Convegno a S. Antonio a Trebbia. Antenucci: sperare contro ogni speranza
È nel salone parrocchiale di Sant’Antonio a Trebbia che, nella serata di lunedì 15 gennaio, l’Azione Cattolica della parrocchia, in collaborazione con la Commissione Pastorale per la salute della diocesi di Piacenza-Bobbio, ha organizzato un convegno dal titolo “La cura è il grembo dell’essere”. Presenti alcuni esponenti del mondo del volontariato – tra cui il fisiatra Roberto Antenucci e Dario Sdraiati, membro dell’AVO oltre che responsabile Settore adulti dell’AC diocesana – i quali hanno riportato le proprie esperienze personali relative alla cura, fulcro del loro operato. Tra i relatori, anche Itala Orlando, dell’associazione “La Ricerca”.
Sorgente di vita nuova è la cura
La nascita non ci rende subito pronti a vivere – inizia Itala Orlando citando lo scrittore Alessandro D’Avenia – ed è la cura ad accompagnarci lungo questo cammino. Itala racconta di un viaggio dal Papa a cui ha di recente partecipato insieme ad altri dell’associazione di cui è parte; un viaggio che le ha permesso di toccare con mano come la rinascita della persona avvenga tramite un percorso di cura vicendevole. “Le nostre relazioni sono cambiate e in esse siamo rinati. Sono nate amicizie di cura” dice. Dopo aver ricordato che prendersi cura dell’altro non è compito solo delle comunità cristiane ma dell’essere umano indipendentemente dall’appartenenza religiosa, Itala parla del volontariato come di una risorsa aggiuntiva che non deve mai dimenticare di avere in sé una componente di critica sociale atta a portare in superficie eventuali criticità non per criticare ma per provvedere a migliorare lo stato delle cose. A tal proposito, Itala Orlando chiama in causa il gesto povero, ossia quel gesto che non può fare chissà che miracolo, che non cambia lo stato delle cose ma che dà una tonalità migliore alla vita, rendendo quest’ultima degna di essere vissuta.
Semplicemente presenti
I gesti poveri Dario Sdraiati li conosce bene. Unico della sua numerosa famiglia ad aver fatto l’università, è cresciuto con la gratitudine nel cuore, sentimento che nel tempo è sfociato nel dovere e nel desiderio di restituire quanto ricevuto. Così, da tanti anni nell’Associazione Volontari Ospedalieri, dedica il proprio tempo nella visita ai malati. Un ascolto attento e attivo e una presenza premurosa, fraterna e amichevole è tutto ciò di cui i malati hanno bisogno. Noi non risolviamo certo i loro problemi – prosegue Dario - non li guariamo fisicamente ma possiamo riaccenderli cioè guarire le persone interiormente e confortarle. Interessarsi di loro e farsi presenti, avendo rispetto del ritmo e dello stato d’animo loro. Affacciarsi, con dolcezza, nella stanza e ponderare se in quel dato momento c’è bisogno di spezzare la solitudine. Domandare semplicemente “come stai?” e talvolta parlare in piacentino per farli sentire a casa. Basta poco, fa capire Dario. Una presenza libera e gratuita è la chiave dell’operato del volontario. Dario si sofferma quindi sul significato che ha per lui la gratuità; una cosa diversa dal dono. “Quest’ultimo, nella nostra visione delle cose, condizionati dalla logica materiale e commerciale, solitamente implica uno scambio e lo scambio, per sua natura, non è gratuito” spiega. Per Sdraiati, la gratuità è quel moto interiore che attiva meccanismi psicologici e suscita reazioni che, a volte, diventano relazioni, spesso complesse e non sempre controllabili. Insomma, la gratuità può creare imbarazzo nel beneficiario ma non debiti materiali.
Non guarire per forza ma curare sempre
“Sperare contro ogni speranza” è il motto del dottor Roberto Antenucci che, tra gli ospedali di Piacenza e Fiorenzuola, si occupa di riabilitazione, principalmente neurologica e respiratoria. Dichiara di essere cresciuto insieme ai suoi pazienti molti dei quali infatti, generalmente afflitti da patologie che necessitano di lunghe cure, talvolta lunghe quanto una vita, conosce dall’inizio della specialità. L’irrecuperabilità è un termine che Antenucci bandisce dal proprio vocabolario in quanto c’è sempre un lavoro da fare – collaborando in équipe e mai da soli – quantomeno per far stare meglio e per far raggiungere al paziente la maggiore autonomia possibile. “C’è sempre qualcosa che si può costruire e tirare fuori, dalla relazione alla bellezza della persona. Mentre la relazione è la metà fondamentale della cura perché dà la speranza di poter migliorare la vita, la bellezza dentro ogni malattia è un paradosso ma è reale” spiega il fisiatra. Compito fondamentale dei medici – che non devono spezzettare la persona secondo la medicina d’organo ma fare propria quella che vede la persona nella sua globalità - è per Roberto Antinucci far scoprire al paziente la bellezza, tenuta nascosta dalla sofferenza ma che, una volta scoperta, viene rimandata al medico sotto forma di speranza e cioè quindi di desiderio di lottare e di farsi curare, cosa mai scontata. Come fare? “La persona esprime la bellezza quando sente che qualcuno se ne sta prendendo cura” dice. E come prendersi cura? Con tempo e pazienza. Il tempo – continua Roberto Antenucci - quando lo vogliamo trovare e non anteponiamo scuse, è sufficiente anche perché esso si dilata nel momento in cui si offre cura. La pazienza è sia rispettare il dolore e, con esso, anche la volontà della persona sia ripetere per la 101esima volta la stessa cosa con il tono di chi la sta dicendo per la prima volta. “Noi medici, quando non possiamo guarire, dobbiamo curare che significa accompagnare e aprire una finestra di speranza che, anche se piccola, può far intravedere un mondo.
Elena Iervoglini
Nella foto, i relatori al convegno "La cura è il grembo dell'essere” svoltosi a Sant'Antonio a Trebbia.
Pubblicato il 17 gennaio 2024
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