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Notizie Varie

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Avis Rottofreno, ricordati i soci defunti

Avis defunti SanNicolo

Domenica 15 novembre, nella chiesa di San Nicolò, decine di avisini si sono riuniti in preghiera per rendere omaggio ai soci Avis defunti a Piacenza e Provincia nel 2020 e ai loro famigliari. 
L’iniziativa, condizionata dalle misure di distanziamento sociale, è stata promossa, come ogni anno, dalla Sezione Avis di San Nicolò-Rottofreno-Calendasco.

Quarantaquattro i volontari ricordati, la metà dei quali deceduti per Covid, in una cerimonia religiosa molto partecipata a livello emotivo.  A celebrare la messa, don Fabio Galli; all’interno della chiesa era stato posto il labaro di Avis Provinciale Piacenza, in rappresentanza delle 40 sedi comunali presenti nel nostro territorio.  
Quest’anno la commemorazione si è limitata alla funzione ecclesiastica e a brevi quanto sentite allocuzioni da parte del Presidente dell’Avis Comunale di San Nicolò-Rottofreno-Calendasco, Pierluigi Zanotti, e dei sindaci di Rottofreno e Calendasco, Raffaele Veneziani e Filippo Zangrandi. Presenti anche il Maresciallo della Stazione dei Carabinieri di San Nicolò, Vincenzo Russo e il Comandante della Polizia locale, Paolo Costa.
“In epoca pre-Covid, erano centinaia le persone a partecipare e ogni Comunale portava il proprio emblema”, nota Pierluigi Zanotti.  Cancellato anche il corteo dopo la messa verso il cimitero dove venivano solitamente poste corone di fiori intorno al monumento dell’Avis.  Quest’anno solo il presidente dell’Avis locale, i sindaci e i rappresentanti delle Forze dell’Ordine hanno portato il cesto di fiori, offerto dalla Comunale di Piacenza città, ai piedi della stele dell’Avis.
Dopo le preghiere, a prendere la parola per primo è stato Pierluigi Zanotti.
“Non potevamo rinunciare ad un momento così importante, che celebriamo da quasi 60 anni, per ricordare i nostri fratelli della provincia che ci hanno lasciato.  Quest’anno la nostra comunità è stata duramente colpita, abbiamo perso degli ex donatori, molti familiari di donatori e tanti collaboratori.  Per noi erano amici, padri, madri, marito e moglie.  Erano un pezzo importante della nostra vita, parte del nostro cuore e se ne sono andati in silenzio e nella solitudine”.

Il Sindaco di Rottofreno, Raffaele Veneziani ha invece sottolineato il significato profondo della cerimonia, considerando le circostanze attuali.  “Oggi ci stringiamo alle famiglie dei defunti.  La pandemia ci ha messo di fronte all’evidenza di quanto siamo interdipendenti come comunità.  Di come è necessario rinunciare a certe abitudini, limitare certi comportamenti per il bene comune”. 
Filippo Zangrandi, Sindaco di Calendasco, ha chiuso gli interventi con un messaggio di speranza.  “E’ una giornata dolorosa che però rafforza i legami comunitari.  Non dobbiamo fermarci al ricordo di chi ha dedicato la sua vita al dono.  E’ nostro dovere cercare di prenderci cura di noi stessi, di costruire un futuro migliore, di ripartire da questo lutto per riflettere sulla società che vogliamo: più giusta, generosa e altruista”.  
La commemorazione si è chiusa con la lettura dei nomi dei 44 volontari Avis defunti nel 2020.  Un gruppo ristretto ha infine deposto i fiori sulla lapide del cimitero dedicata ai defunti Avis.

Pubblicato il 16 novembre 2020

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Festival della Cultura Tecnica, partecipazione record per le web conference

  collegamenti web cultura tecnologia

Un viaggio istruttivo e divertente nel mondo della tecnica e della scienza, realizzato via streaming, che   da lunedì 16 novembre a venerdì 20 novembre coinvolgerà complessivamente 92 classi e oltre 1800 studenti delle scuole piacentine.
Consistono in questo i cinque appuntamenti che compongono il ciclo di web conference intitolato “Tecnica: sviluppo sostenibile e resilienza”: l’evento, organizzato dalla Provincia di Piacenza con la collaborazione di Enaip, è inserito nell’ambito dell’edizione 2020 del Festival della Cultura Tecnica, dedicata a “Sviluppo sostenibile e Resilienza”, che sta coinvolgendo anche il nostro territorio. 
Al primo dei cinque appuntamenti, che si è svolto questa mattina in videoconferenza, hanno preso parte una ventina di classi, per circa 400 dei 1800 studenti coinvolti in totale: studentesse e studenti delle scuole secondarie di secondo grado hanno proposto ad alunne e alunni delle scuole secondarie di primo grado diversi video, che hanno mostrato una vivace serie di progetti, applicazioni, invenzioni e attività realizzate nei diversi cicli di studi.
Ad ogni filmato è seguito il dibattito dal vivo tra i giovanissimi di diverse età e i loro docenti, reso possibile attraverso i collegamenti - a cura di Enaip - realizzati tramite la regia ospitata dalla sede della Provincia di Piacenza.
Dimostrazioni, giochi ed esperimenti hanno offerto l’occasione per capire come tecnica, tecnologia e scienza possano contribuire a fornire risposte concrete, anche in tempo di pandemia, alle esigenze della collettività e dello sviluppo sostenibile delineato dalla “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” delle Nazioni Unite.
Il ciclo di web conference coinvolge Liceo Gioia, Liceo Respighi, Liceo Colombini, ISII Marconi, IS Romagnosi, IS Marcora, Omnicomprensivo di Bobbio, Polo Volta, Polo Mattei, IC Gandhi e Tutor, Endofap, Ecipar, Tadini e IAL.

Pubblicato il 16 novembre 2020

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La paura: un’emozione negata. Incontro della Comunità pastorale 1

francesca Scotti

 

“Spesso la paura di ogni educatore, che sente forte la sua responsabilità nei confronti degli altri, è quella di sbagliare”. Sono le parole di Francesca Scotti, pedagogista della Cooperativa Aurora Domus, che hanno introdotto l’incontro online per giovani e adulti della Comunità Pastorale 1 di Piacenza. È stato il primo degli appuntamenti in programma, svoltosi venerdì 13 novembre, sul tema: “Dar diritto di cittadinanza alle emozioni: la paura un’emozione negata, riconoscere l’errore per crescere resilienti”.
“Bisogna educare alla sconfitta: crescere bambini resilienti - ha affermato Francesca Scotti - e capire che: caduta, limite, scoraggiamento, resa, solitudine, errore e fallimento vanno guardati con un occhio diverso”. Per la pedagogista la parola francese débâcle, oggi spesso usata, significa disgelo e rivela qualcosa di nuovo. Infatti dopo ogni disgelo si scoprono novità che erano nascoste”.

IL PAESE DEGLI ERRORI

“Non era meglio se si fermava in un posto qualunque, e di tutti quegli errori ne correggeva un po’?”. È la conclusione della filastrocca di Gianni Rodari “Il paese degli errori”, citata dalla pedagogista, in cui si racconta del viaggio di un uomo che, per terra e per mare, cercava un paese senza errori.
“A volte sarebbe meglio fermarsi e guardare l’errore che abbiamo - ha esplicitato Scotti - e magari correggerlo”. Esempio di un errore diventato famoso è quello - sottolineato dalla pedagogista- nella favola di Cerentola di Charles Perrault, dove un copista invece di tradurre scarpetta di pelliccia (verre) scrisse di cristallo (vair) e questo ha fatto la fortuna della favola in cui la scarpetta di cristallo è diventata l’emblema del racconto.

NON SIGNIFICA CHE SIA PERDUTO

Anche la musica con i Coldplay, band britannica, è stata al centro della riflessione di Francesca Scotti: “Just because I'm losing Doesn't mean I'm lost (Solo perché sto perdendo Non significa che io sia perduto)”. È un testo del famoso gruppo musicale. “Quindi emozioni come rabbia e paura hanno diritto di esistere e non vanno confuse con la persona che le prova”. Si tratta dunque di comprendere - per Scotti - il significato di resilienza che in tecnologia significa un oggetto che resiste, si adatta e si autoripara. Così è in psicologia e pedagogia dove vuol dire non lasciarsi spezzare, adattare le proprie risorse alle nuove situazioni che la vita presenta e vedere i cambiamenti come una opportunità.

LA SCALA DELLA RESILIENZA

Spesso passiamo - secondo Scotti - da un sentimento all’altro con facilità ed esiste una scala, definita della resilienza, che permette di salire verso l’alto. Il primo scalino è :”non lo faccio”, poi “non posso farlo”, “voglio farlo”, “come lo faccio?”, “provo a farlo”, “lo posso fare, “lo faccio”, “si, l’ho fatto!”. Si arriva così a superare se stessi e i tratti delle persone resilienti sono:

- l’impegno: la tendenza a non farsi spaventare dalla fatica, a non mollare anche nelle situazioni più difficili;

- il controllo: la convinzione di avere potere su ciò che accade piuttosto che sentirsi in “balia degli eventi”;

- la capacità di adattarsi ai cambiamenti: vivere il cambiamento come un’occasione per crescere.

STRATEGIE

Per promuovere la resilienza bisogna avere - a parere della pedagogista - un atteggiamento costruttivo, saper imparare dagli errori e accettare i propri limiti. Sviluppare la resilienza per dei bambini significa inoltre creare una rete, mantenere una routine, incoraggiare i piccoli ad aiutare gli altri, fissare obiettivi ragionevoli, elogiare i bambini e mantenere lo sguardo aperto sul futuro.

PRENDERSI UNA PAUSA

In mezzo alle giornate spesso caotiche - ha concluso Francesca Scotti - dove tanti pensieri e tante preoccupazioni invadono la mente, è importante ogni tanto prendersi un momento di pausa sia fisica che mentale. “Questo momento ci aiuta a stare nella spensieratezza, a ricaricarci per poter ripartire”.

R.T.

Pubblicato il 16 novembre 2020

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Le cure palliative, il dolore e le domande dell’uomo

cure


L’11 novembre, festa di San Martino, ricorreva la Giornata delle cure palliative. Il termine “palliativo” prende il nome da “pallium”, cioè mantello, e si riferisce al famoso “mantello di San Martino”, di cui il Santo si sarebbe privato per “rivestire” un povero, sofferente, incontrato per strada. Le cure palliative hanno proprio il significato di “ricoprire”, “prendersi cura” della persona sofferente, accogliendo tutti i suoi bisogni, fisici, psicologici, sociali, spirituali. Più che curare la malattia, le Cure Palliative si prendono cura della “persona malata”, nella sua globalità, accogliendo entro questo ampio mantello anche la sua famiglia, altrettanto ferita e malata.

La pandemia e lo scontro tragico con la malattia
Durante la pandemia abbiamo avuto modo di vedere, purtroppo in maniera tragica, cosa significhi curare la malattia e non la persona. C’è stata, e c’è tuttora, un’emergenza straordinaria, ma nella gestione di questo tempo le Cure Palliative sono state lasciate da parte, hanno avuto, tranne che in pochi casi, un ruolo marginale. Ci si è attrezzati e si è gestita l’organizzazione sanitaria con l’obiettivo di curare la malattia, non la persona malata. Per questo la pandemia sta lasciando dietro di sé una sofferenza enorme, che ha bisogno di consolazione, una consolazione che è mancata sia durante che dopo il percorso di malattia di tantissime persone.

Tenere la mano del malato
Mi hanno colpito, in questi giorni, le parole di un componente del complesso dei Pooh, che hanno recentemente perso il loro batterista, Stefano D’Orazio, a causa del COVID. Il dolore più grande, diceva, è il pensiero che Stefano se ne sia andato da solo, senza nessuno che gli potesse stare vicino, tenergli la mano, “accompagnarlo” in questo suo ultimo viaggio. Ecco, le cure palliative sono questo accompagnamento, sono questo “tenere la mano”, sono questa presenza, questa vicinanza. Il palliativista “vede”, riesce a cogliere la sofferenza del malato, apre le porte della relazione, della consolazione, vede prima di tutto la persona malata, e se ne fa carico.

Le cure palliative nella Lettera “Samaritanus Bonus”
Come riporta la recente e bellissima Lettera “Samaritanus Bonus” della Congregazione per la Dottrina della fede, “le cosiddette cure palliative sono l’espressione più autentica dell’azione umana e cristiana del prendersi cura, il simbolo tangibile del compassionevole stare accanto a chi soffre. Esse hanno l’obiettivo di alleviare le sofferenze nella fase finale di malattia e di assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento umano, dignitoso, migliorando, per quanto possibile, la qualità della vita e il benessere complessivo”.


Il ruolo della famiglia e gli hospice
Nella cura della persona in fase avanzata di malattia è centrale il ruolo della famiglia, che va sostenuta ed aiutata, perché anch’essa profondamente sofferente. La famiglia, nelle cure palliative, costituisce un’unica “Unità di cura” con il malato. E, quando la famiglia non ce la fa più, sia per motivi sanitari, a causa di sintomi difficilmente gestibili a domicilio, sia per motivi sociali, per il gravoso carico assistenziale, ecco la necessità degli “Hospice”, luoghi dove accogliere i malati nella fase finale della vita assicurando loro una cura e un’attenzione dignitosa fino alla morte. Tali strutture, recita la “Samaritanus Bonus”, “si pongono come un esempio di umanità nella società, santuari di un dolore vissuto con pienezza di senso”.

Gli hospice e la Londra degli anni ‘60
Il movimento Hospice inizia a Londra, negli anni ’60, per l’illuminazione di una persona straordinaria, Dame Cicely Saunders, con una forte motivazione cristiana che sollecita una presenza che si fa carico del dolore, lo accompagna e lo apre ad una speranza affidabile. Nel primo Hospice aperto a Londra, il “Saint Christopher Hospice”, tutte le stanze erano progettate in modo circolare, e al centro c’era la Cappella, con la perenne presenza del Santissimo, come a significare che in questa Presenza, nel Mistero di Cristo morto e Risorto, era racchiuso il senso dell’umana sofferenza.

Le parole del cardinal Bassetti: l’eucaristia al centro della vita
A questo proposito mi ha colpito la lettera che il card. Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha inviato alla sua diocesi di Perugia poco prima di essere trasferito presso l’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, dove si trova attualmente ricoverato per aver contratto il COVID.
In questa lettera il Cardinale afferma: “Era necessaria questa esperienza di malattia per rendermi conto di quanto siano vere le parole dell’Apocalisse in cui Gesù dice all’angelo della Chiesa di Laodicea: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap3, 20). L’eucarestia, soprattutto in questo periodo difficile, non può essere lasciata ai margini delle nostre esistenze ma dev’essere rimessa, con ancora più forza, al centro della vita dei cristiani. Nell’eucarestia Gesù rinnova e riattualizza il suo sacrificio pasquale di morte e risurrezione, ma la Sua presenza non si limita a un piccolo pezzo di pane consacrato. Quel pane consacrato trascende dallo stesso altare, abbraccia tutto l’universo e stringe a sé tutti i problemi dell’umanità, perché il corpo di Gesù è strettamente unito al corpo mistico che è tutta la Chiesa. Non c’è situazione umana a cui non possa essere ricondotta l’Eucarestia…”

Le domande di fronte alla malattia
Un Hospice che si ispira ai valori cristiani deve avere un’attenzione costante al sostegno, alla cura, non solo dei sintomi fisici o psicologici, ma anche alla sofferenza spirituale, alla domanda di senso che sempre la malattia, e specialmente una malattia ad evoluzione infausta, porta con sé: “Perché a me?” Cosa ho fatto di male?” Che senso ha la vita? Perché esiste il dolore, la malattia, la morte?”
Ancora la “Samaritanus Bonus” dice: “di fronte alla sfida della malattia e in presenza di disagi emotivi e spirituali in colui che vive l’esperienza del dolore emerge, in maniera inesorabile, la necessità di saper dire una parola di conforto, attinta alla compassione piena di speranza di Gesù sulla Croce […] nella Croce di Cristo sono concentrati e riassunti tutti i mali e le sofferenze del mondo, male fisico, psicologico, morale, spirituale”. Coloro che “stanno” attorno al malato non sono, né “devono” essere solo testimoni, ma “segno vivente” di quegli affetti, di quei legami che permettono al sofferente di trovare su di sé uno sguardo umano capace di dare senso al tempo della malattia; perché, nell’esperienza del sentirsi amati, tutta la vita trova la sua giustificazione. L’esperienza “vivente” del Cristo sofferente significa consegnare agli uomini d’oggi una “speranza” che sappia dare senso al tempo della malattia e della morte, contro la “disperazione” che può assalire le persone sofferenti che si trovano davanti ad una prova così grande.

Il dolore è sopportabile se c’è la speranza
Il dolore è sopportabile esistenzialmente soltanto laddove c’è la speranza. Quindi, per quanto così importanti e cariche di valore, le cure palliative non bastano se non c’è nessuno capace di “stare” accanto al malato testimoniandogli questa speranza che egli ha profondamente maturato dentro di sé.
Dice infine ancora questa bellissima Lettera: “anche quando sembra che non ci sia più nulla da fare c’è ancora molto da fare, perché lo «stare» è uno dei segni dell’amore e della speranza che porta con sé. L’annuncio della vita dopo la morte non è un’illusione o una consolazione, ma una certezza che sta al centro dell’amore, che non si consuma con la morte”.
Per questo gli Hospice che si ispirano ai valori cristiani devono avere operatori capaci di essere testimoni “credibili” dell’amore che sa dare una speranza e un significato anche all’esperienza più terribile che un uomo possa fare, quella di una sofferenza di un dolore a cui non riesce ad attribuire un significato.

Roberto Franchi

Medico palliativista e componente dell’Ufficio diocesano per la Pastorale della salute

Pubblicato il 16 novembre 2020

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La fiera meccanica agricola “Eima” anticipa l’edizione 2021 online

Eima

Un quarto della produzione nazionale e dell’export totale di trattori e macchine agricole, società che valgono 5,4 miliardi di fatturato e oltre 2 mila ditte costruttrici nazionali che hanno contribuito nel 2019 a un fatturato complessivo di circa 7,9 miliardi di euro e a un export pari a 5,2 miliardi di euro. Il settore delle macchine agricole in Emilia-Romagna è uno dei cuori del comparto meccanico nazionali e il primo polo produttivo di attrezzature agricole in Italia e tra i principali a livello europeo. Con questi numeri l’Emilia-Romagna si prepara ad ospitare la 44ma edizione di Eima. Posticipata al 3 febbraio 2021, a seguito della pandemia, la fiera internazionale sulla produzione di macchine e componenti agricole, sbarca sul web, con un’anteprima.
Da oggi al 15 novembre 2020 FederUnacoma presenta Eima Digital Preview online per offrire a visitatori un aggiornamento sulle tecnologie meccanico-agricole disponibili. “Durante la pandemia- ha affermato l’assessore regionale all’Agricoltura Alessio Mammi intervenendo all’apertura dei lavori- la produzione agricola di fatto non si è mai interrotta. L’Emilia-Romagna ha fatto il modo che le sue eccellenze continuassero ad arrivare sulle tavole di tutti. Malgrado le difficoltà negli scambi commerciali, con il blocco dei canali Horeca e le restrizioni imposte alle esportazioni e nel reperimento di manodopera”. “Per superare questo momento- prosegue l’assessore- dobbiamo seguire tre obiettivi: fare in modo che le imprese ritornino ad essere competitive, supportandole negli investimenti in tecnologia, in infrastrutture, nella riduzione dei costi energetici; fare ricerca, arrivando a individuare le necessità e le possibili risposte utili al sistema produttivo e scegliere quali di queste innovazioni possono essere diffuse. E infine, puntare sempre più sull’internazionalizzazione e la promozione dei prodotti di qualità del Made in Italy”. Da tempo uno degli appuntamenti di riferimento per la meccanica agricola, con quasi 2mila espositori (671 esteri) e circa 318mila visitatori (51.121 stranieri), Eima si rivolge agli operatori di un settore chiave dell’economia emiliano-romagnola. Il cuore del comparto è costituito da 135 imprese produttrici e oltre 1000 che esportano macchinari agricoli verso Paesi partner dell’Unione Europea, ma anche Canada, Cile e Africa.
La regione è capofila in Italia, con il 21,4% del totale delle aziende nazionali e il 27,4% degli addetti. Il distretto di riferimento è tra Reggio Emilia, Modena e Bologna, dove si concentra il 31% delle imprese. L’Emilia-Romagna accoglie il primo polo produttivo italiano e uno dei maggiori in Europa, con 5,4 miliardi di fatturato (su un totale di 7,9 miliardi a livello nazionale). È la Regione che ha investito di più, attraverso il Programma di sviluppo rurale 2014-2020, in ricerca e innovazione in agricoltura sia in termini assoluti, stanziando 51 milioni di euro, sia in termini percentuali, destinando a questa finalità il 4,8% della sua programmazione complessiva. Il modello dei Gruppi operativi per l’innovazione, con la collaborazione tra imprese, università e istituti di ricerca, ha consentito di dare risposte a esigenze e problemi concreti, assicurando una buona circolazione di dati e informazioni.

Pubblicato il 16 novembre 2020

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