Ripensare i rapporti con l’Europa per «amor proprio»
In Confindustria ospiti Federico Fubini, vice direttore del Corriere della Sera, e Lisa Ferrarini, vice presidente di Confindustria con delega all’Europa. “Servono sacrifici ma ciò non vuol dire sottomettersi”
“L’Europa siamo noi, è arrivato il momento di capirlo”. L’affermazione convinta viene da Federico Fubini, vice direttore del Corriere della Sera, che da questo concetto è partito per elaborare il suo ultimo libro “Per amor proprio. Perché l'Italia deve smettere di odiare l'Europa (e di vergognarsi di sé stessa)” (Longanesi - 2019, 144 p).
Il giornalista è intervenuto nel pomeriggio del 21 ottobre presso la sede di Confindustria a Piacenza insieme a Lisa Ferrarini, vice presidente di Confindustria con delega all’Europa (nella foto, il tavolo dei relatori: da sinistra, Francesco Timpano, Lisa Ferrarini, Alberto Rota, Federico Fubini ).
Introdotti dal presidente degli industriali piacentini Alberto Rota e guidati dal docente dell’Università Cattolica Francesco Timpano, i due ospiti si sono soffermati sulle tante questioni sollevate dal saggio, principalmente legate ai rapporti tra Italia ed Europa.
“L’Europa è stata percepita a lungo come un progetto di élite finalizzato a modernizzare il resto della popolazione - ha esordito Fubini -. Sicuramente questo è stato vero: pensiamo al ruolo avuto dal «Trattato di Maastricht» nell’aiutare l’Italia a raddrizzare la sua finanza pubblica, all’epoca in condizioni disastrose. Un ruolo importante di ancoraggio, che però per una democrazia grande e complessa come la nostra non basta più: ecco perché è necessario, per amor proprio, vivere l’Europa non in condizioni di subalternità, come se fosse una maestra che ci rimprovera quando stiamo seduti scomposti a tavola. Questo infatti - ha sottolineato - non è un valore politico; abbiamo tanto da apprendere ma possiamo dare anche un contributo: finché questo non verrà capito non potrà esserci un europeismo maturo in Italia”.
UNA TERZA VIA TRA SOVRANISMO ED EUROPEISMO SOTTOMESSO
Né sottomessi né ostili, durante l’incontro Fubini ha rivendicato più volte la necessità di adottare un’attitudine che si collochi nel mezzo di questi due estremi. Tuttavia il dibattito politico nazionale a questo proposito pare essersi incagliato.
“Facciamo molta fatica – ha commentato –: il paradosso è che quando avevamo il vecchio governo, euroscettico e sovranista, si parlava sempre di Europa. Adesso, invece, che il governo ha un atteggiamento filo-Bruxelles, abbiamo praticamente smesso di farlo. Teoricamente avrebbe dovuto essere il contrario: serve una crescita culturale - ha continuato - per capire che quello che succede fuori dai nostri confini è importante in quanto siamo parte di un insieme più ampio, solo così potremmo iniziare ad avere un peso in Europa. Purtroppo siamo talmente piegati su noi stessi, su questo bipolarismo acritico, che la crescita non si riesce a verificare”.
Ma quali sono i punti di forza che l’Italia potrebbe far valere sui tavoli dell’Unione Europea?
“Anche in un anno difficile come questo le esportazioni italiane stanno crescendo molto, ciò vuol dire che ci sono delle nicchie di grande produttività e competitività dell’industria italiana” – ha spiegato ancora Fubini. Tuttavia è amor proprio anche riconoscere i problemi e accettare l’idea che questi non si possono risolvere a costo zero ma richiedono delle scelte e dei sacrifici. Un esempio: se bisogna investire di più nell’educazione e nell’istruzione delle nuove generazioni è necessario trovare risorse da altre parti”.
UN POTENZIALE DA DUECENTO MILIARDI IN FUGA
È però proprio l’istruzione una di quelle istanze che per Fubini potrebbero essere utilizzate in chiave europea per riequilibrare i rapporti tra gli Stati membri dell’Unione.
“Pensiamo un attimo - ha rilevato - alle migrazioni di cittadini europei, spesso molto giovani, che dalla periferia europea - Est e Sud Europa - sin sono trasferiti a lavorare in Germania negli ultimi 9-10 anni. In questo lasso di tempo gli Stati di origine di queste persone hanno investito circa duecento miliardi di euro di denaro pubblico nella loro educazione per poi vedere realizzato questo potenziale in una nazione straniera. In sé non c’è niente di male, però ciò deve far luce sul fatto che non è solo la Germania che sta pagando per gli altri, ma esiste un rapporto molto più complesso che meriterebbe un altrettanto complesso bilancio europeo. È una questione che l’Italia potrebbe far valere ma anche in questo caso non sembra preoccuparsene”.
CONTRO LA CRISI UN GRANDE PIANO INFRASTRUTTURALE EUROPEO
Che l’Italia debba iniziare a giocare un ruolo da protagonista nello scacchiere europeo lo ha ribadito infine anche Lisa Ferrarini.
“Ci sono tante opportunità per collaborare e far crescere l’Europa - ha detto -. Allo stesso tempo ci sono anche tante cosa da cambiare, migliorare ed implementare. Io, come imprenditrice, vedo il bicchiere sempre mezzo pieno: dobbiamo però essere chiari, a partire dal «Patto di stabilità e crescita». Vorremmo un grande piano infrastrutturale europeo, con investimenti - da ammortare nel corso degli anni -di oltre mille miliardi. Al momento - ha aggiunto - bisogna far fronte a quella che può essere una situazione anti-ciclica che si sta profilando a livello mondiale, anche se l’Europa ha sempre dimostrato nei momenti di crisi di essere capace di rispondere bene a livello di politiche economico-industriali. Questo è il momento di farlo”.
Federico Tanzi
Pubblicato il 22 ottobre 2019
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