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Provenzale (Cnr): «Il cambiamento climatico rischia di generare un mondo instabile e ingiusto»

 cnr

“I cambiamenti climatici ci sono sempre stati, ma in passato la temperatura media globale variava di un grado ogni mille anni, recentemente è aumentata di 1,1 gradi negli ultimi cento anni, con un picco nell’ultima parte del secolo. Se non riduciamo le emissioni ci sarà un aumento di altri quattro gradi entro il 2100”. Così dice la scienza, interpretata nella circostanza da Antonello Provenzale, direttore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) durante l’incontro che si è tenuto nella Cappella ducale di Palazzo Farnese lunedì 9 ottobre.

Incontro con gli studenti e col pubblico

La giornata, organizzata dalla diocesi di Piacenza-Bobbio in collaborazione con il liceo Colombini e il Comune di Piacenza, è cominciata già al mattino per gli studenti del biennio della scuola superiore che hanno ascoltato la “lezione” del ricercatore e hanno interagito con lui sugli impatti dei cambiamenti globali su ecosistemi e biodiversità, dopo l’introduzione della docente Barbara Vaciago e dell’assessora comunale all’ambiente Serena Groppelli. Nel tardo pomeriggio il secondo incontro, aperto al pubblico, introdotto da Paolo Rizzi, docente dell’Università Cattolica, con i saluti dell’assessore comunale alla cultura Christian Fiazza. L’iniziativa si è svolta nell’ambito della Giornata per la custodia del Creato.

Il pianeta resisterà, le specie viventi no

In sostanza, al processo naturale di cambiamento del clima si aggiunge dannosamente l’impatto dell’uomo, che fa accelerare enormemente il riscaldamento globale. “Non dobbiamo preoccuparci tanto per il pianeta, che non è in pericolo – evidenzia Provenzale – perché nei secoli è già riuscito a resistere a mutamenti radicali. In pericolo sono le specie viventi e, fra queste, il genere umano: molte colture oggi praticate nel mondo non saranno più sostenibili, e le ricadute del riscaldamento globale sull'economia porteranno nuove migrazioni di massa. E, di conseguenza, si favorirà la formazione di società distopiche, guidate da governi autoritari, che costruiranno muri per arginare gli arrivi”.

Il problema non può essere ideologico

Dunque, che fare? Dopo una lunga illustrazione scientifica, il ricercatore consiglia di evitare “la politica dello struzzo, dicendo che non sta succedendo nulla”, ma anche “l’approccio dell’ecoansia, comprensibile, ma poco utile se non si agisce concretamente”. È sbagliata, secondo Provenzale, anche la politicizzazione del fenomeno. “La destra dice che non c’è cambiamento climatico, la sinistra dice il contrario. Ma ci sono basi scientifiche che permetterebbero di tenere una lucidità di giudizio: sarebbe costruttivo passare da un generico allarme alla concretezza, chiedere un pragmatismo alla discussione ed evitare che diventi ideologica”.

“Non stiamo facendo nulla per diminuire le emissioni”

Commentando l’alluvione dello scorso maggio in Romagna, Provenzale dice che “nessun evento singolo può essere ascritto al cambiamento climatico; tuttavia, si può lavorare sulla frequenza e sull’intensità dal punto di vista statistico. Se l’atmosfera ha una temperatura più alta, c’è molta più energia. E, dunque, se in media cade la stessa acqua, questa è distribuita in maniera diversa. Questo spiega perché in alcune zone degli Stati Uniti gli eventi estremi sono aumentati del 20%. Una concausa delle alluvioni è anche la siccità, molto evidente nella zona del Mediterraneo”. L’unica soluzione per invertire la rotta è ridurre le emissioni di gas serra. “Attualmente non stiamo facendo nulla per diminuirle – afferma Provenzale – ad oggi, la durata di un periodo molto siccitoso è di otto settimane, ma in futuro potrebbe arrivare fino a 20 mesi, stressando la salute e l’ambiente”. I ricercatori, costretti a lavorare basandosi sulla realtà, studiano come gestire le risorse idriche in una condizione di grande variabilità interannuale. “Abbiamo bisogno di tecniche di gestione adattive – spiega Provenzale –: il problema è capire dove costruire nuovi invasi, dighe e bacini e affrontare i problemi politici connessi.

Un collasso annunciato

Quando collasseranno agricoltura e società? “È difficile dare previsioni precise – risponde il ricercatore – si può valutare per ciascun tipo di sistema, che reagisce in modo diverso, la probabilità di collasso per un aumento di temperature di uno, due o tre gradi. Ad esempio, i coralli già oggi sono molto rovinati, l’artico è a rischio e il futuro dell’agricoltura dipende dal tipo e dal luogo. Da un’osservazione complessiva emerge che il rischio di collasso di molti sistemi avviene con un aumento di due o tre gradi rispetto al livello preindustriale, quindi, fra uno e due gradi rispetto a oggi. Non significa che ci sarà la fine del mondo, ma i costi per riparare ai danni saranno insostenibili per molti. L’auspicio è che l’aumento non superi il grado, al massimo. Gli effetti dei cambiamenti climatici non sono direttamente conseguenti a un’azione: ad esempio, se c’è un limite di 50 km/h e vado a 60 km/h, non mi schianto subito. Così come se vado a 30 km/h non azzero il rischio. Ma se vado a 120 km/h la probabilità di schiantarmi sale notevolmente”.

Altri problemi passano davanti a quello climatico

“Rispetto al periodo della grande enfasi del Green Deal (2019, nda), sembra che in Unione Europea la tassonomia delle attività sostenibili si stia fermando”, fa notare Paolo Rizzi. È della stessa idea Provenzale, che elenca i motivi del rallentamento. “In primis, il problema non può essere risolto solo dall’Europa; poi, c’è una crisi economica strisciante in tutto l’Occidente che rischia di esplodere in modo devastante; infine, le guerre ai confini danno una preoccupazione enorme. Il quotidiano è arrivato a non potersi permettere di occuparsi di problemi non immediati, sebbene gli effetti del cambiamento climatico, quando si presenteranno con tutta la loro forza, potranno essere catastrofici”.

Il rischio per la società? Un mondo instabile e ingiusto

Il tema ambientale è al centro del Tempo del Creato, così come è un punto cardine dell’agenda di Papa Francesco, come testimoniano la enciclica Laudato Si’ (2015) e la recentissima Esortazione apostolica, Laudate Deum (2023). “Sono colpito positivamente dall’azione del Papa – afferma il ricercatore – che ha dedicato al tema ambientale due testi molto precisi e «severi». Credo che uno dei motivi dell’attenzione del pontefice a quest’argomento sia nella preoccupazione che il problema, quando si manifesterà al massimo della sua potenza, possa portare a un’instabilità molto forte e a un mondo fondamentalmente ingiusto. A quel punto, per fronteggiarlo, il rischio a mio avviso è che si vada verso società autoritarie e confini armati: questo, dal punto di vista etico e religioso, sarebbe un disastro”.

Francesco Petronzio

Pubblicato l'11 ottobre 2023

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