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Borgotaro: Samuele, 13 anni, ha unito una comunità

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La celebrazione delle esequie di Franco e Anastasia nella chiesa di San Rocco a Borgo Val di Taro ci ha aiutato a comprendere che cosa è una comunità. Purtroppo accade che le parole che usiamo non sempre corrispondono alla realtà. Parliamo, per esempio, di comunità ma in astratto, così una parola così significativa non dice quello che dovrebbe dire.

Di fronte alla morte violenta di Anastasia, una giovane mamma di 35 anni, colpita con il fucile da caccia da Franco, 39 anni, che subito dopo si è tolto la vita, era difficile dare un senso ad un gesto così assurdo e devastante. Soprattutto chi avrebbe potuto spiegare a Samuele, il figlio di 13 anni, perché papà e mamma non ci sono più?

La comunità e una storia di solitudine

Ho compreso in questa circostanza che non siamo noi a fare la comunità con il nostro impegno, le nostre buone iniziative, le nostre attività pastorali. È invece vero il contrario: è la comunità che ci permette di essere quello che siamo.

La solitudine ci porta alla perdita della nostra persona. L’appartenenza misteriosa al grande miracolo dell’esistenza ci solleva invece “su ali d’aquila” e da lì vediamo ogni cosa in una nuova dimensione. È accaduto anche a noi in questa circostanza.

Da una parte la storia di una solitudine invincibile che alla fine ha prodotto la morte di due persone che pure in quella chiesa di San Rocco si erano unite in matrimonio. Dall’altra una comunità che ha partecipato a questo immenso dolore con una forza inaspettata.

“Riposate in pace mamma e papà"

In mezzo Samuele che ha chiesto di celebrare insieme le esequie di mamma e papà con un messaggio straordinario: “Riposate in pace mamma e papà. Rimanete sempre nel mio cuore”. “Insieme” è la parola che mi ha colpito.

Mentre alcuni sostenevano che occorrevano funerali separati, ipotizzando una chiesa per la “vittima” e una per il “colpevole”, i familiari hanno voluto accogliere la richiesta di Samuele.

Così il parroco don Primo Ruggeri, che ha presieduto i funerali, ha invitato tutti ad ascoltare la pagina del Vangelo di Marco che racconta il grande buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio quando “Gesù, dando un forte grido, spirò”.

Quando poi le donne, passato il sabato, andarono al sepolcro “osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande”.   

Durante il rito, quasi a rimarcare il Venerdì Santo della nostra comunità, un forte temporale non ha potuto disperdere le tante persone che, non trovavano posto in chiesa.

Si è comunità quando non ci si disperde nei propri pensieri ma quando, anche nel dolore, ritroviamo il senso di tutto.

La morte ci ha parlato

Questa volta la morte ci ha parlato. Di solito siamo noi a parlare della morte, la commentiamo, e riusciamo anche a distinguere una morte dall’altra, i buoni da una parte, i cattivi dall’altra. Questa volta la morte si è presa la scena perché “doveva” parlarci.

Samuele ci ha aiutato ad ascoltarla. Forse anche quello di Franco e Anastasia è stato un grido. Come essere dispersi nel folto di una foresta: non si grida a caso, si grida perché qualcuno possa ascoltare. E una comunità non è tale se fa delle cose o commenta dei fatti. È comunità se sa riconoscere il dolore per costruire speranza. Una lezione che mi ha fatto bene. Prima di tutto, ascoltare!

Don Angelo Busi

Vicario episcopale per la Val Taro e la Val Ceno

Pubblicato il 25 luglio 2020  

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