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Notizie Varie

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Più risorse per la giustizia

Il presidente del Tribunale di Parma interviene a Piacenza

Massa Brusati

“Un’altra riforma del processo civile? No, grazie. Servono personale, risorse finanziarie e autonomia contabile”. È la sintesi dei concetti espressi da Pio Massa (a sinistra, nella foto; al suo fianco il presidente del Tribunale di Piacenza Stefano Brusati), piacentino, presidente del Tribunale di Parma, durante l’incontro sull’organizzazione della giustizia che venerdì 22 marzo lo ha visto protagonista nella sala Panini di Palazzo Galli, ospite della Banca di Piacenza (che da 12 anni gestisce il Servizio di cassa per il Tribunale piacentino).
Oltre a Massa è intervenuto Stefano Brusati, parmense, alla prima uscita pubblica da quando lo scorso luglio è arrivato a presiedere il Tribunale di Piacenza.

Massa SforzaL’avvocato Corrado Sforza Fogliani (nella foto a lato), presidente del Comitato esecutivo dell’istituto di credito piacentino, nell’introdurre i due ospiti ha scherzato sull’incrocio “ducale” tra un piacentino presidente a Parma e un parmense presidente a Piacenza ricordando che “negli stati pre-unitari le cause di Piacenza erano appellate a Parma” e viceversa.
Sforza Fogliani si è anche detto sorpreso - entrando nell’argomento della serata - di vedere identificati i presidenti dei tribunali come “datori di lavoro”. Sì, perché dopo numerose riforme, ai capi degli uffici giudiziari spetta ora il compito non solo di organizzare i magistrati affinché i tempi della giustizia vengano ridotti, ma anche di sovrintendere al personale amministrativo e gestire le strutture.

“Fino al secolo scorso - ha spiegato Pio Massa - il presidente del Tribunale era un magistrato a fine carriera che poteva «godersi» gli ultimi anni prima della pensione. Oggi le cose sono ben diverse. Si diventa presidente anche in un’età più giovane, ma gli oneri sono giganteschi e per organizzare al meglio la giustizia dobbiamo cercare di conciliare i fattori della produzione: magistrati, personale amministrativo e strutture”. Tenendo però presente che i giudici dipendono dal Consiglio Superiore della Magistratura, come previsto dall’art. 105 della Costituzione per garantirne l’indipendenza, mentre personale e strutture rientrano nei “servizi relativi alla giustizia” che “spettano al ministero della Giustizia” (art. 110 Cost.).
“Csm e ministero spesso non vanno d’accordo, perciò le cose si complicano”, ha spiegato Massa. Inoltre, fino a settembre 2015 la gestione delle strutture era affidata dal ministero ai Comuni, sgravando così i tribunali. Da allora invece è tutto in carico agli uffici giudiziari che però non hanno “la minima autonomia contabile: anche per lavare le tende del mio ufficio devo chiedere l’autorizzazione a Roma”, ha esemplificato il presidente del Tribunale di Parma.

E poi c’è l’aspetto della carenza di organico sia tra i magistrati, sia tra il personale: “Con il ministro Orlando, nel precedente governo, sono stati assunti 2.700 assistenti giudiziari. Peccato che con «Quota 100» queste assunzioni vengano di fatto vanificate”. Negli uffici giudiziari - tanto a Parma, quanto a Piacenza - ci sono pensionati, oppure volontari di diverse associazioni (Alpini, Croce Rossa) a dare una mano per cercare di smaltire gli arretrati. In media, ogni magistrato in Italia ha mille processi pendenti.
Per far funzionare la macchina giustizia, fondamentali sono le scelte gestionali, non solo e non tanto la quantità ma soprattutto la qualità del prodotto.
Massa pubblico“L’organizzazione della Giustizia - ha osservato Brusati - non è solo compito dei presidenti dei Tribunali ma è anche responsabilità dei singoli magistrati ed è una sfida soprattutto culturale”. Aspetti questi sui quali i due presidenti sono stati in sintonia: "Il rischio - ha continuato Brusati - è quello di passare da una carenza organizzativa a un eccesso di organizzazione, con una sorta di bulimia normativa”.
“A Parma, in occasione della vicenda Parmalat fu fatta una scelta profondamente sbagliata - gli ha fatto eco Massa -, quella di scorporare il crac in tanti singoli processi anziché imbastirne uno unico. Con un maxi-processo a quest’ora avremmo finito, invece a 16 anni dai fatti deve ancora iniziare il processo “Bank of America”, dal nome dell’istituto bancario coinvolto”.

Una soluzione al problema potrebbe essere quella di avere nei tribunali un dirigente amministrativo che sgravi il presidente degli aspetti legati alla gestione del personale e delle strutture. Figura prevista ma che manca in oltre il 40% dei tribunali italiani, tra cui Parma e Piacenza.“Così - ha chiarito Massa -, fatto cento il tempo di lavoro, 60-70 è quello necessario per la gestione amministrativa, 20 per i giudici e il resto, molto poco, per l’attività di magistrato”.
Occorre - a concluso Massa - “uno sforzo dal basso per organizzarci meglio altrimenti ci penseranno i robot e la giustizia diventerà una scienza esatta con le sentenze pronunciate sulla base di algoritmi, come stanno già sperimentando in alcuni Stati degli Usa”.

Matteo Billi

Pubblicato il 25 marzo 2019

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Provincia di Piacenza, Stragliati vicepresidente. Assegnate le deleghe

ConsiglioProvinciale


Valentina Stragliati è il nuovo vicepresidente della Provincia di Piacenza e consigliere delegato a Pari Opportunità, Rapporti con la Regione in materia di Cultura e Sport, Relazioni Istituzionali in materia di Politiche Giovanili e Sociali, Relazioni Istituzionali in materia di Politiche Europee.
Le altre deleghe sono state così assegnate:
- Franco Albertini: Politiche per la Montagna, Rapporti con la Regione in materia di Protezione Civile, Rapporti col GAL, Rapporti con la Regione e ARPAE in materia di Ambiente;
- Sergio Bursi: Lavori Pubblici e Edilizia Scolastica; Rapporti con Anas (S.S.45);
- Paola Galvani: Trasporto Pubblico e Mobilità; Istruzione e Diritto allo Studio; Rapporti con la Regione e con l’Agenzia regionale in materia di Politiche del Lavoro; Parchi e Biodiversità;
-
Romeo Gandolfi: Rapporti con la Regione in materia di Agricoltura, Relazioni Istituzionali in materia di Assistenza e Supporto agli Enti Locali; Rapporti con la Regione in materia di Caccia e Pesca;
- Maria Rosa Zilli: Rapporti Istituzionali per la valorizzazione del Fiume Po; Turismo – Marketing Territoriale – Rapporti con Destinazione Turistica Emilia.
Il Presidente Barbieri mantiene in capo a sé Bilancio e Partecipate, Sviluppo Economico e Pianificazione, Relazioni istituzionali in materia di Sanità, Personale e Polizia Provinciale e, ovviamente, tutto quanto non espressamente previsto.
Le deleghe da assegnare al Consigliere Antonio Levoni verranno successivamente definite.

Le nomine sono state conferite dal presidente della Provincia di Piacenza Patrizia Barbieri con decreto presidenziale n. 2 e n. 3 del 22 marzo 2019.

"L’assegnazione delle deleghe - commenta il Presidente Barbieri - ci consentirà di gestire puntualmente tutte le materie, affrontando con maggiore incisività i problemi e ricercando le relative soluzioni, a tutto vantaggio dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione politico - amministrativa nell’interesse del territorio. Auguro buon lavoro a tutti i consiglieri che, sono certa, sapranno operare in sinergia, assicurando la propria collaborazione a tutti i Sindaci e gli Amministratori del territorio e affronteranno con impegno e professionalità il lavoro che li attende".

Pubblicato il 22 marzo 2019

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Open Space 360°, inaugurazione il 30 marzo

In Santa Maria della Pace a Piacenza si inaugura il nuovo spazio teatrale dei Manicomics

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Un luogo dove unire circo e teatro e dare libera espressione all’arte e alla creatività.
È Open Space 360°, il nuovo spazio allestito dalla compagnia teatrale Manicomics – in collaborazione con Asp Città di Piacenza – all’interno dell’antica chiesa di Santa Maria della Pace, a Piacenza in via Scalabrini 19.

Realizzato grazie ai fondi ricevuti in seguito alla partecipazione al bando regionale per il sostegno di progetti volti a migliorare l’attrattività turistico-culturale e con l’appoggio della Fondazione di Piacenza e Vigevano, Open Space 360° viene inaugurato ufficialmente sabato 30 marzo con una giornata ricca di esibizioni e performance a metà tra circo e rappresentazione teatrale.
Come spiegato alla conferenza stampa di presentazione del nuovo spazio, d’ora in poi l’ex Auditorium di Santa Maria della Pace rappresenterà un luogo privilegiato di creazione artistica alternativo e non convenzionale: teatro, danza, arti visive, workshops potranno trovare infatti adeguati spazi e strutture per incontrarsi e dare vita a nuove forme artistiche e culturali rivolte a tutta la città.
L’ iniziativa è stata presentata dai rappresentanti della compagnia, Mauro Mozzani, Rolando Tarquini, Paolo Pisi, Marco Perini e Cristiana Bocchi di Asp e da Alberto Dosi della Fondazione di Piacenza e Vigevano.

IL PROGRAMMA DELL’INAUGURAZIONE
- ore 11-12.30: taglio del nastro con le autorità e inaugurazione; performance aerea di Donatella Zaccagnino (allieva FLIC di Torino) su musica di Bach suonata dal vivo dal violoncello della musicista piacentina Elena Castagnola; -aperitivo offerto da “Piccoli Mondi”;
- ore 17-19: performance aerea di Donatella Zaccagnino; presentazione del progetto Open Space 360°; “Tra le scatole”, clown e circo contemporaneo, con Giulio Lanzafame
; aperitivo offerto da “Piccoli mondi”
ore 21: spettacolo “Kermesse” di Manicomics Teatro; a seguire, brindisi finale

Il progetto Open Space è stato realizzato grazie a:
 POR-FESR Emilia Romagna 2014-2020, Unione europea - Fondo europeo di sviluppo regionale
, Regione Emilia-Romagna, ASP Città di Piacenza, Fondazione di Piacenza e Vigevano, Manicomics Teatro.

Federico Tanzi


Pubblicato il 29 marzo 2019

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La missione politica di San Colombano

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La missione “politica” di san Colombano è stato l’argomento dell’avvocato  Marco Corradi al convegno degli Amici di San Colombano, il 65°, indetto ad apertura dell’anno sociale, come di consueto, per San Patrizio, patrono d’Irlanda.
Mario Pampanin, presidente del sodalizio, ha ricordato i forti legami tra l’Irlanda e Bobbio compiacendosi della diffusione della figura di Colombano, soprattutto grazie alla riscoperta dell’itinerario storico da lui compiuto attraverso buona parte d’Europa.
Corradi ha fatto notare che, in ben tre delle sei lettere di Colombano pervenuteci, il Santo parla di Europa. è  suo merito l’aver incentivato una ”Europa politica” dando vitalità a quello che precedentemente era solo un concetto geografico. Colombano ha posto le basi affinché l’Europa divenisse quel faro di civiltà occidentale che ha conquistato il mondo.
Per capire come ha potuto realizzarsi questo capolavoro di tessitura politica occorre tenere presenti alcuni imput.
L’impero romano ai tempi di Costantino, valutato in 70 milioni di abitanti (solo a Roma un milione) di diverse provenienze e religioni, accomunati da un’unica legislazione e dal fatto che tutti quanti andavano sfamati, era tenuto in piedi da una valida organizzazione. La costruzione di Costantinopoli spostò in Oriente le rotte commerciali e di fatto decretò la decadenza dell’Occidente, sempre più povero a fronte di un Oriente sempre più ricco. Il racconto delle invasioni barbariche dettagliato con tanti richiami storici, non privo di analogie con l’attuale situazione, spiega il travolgimento dell’Occidente. Fu una tremenda carestia a spingere popoli dell’Asia alle frontiere dell’impero, che li accoglie, indirizzandoli però in Occidente.
Sono tantissimi. Troppi. E’ un flusso incontrollato e incontrollabile. Salta ogni pur prevista integrazione. Negli inevitabili cruenti scontri che si accendono, i barbari hanno la meglio. Ora sono dentro all’impero. Da vincitori. Non vogliono distruggerlo. Vogliono esserne parte, mantenendo però le proprie leggi. Fatto inconsueto: il diritto da territoriale diventa personale. In questo coacervo di popoli e leggi, si raggiunge il punto più basso di scolarità e cultura. Si salva solo l’Irlanda (o Scotia Maior, o terra degli Scoti, o Ibernia), e l’attuale Scozia (ovvero Scotia minor, colonizzata dall’Irlanda) mai divenute terre di conquista romana. Lì si è conservato il sapere degli antichi e si è continuato a studiare. Lì è nato il fenomeno del monachesimo, esportato poi sul continente, che convince molti giovani. Sono i tempi di Colombano, della sua peregrinazione europea, della fondazione di innumerevoli monasteri, un po’ le multinazionali del tempo: vi si accolgono tutti, di ogni provenienza e cultura.
Colombano sente e valuta l’assenza di un potere istituzionalizzato. Si rivolge al Papa, Gregorio Magno, riconoscendo in lui l’unica autorità capace di prendere in mano la situazione. Gregorio ha l’altezza morale e intellettuale per farlo. Spende i suoi beni personali per i poveri e per il riscatto di Roma dal saccheggio dei longobardi (definiti i più feroci tra i feroci germani). Capisce e si fa carico del problema.  Ha in mano popoli di una vitalità impressionante. Chiama dall’Irlanda missionari che invia in tutta Europa. E’ lui a chiamare in Italia Colombano, già da tempo pellegrino in Europa. Qui la storia diventa nostrana.
A Bobbio fa in tempo a fondare il suo monastero, dedito, come gli altri già da lui fondati, alla diffusione della cultura. Collegati a quello di Bobbio sorgono quasi in contemporanea quello di Mezzano Scotti, dedicato a San Paolo, e quello di Val Tolla, dedicato ai SS Gallo e Salvatore. Ciascuno con la propria specializzazione: quello di Bobbio indirizzato a diritto e amministrazione (tanto che l’Editto di Rotari pare sia stato scritto entro le sue mura), quello di Mezzano, dotato di “spedale”, dedito alla cura degli infermi, quello di Val Tolla specializzato nella farmacia. Il coinvolgimento di un personaggio storico, William Douglas, paladino di Carlo Magno, ferito in battaglia, molto probabilmente curato presso il monastero di San Paolo, capostipite della dinastia piacentina degli Scotti Douglas, padre di quel vescovo di Fiesole che donò la chiesa di Santa Brigida al monastero di Bobbio, rende speciale il nostro territorio, così ricco di storie e leggende che pochi possono vantare.
Tornando alla missione “politica” di Colombano, la conversione dei longobardi, da lui operata, fu l’evento chiave che favorì, in assenza dell’autorità imperiale, l’aumento delle prerogative papali ottenendo anche per i successivi secoli la supremazia del potere spirituale su quello temporale, culminato poi nell’edizione del Sacro Romano Impero di Carlo Magno.

Bilancio 2018 e programma 2019
Il bilancio 2018 dell’Associazione è stato presentato all’assemblea dall’economo, mons. Piero Coletto.
Il programma 2019, illustrato dal segretario Gian Luca Libretti, ricalca il solco di una tradizione ormai consolidata: il 18 maggio gita a Vaprio d’Adda, con visita a antica chiesa romanica dedicata a San Colombano e breve  percorso sull’Adda su traghetto progettato da Leonardo da Vinci; il 7 luglio partecipazione a Pontremoli al Columban’s day; in settembre escursione alla grotta di san Colombano con partenza da Coli; il 22 novembre accensione dei lumini e celebrazione del Transito di Colombano ; il 23 novembre solenne messa in Basilica. Alla sera cena sociale.
Luisa Follini

Pubblicato il 21 marzo 2019

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Giotto-non Giotto ad Assisi: intervento di Bruno Zanardi a Palazzo Galli

Crosta Zanardi

 «E’ complicato attribuire ad un’unica “mano” le Storie di san Francesco affrescate verso la fine del Duecento nella Basilica Superiore di Assisi». Questa la conclusione a cui è giunto il prof. Bruno Zanardi sul dibattuto tema “Giotto-non Giotto ad Assisi”, nel corso della conferenza tenuta a Palazzo Galli (Sala Panini) nell’ambito della Primavera culturale organizzata dalla Banca di Piacenza. Il relatore è stato presentato dal direttore generale dell’Istituto di credito di via Mazzini Mario Crosta, che ha ricordato il legame con Piacenza del docente dell’Università di Urbino (34 anni fa curò il restauro degli affreschi della Cupola di Santa Maria di Campagna realizzati da Antonio de’ Sacchis, tornati all’attenzione del grande pubblico grazie alla Salita al Pordenone; restauro per il quale al Comune di Piacenza è stato assegnato il Premio Gazzola 2018).

Se le Storie di san Francesco siano state affrescate dal fiorentino Giotto oppure da un pittore romano di cui non si conosce il nome, è una questione a tutt’oggi irrisolta, anche se aperta da secoli (il primo a mettere in dubbio l’attribuzione fu, nel 1450, Lorenzo Ghiberti, smentito nel 1578 dal Vasari; a fine Settecento padre Della Valle sostenne che il ciclo francescano non era stato eseguito dal grande pittore fiorentino, contrastato dall’abate Lanzi, il quale dichiarò che gli affreschi erano di Giotto. «La querelle è di essenziale importanza per la storia dell’arte - ha spiegato il prof. Zanardi - visto che in quegli affreschi si compie il superamento in senso naturalistico della “maniera greca”, cioè bizantina, da cui nasce la nuova lingua figurativa, appunto naturalistica, dell’Occidente».

Sul “Giotto-non Giotto” la critica si è nel tempo schierata su due sponde opposte. Chi - soprattutto nell’area internazionale - colloca le Storie di san Francesco in un ambito di cultura romana (da Richard Offner a Federico Zeri); chi invece (soprattutto l’area critica italiana) ritiene gli affreschi del grande fiorentino (da Adolfo Venturi a Roberto Longhi).

Non ci sono dubbi - ha evidenziato il relatore - sul fatto che Giotto si sia occupato della parte inferiore della Basilica di Assisi (dove ha dipinto Vele, Transetto destro, Cappella di San Nicola, e Cappella della Maddalena), mentre è sicuramente più complicato attribuirgli anche le decorazioni della Basilica superiore. Bruno Zanardi è entrato nella questione con un nuovo sistema di indagine, derivato dalla profonda conoscenza dei dipinti da lui stesso restaurati, che prende in considerazione i modi di costruzione materiale di un’opera d’arte. Lo studio (contenuto in due volumi scritti da Zanardi) ha preso in esame l’organizzazione del lavoro nell’intero cantiere. «Le scene del ciclo francescano sono 28 - ha illustrato l’oratore proiettando una serie di immagini -, 13 nella parete di destra, 13 in quelle di sinistra e 2 in controfacciata. Per realizzare un ciclo così vasto il lavoro veniva organizzato in giornate e i pittori coinvolti erano tanti. Si curava l’uniformità dei colori e si usavano sagome, dette patroni, per garantire ugual proporzione alle figure. Se però si osserva la parte destra e la parte sinistra del ciclo, si vede chiaramente che la mano non è la stessa».

Risulta quindi difficile attribuire ad un solo artista questo capolavoro. «E’ evidente - ha concluso il prof. Zanardi - che se Giotto non avesse dipinto il ciclo francescano, questo nulla toglierebbe alla grandezza del pittore».

Pubblicato il 20 marzo 2019

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