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Notizie Varie

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I nostri giovani saranno più poveri dei loro genitori. Mozzoni a Palazzo Galli

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La diseguale distribuzione della ricchezza fra Paesi del mondo fonda anche un suo principio nella teoria del circolo vizioso della povertà. Ma siamo proprio sicuri che la povertà sia un circolo vizioso da cui non è possibile uscire? Di questo pregiudizio ha parlato l’avv. Francesco Mozzoni il 28 ottobre nella Sala Panini di Palazzo Galli della Banca di Piacenza. Il prof. Mozzoni, con alle spalle anche 34 anni di insegnamento in vari Istituti Superiori, tra cui il Romagnosi di Piacenza, ha confutato questa tesi secondo la quale i Paesi poveri sarebbero condannati a rimanere sempre poveri, perché avrebbero solo abbondanza di lavoro, ma mancanza di capitali. Il relatore, non condividendo questo assioma, ha portato degli esempi che dimostrano come alcuni Paesi un tempo scarsamente sviluppati, siano riusciti a cambiare marcia attirando capitali dall’estero. Il capitale, dunque, è un fattore di sviluppo tanto quanto il lavoro. “Infatti - ha affermato Mozzoni - i capitali stranieri sono attirati dal basso costo della mano d’opera dei Paesi poveri e questi crescono perché il capitale crea benessere, al di là di quello che dicono i detrattori ad ogni costo del sistema capitalistico”. I lavoratori dei Paesi in via di sviluppo aumentano i consumi, quindi viene stimolata la produzione interna che consente la formazione di piccoli risparmi che formano il primo nucleo di un capitale nazionale.
“È sulla base di questo schema - ha puntualizzato l’avvocato piacentino - che si sono sviluppati Paesi come la Cina, l’India, il Brasile e tanti altri stanno seguendo la stessa strada”. La domanda, che però sorge spontanea, è come mai tanti Paesi sono in crescita mentre l’Europa rimane in una crisi perpetua? Per il prof. Mozzoni la parola più precisa da usare, invece di crisi, è quella di recessione: il prodotto interno lordo diminuisce.
“In questo contesto in Italia, come in altri Paesi europei, - ha aggiunto il prof. Mozzoni - c’è tanta più gente che vive sotto la soglia di povertà, tanta gente che fa fatica ad arrivare a fine mese, la recessione e le distanze sociali aumentano. Viviamo in un periodo in cui l’inflazione è ferma, infatti i prezzi non sono cresciuti rispetto a 10 anni fa. La gente non aumenta i consumi, il denaro non circola e rimane nelle banche”.
Cosa fare per uscire dalla crisi?
L’unica maniera, secondo Mozzoni, per uscire dalla recessione sarebbe quella di mettere un po’ di soldi in tasca alla gente aumentando gli stipendi, ma l’Italia non può permetterselo perché troppo indebitata.
Da questa situazione purtroppo l’avv. Francesco Mozzoni non vede molte vie di uscita e fa delle previsioni negative per il futuro in cui sarà molto difficile battere la concorrenza dei Paesi emergenti. I giovani di oggi, quelli che hanno 25, 30 anni saranno la prima generazione del dopo guerra che avrà un tenore di vita più basso di quello che hanno avuto i loro genitori.

Riccardo Tonna

Pubblicato il 30 ottobre 2019

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«Grazie a Dio», un film sulle ferite della pedofilia

Immagine del film Grazie a Dio

“Grazie a Dio”, il titolo, è il lapsus freudiano di monsignor Barbarin, cardinale di Lione, che, dopo anni di accuse verso un suo prete,padre Preynat, durante una conferenza stampa, a margine dell’imminente processo al sacerdote imputato, si lascia sfuggire un “grazie a Dio, i reati sono prescritti”. Ora è il titolo di un film proiettato a fine ottobre al cinema Corso a Piacenza. La storia, basata su fatti veri avvenuti fra il 1986 e il ‘91, racconta le vicende di Alexandre che vive a Lione con la sua famiglia. Il protagonista scopre che padre Preynat, il prete da cui aveva subito abusi quando faceva parte del gruppo degli scout, continua il suo ministero sempre a contatto con dei bambini. Inizia allora la sua personale battaglia con l’aiuto di François ed Emmanuel, anch’essi vittima del sacerdote, per raccontare le responsabilità del prete. Col passare del tempo e con l’aumento del numero delle vittime del sacerdote che decidono di venire allo scoperto si forma un’associazione che decide di costituirsi in giudizio legale. Il regista François Ozon ha tratteggiato la storia partendo dagli incontri con i veri soggetti della vicenda che, dopo essere stati al centro di numerose inchieste televisive, hanno chiesto di raccontare i fatti in modo corretto.
Ne è uscito un film, riconosciuto dall’Orso d’argento all’ultimo festival di Berlino, che ripercorre, senza sbavature, le varie fasi della vicenda sulla pedofilia nel clero francese che hanno portato alla condanna di Preynat, da parte del Tribunale ecclesiastico, della pena massima cioè la dimissione dallo stato clericale, in attesa del processo civile di cui non è ancora stata fissata la data. Mentre il cardinale Philippe Barbarin è stato condannato in primo grado dal tribunale civile per omessa denuncia di maltrattamenti su minori a sei mesi di carcere, con la sospensione della pena per la condizionale, lo scorso marzo.
Il Cardinale, che ha incontrato per la prima volta la vittima nel 2009, ha poi rassegnato le proprie dimissioni da arcivescovo di Lione, davanti a papa Francesco, il quale non le ha accettate ma
ha lasciato il Cardinale libero di prendere la decisione migliore per la sua diocesi. Barbarin, che ha sempre respinto con decisione l’accusa di aver coperto gli abusi sessuale di un sacerdote su diversi giovani, ha così deciso di ritirarsi per qualche tempo e di lasciare la guida della diocesi al vicario generale moderatore, padre Yves Baumgarten.
Barbarin ha tenuto a dissociare la propria volontà di dimettersi per il bene della diocesi dalla condanna per la quale ha
presentato ricorso in appello.
La figura del Cardinale, nella visione del film, fa emergere lo stile clericale che ha contraddistinto il modo di affrontare il problema della pedofilia nella Chiesa. Il suo atteggiamento, che sembra volere apparentemente fare chiarezza sulla linea di papa Francesco, non ha, per il regista, il coraggio di fare scelte forti e chiare a sostegno delle vittime degli abusi.
Il regista, senza eccessi o esuberanze, lascia filtrare l’emotività dei suoi protagonisti, che riescono a tramettere il loro vissuto grazie anche all’ottima interpretazione calibrata dei bravi attori del cinema francese.
Un racconto che vuole presentare le situazioni con realismo senza cadere in enfasi narrative come dice lo stesso regista: “il tema è così forte che non c’è bisogno di spettacolarizzare ulteriormente”.  È dunque la storia di un fedele cattolico, abusato da piccolo, che chiede alla chiesa di dimostrare al mondo intero la sua coerenza su un tema grave e irrinunciabile. Una coerenza che purtroppo tante volte non c’è stata e che oggi deve essere affrontata con verità a difesa delle vittime.

Pubblicato il 31 ottobre 2019

Riccardo Tonna

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Transumanza, una grande festa che unisce la montagna piacentina e genovese

transu 2 

Sono partiti la domenica mattina, da Torrio di Ferriere, ultimo paese della Valdaveto ancora all’interno della provincia piacentina. Il clima della giornata sembrava dei più belli e ad attenderli al termine del viaggio c’erano oltre tremila persone. Gli ingredienti per una giornata memorabile c’erano tutti. E una bella domenica di festa la è stata eccome.
A Santo Stefano una grande folla ha atteso domenica 27 ottobre l’arrivo della “Transumanza 2019”, il tradizionale evento che unisce la montagna piacenza a quella genovese (ma tutto all’interno della nostra Diocesi). Tra due ali di folla, nel capoluogo genovese, sono così arrivate mucche, asini, cavalli, insieme agli allevatori, a diversi bambini e giovani, e anche alcuni figuranti in costume, che hanno voluto ricordare ancora meglio le tradizioni dei loro nonni. Una domenica all’insegna del “come si faceva una volta” che ha fatto divertire ed emozionato i numerosi presenti, arrivati da ogni dove, per una tradizione che richiama sempre più appassionati.

Pubblicato il 30 ottobre 2019

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Africa Mission, 236 persone alla «Cena con Procida»

cena

“Sono le due e mezza di mattina e l’ultimo gruppo di volontari della Parrocchia di Santa Franca ha appena finito di pulire e rassettare la cucina, e si siedono per fare due chiacchiere. Ti aspetteresti che vogliano fare un breve saluto e andare a letto e invece ci chiedono: ma in Uganda quanti volontari ci sono? e famiglie locali che lavorano con Africa Mission? e con i pozzi a che profondità arrivate? Ecco cos’è una cena solidale –racconta Carlo Ruspantini, direttore del movimento di don Vittorione- persone che gratuitamente si mettono in cucina la sera alle 19,00 e ne escono alle 2,30 di mattina dopo aver pulito decine pentole, 900 piatti, 300 bicchieri, 300 ciotole, 1500 posate e, una volta finito, invece che lamentarsi, festeggiano e si interessano della causa solidale che hanno sostenuto”.
La serata di festa e solidarietà è stata aperta da don Maurizio Noberini, presidente di Africa Mission, ricordando il 25° anniversario della morte dell’amico don Vittorione: “Quest’anno, vogliamo ricorda la figura di don Vittorione, un uomo che per l’intensità con la quale ha vissuto il suo impegno di Carità, senza risparmiarsi e senza mai indietreggiare di fronteggiare alle difficoltà e al pericolo, possiamo davvero considerare come un santo e martire della nostra Chiesa”.
Il consigliere comunale Sergio Pecorara ha poi portato il saluto del Sindaco Patrizia Barbieri, che il precedente sabato 19 ottobre era presente al giardino di Montale dedicato a don Vittorione per piantare una quercia, insieme alle sezioni degli Alpini di Varese e di Piacenza.
Infine, un bellissimo servizio realizzato da RAI Vaticana, ha presentato la figura di don Vittorione e il percorso fatto dal suo Movimento dalla fondazione fino ai nostri giorni.
La sala era allestita con i colori dell’Africa. Le tovaglie fatte con stoffe africane e gli addobbi con i batik (opere pittoriche della tradizione africa), rallegravano l’ambiente creando una cornice festosa ed accogliente. Al centro del palco dominava una gigantografia di don Vittorione con ai piedi l’immagine di uno dei 1.100 pozzi perforati della sua organizzazione.
Una bella serata di solidarietà in favore dei progetti che Africa Mission-Cooperazione e Sviluppo porta avanti in Uganda, che ha visto la partecipazione di 236 persone. Un evento con esito positivo sotto tutti i punti di vista: buoni e originali i piatti preparati dai cuochi di Procida e altrettanto buono e famigliare il servizio svolto in sala dai 74 volontari (27 da Procida, 30 della parrocchia di Santa Franca, 17 di Africa Mission) che si sono prodigati prima per gli allestimenti e poi per il servizio in sala.
I 74 volontari che hanno prestato il servizio in cucina e in sala sono stati ripagati delle fatiche da una bellissima esperienza di condivisione vissuta insieme, che ha consolidato l'amicizia fra Piacenza e Procida, ed ha alimentato un percorso di solidarietà capace di giungere fino all'Uganda.
«Anche quest’anno la cena solidale è stato un memento di festa-
ha commentato alla fine della serata uno degli intervenuti – ottimi piatti accompagnati da ottimi vini, e come sempre succede quando si incontra Africa Mission ci è sembrato di essere a casa, in famiglia. Grazie a tutti i volontari».
Africa Mission-Cooperazione e Sviluppo ringrazia per il generoso sostegno: la cantina "Ferrari e Perini Group" di Piacenza e la cantina “Gaiaschi” di Ziano P.no, la ditta “Caffè Musetti Srl”, Cravedi Immagini, SVEP e Radio Sound, il ristorante “La Mamma” d Rottofreno, la ditta “Spaccio Casalinghi” i volontari della Parrocchia di S. Franca e tutti i volontari di Africa Mission che si sono impegnati per rendere possibile l'evento.

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Bonisoli a Roveleto. Una storia dolorosa e feconda al tempo stesso

bonisoli

"Cosa faccio da uomo libero? Cerco di restituire a quelli da cui ho ricevuto tanto". Sono le parole di Franco Bonisoli - un passato legato alla lotta armata nelle Brigate Rosse e un presente frutto del cammino di rinascita compiuto - ospite del secondo appuntamento di "Utopia", il percorso culturale ideato dalla Parrocchia di Roveleto realizzato in collaborazione con il Comune di Cadeo. Bonisoli, davanti a un teatro gremito di giovani ed adulti (allestito anche un maxi schermo nella sala accanto) si è raccontato, "una storia dolorosa e feconda al tempo stesso" come l'ha definita don Umberto Ciullo che ha dialogato con lui nel corso della serata.

La scelta (totalizzante) "Eravamo alla ricerca di una grande utopia, volevamo cambiare un mondo ingiusto - racconta Bonisoli descrivendo il clima che caratterizzava gli anni '70 -. Questo vento di cambiamento investiva tutta l'Europa, l'America.... La guerra del Vietnam la vivevamo come una grande ferita che ci interessava e ci doveva interessare, era una cosa da cui non potevi sottrarti". In questo clima cresce Bonisoli che all'età di 17 anni decide di lasciare la scuola e lavorare in fabbrica. "Volevo vivere e stare con gli operai e non parlare di operai". Poi a 19 anni il grande passo: lascia lavoro, famiglia e ragazza per entrare a far parte del nucleo clandestino delle Brigate Rosse. "Trovavo maggior coerenza tra parole e fatti. La Rivoluzione è una scelta totalizzante ed io la feci. Avevo scelto di sacrificare la mia vita: finire in carcere o morire sul campo".

Per quattro anni vive da clandestino, ricercato da polizia italiana e internazionale: "Dividevamo il mondo in modo manicheo, buoni e cattivi, ovvero poveri e ricchi e lo idealizzavamo". Nell'ottobre del 1978 finisce la clandestinità e si aprono anni bui di detenzione. " Il carcere era duro ma questo mi dava l'idea della giustezza della nostra lotta. Più lo Stato diventava violento più consideravo la lotta giusta. Il mio antagonismo ne usciva rafforzato".


La fine dell'utopia.
"A Torino -dove presi uno degli ergastoli - . arrivammo tutti belligeranti se non che il direttore del carcere Le Vallette ci chiese: perché non fate una commissione detenuti, mi dite i problemi che avete così li risolviamo?". L'equazione "stato = violenza" pare così vacillare, il nemico non sembra più tale, e il sogno rivoluzionario prende i contorni di uno scenario di violenza. "La violenza aveva creato incomunicabilità nel Paese, in questo periodo iniziano i pentiti - traditori per noi - e la violenza diventa implosiva". Per Bonisoli si apre la voragine di una crisi profonda: "Non pensavo di poter tornare alla vita, l'unica via uscita a 28 anni pareva la fine della mia stessa esistenza".

La risalita. I fatti però prendono una svolta inaspettata: lo sciopero della fame con il compagno Franceschini, l'incontro col cappellano don Salvatore Bussu e gli incontri col cardinal Martini. "In un sistema carcerario condannato più volte da Amnesty International, in pochi anni sono state varate due nuove leggi, la dissociazione dalla lotta armata  e la legge Gozzini. Pur chiuso in un carcere potevo adoperarmi per migliorare la società".

Incontrarsi . Pagato il debito con la giustizia si porta ancora un peso addosso: il desiderio di aprire un dialogo con chi aveva subito la violenza. Inizia cosi il percorso cosiddetto della "giustizia riparativa" tra ex lotta armata e familiari delle vittime. "Avevamo così l'occasione di dircele tutte, occhi negli occhi, e di ascoltarci". Dialogo, condivisione senza scomodare la parola perdono: "Il perdono parte dividendo una parte sbagliata da una giusta, negli incontri fatti i nostri sguardi sono alla pari, si va oltre il perdono". E alla domanda riguardo una sua conversione religiosa, tergiversa, ma è chiara la chiamata: "Ho avuto fede nella rivoluzione e una grande arroganza di poter cambiare il mondo.
L'atto di umiltà non era dentro le mie scelte ideologiche ma sento di dover andare incontro a tutti disarmato. Fa parte di una mia ricerca che sta diventando sempre più forte  e a cui non so dare un nome".

Pubblicato il 29 ottobre 2019

Erika Negroni

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