoma in caso di imprevisti lungo il percorso di lavorazione".

Un corso per imparare a progettare con la robotica

E così per avere ciber angeli sempre più bravi e utili ti proponiamo di imparare da zero a progettare con il software CAD/CAM Fusion 360, e realizza con la fresa professionale CNC Shopbot Alpha un’arnia complessa, come il modello “Barcellona”, sotto la guida di un vero esperto di OpenDot, uno dei più importanti Fab Lab Italiani che abbiamo avuto il piacere di conoscere.

Apprendere una tecnologia così complessa senza una guida esperta è molto difficile, può costare caro (danni su una fresa, su un pezzo e anche sulla macchina) e richiede molto tempo fino a farci scoraggiare e mollare tutto. "Ma la CNC è qualcosa di meraviglioso che ci può consentire di realizzare cose fantastiche non solo per il fai da te! E noi non vogliamo creare un gruppo di hobbisti - evidenzia l'ingegner Rossetti - ma di appassionati che risolvano problemi veri e creino oggetti unici ed utili come arnie per ripopolare di api il nostro pianeta, pedane per rendere accessibili le nostre case, strumenti per superare le nostre difficoltà quotidiane e aiutare chi non conosce ancora le possibilità delle tecnologie che abbiamo a disposizione".

Come partecipare

ll corso è organizzato, dall'8 febbraio, in tre settimane consecutive (i martedì e giovedì) a Piacenza con spiegazioni teoriche a cui seguono attività pratiche hands-on, per permettere una conoscenza approfondita e dare modo alle persone di lavorare sin da subito con le tecnologie utilizzate per realizzare un prodotto progettato e realizzato completamente al termine del percorso. Quattro lezioni da quattro ore (dalle 14.30 alle 18.30) si terranno nella sede dell'associazione "La forma del cuore" a Spazio 2. I due workshop di quattro ore ciascuno di fresatura con la CNC ShopBot Alpha, divisi in gruppi da 6, si terranno a Milano presso OpenDot (via Tertulliano 70), con viaggio in treno o in auto (le spese saranno divise tra i partecipanti).

Quota di iscrizione: 295 euro IVA inclusa; trasferta a Milano esclusa.

Iscrizioni: massimo 12 persone dai 15 anni in su - www.laformadelcuore.org - tel. 335.6968 980 oppure

Pubblicato il 26 gennaio 2022.

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Il geologo Rocca a Cives: i cambiamenti di Piacenza

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E’ ripartito il corso Cives per l’anno 2022, l’ospite della prima serata del secondo ciclo dedicato al futuro di Piacenza, il geologo Riccardo Rocca, che ha illustrato i cambiamenti della nostra città nel tempo attraverso un’analisi geologica e storica, dai primi insediamenti sino all’epoca attuale avvalendosi del sito internet: Piacenza : https : // riccardorocca . github . io / Piacenza_WalkMap/.
Il lavoro è nato dalla collaborazione con Michela Anselmi, creatrice di un blog turistico virtuale che attraverso la tecnologia digitale descrive gli aspetti della struttura del territorio piacentino e del suo paesaggio urbano. Piacenza Work Map permette a chi la utilizza di riconoscere la posizione dell’utente e di ritrovare attraverso stelline sulle mappe, i luoghi storici della città: cliccando sulle stelline è possibile aprire un post, dove compariranno schede di approfondimento. Le fonti di questo lavoro sono state attinte da numerosi siti internet, da lavori di associazioni piacentine come Achistorica, da conversazioni e pubblicazioni della dottoressa Valeria Poli e da foto di Giulio Milani.

Piacenza, dall'epoca romana al '900

Verificando gli aspetti geologici di Piacenza, si è partiti dalla fondazione nel 218 a.c. insieme a Cremona, come avamposto per contrastare la discesa di Annibale: due luoghi importanti per la viabilità, grazie alla presenza del fiume Po e posizionati in siti sicuri rispetto al rischio di inondazioni dello stesso fiume. Piacenza diventa poi, sempre in epoca romana, un luogo importante per le comunicazioni, sia per la presenza della via Emilia che della via Postumia.
Il dott. Rocca ha successivamente illustrato i luoghi dove furono costruite le mura Medioevali, in continuo mutamento man mano che la città cresceva, sino a quelle di epoca Viscontea e Farnesiana. Il geologo ha mostrato come le ultime mura fossero più difensive e con meno accessi, anche in ragione dello sviluppo delle armi e come cessasse l’esigenza di espansione della città aumentando invece quella difensiva. Uno sguardo finale poi sulle fortificazioni del ‘700 e dell’800, quando a Piacenza si stabilirono i Borboni, poi i francesi ed infine gli austriaci. L’impero austriaco mantenne guarnigioni dentro Piacenza, che pure non rappresentava più un luogo di confine, aggiornando le fortificazioni. Infine, con l’unità d’Italia, Piacenza continuò ad essere considerata una piazzaforte e le fortificazioni aumentarono, congelando la città dentro le sue mura e filtrando le relazioni con l’esterno.
Solo nel ‘900 Piacenza inizia di nuovo la sua espansione attraverso la fusione dei Comuni limitrofi: Sant’ Antonio, San Lazzaro e Mortizza, procedendo all’urbanizzazione delle zone al di fuori del perimetro delle mura Farnesiane. Forse il carattere dei piacentini ha risentito di questa chiusura della cittadella su sè stessa durata tanti secoli e di una congenita riluttanza per il nuovo, tanto da far perdere spesso alla città ed ai suoi abitanti occasioni culturali ed imprenditoriali importanti, speriamo nelle nuove generazioni e nella loro capacità di essere cittadini del mondo.

Stefania Micheli

Pubblicato il 25 gennaio 2022

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