Nel carcere di Piacenza è deceduto un detenuto di 32 anni di origine marocchina. La morte sarebbe causata da autoinalazione di gas da una bomboletta. Il detenuto era a Piacenza dallo scorso settembre, sfollato per motivi di ordine e sicurezza dal penitenziario di Reggio Emilia, ed era stato posto sotto attenzione come a medio rischio suicidario. Si tratta del quarto decesso in un anno nel carcere di Piacenza. Il Garante regionale dei detenuti, Roberto Cavalieri, aveva già manifestato forte preoccupazione per il susseguirsi di decessi in questo penitenziario. “Nel carcere di Piacenza - spiega Cavalieri - tutti i detenuti presenti sono stati classificati dalla locale unità di vigilanza e prevenzione suicidaria come a rischio: dei 382 detenuti presenti 8 sono ad alto rischio, 70 a medio rischio e 304 a basso rischio”.
“Le valutazioni sulla situazione carceraria, pertanto, non permettono ai sanitari di operare al meglio per contrastare e prevenire i potenziali pericoli di suicidio e la scelta di certificare un rischio per tutti i carcerati produce, per gli stessi operatori, carichi di lavoro insostenibili”, sottolinea il Garante. Una criticità sulla quale concorda anche il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. Il detenuto marocchino, conclude il Garante, “era stato valutato dallo psichiatra lo scorso mese di ottobre. Da allora, però, non erano seguite ulteriori valutazioni”. Roberto Cavalieri, pertanto, ha richiesto alla direzione del carcere e al responsabile sanitario un incontro urgente. In Italia il 2022 è stato l’anno dei suicidi in carceri: si sono tolti la vita 84 detenuti (6 nelle strutture dell’Emilia-Romagna), uno ogni 5 giorni. Il record negativo precedente era nel 2009, con 72 morti. Per il presidente dell’associazione Antigone il problema principale resta quello del sovraffollamento. Il sovraffollamento nelle carceri sta tornando a livelli preoccupanti: i detenuti sono quasi 57mila, mentre i posti sono 51mila, dei quali circa 4mila indisponibili. Va comunque rilavato che la maggior parte dei suicidi in carcere si verifica nei primi mesi di detenzione, più del 60 per cento dei casi.
Nuovo appuntamento per la scuola di formazione politica dell’associazione “Labora” di Piacenza. Il professor Roberto Chiarini, docente e storico dell’Università statale di Milano, porterà il suo secondo contributo sul tema “Da mani pulite alla seconda repubblica?” sabato 21 gennaio alle ore 16 nella location Antica Stazione a Grazzano Visconti. Chiarini proseguirà il discorso iniziato nel suo primo incontro del dicembre scorso in cui aveva dato una precisa descrizione della rinascita del nostro Paese, e quindi della classe politica italiana, dal dopoguerra al caso Moro. Riflessioni che avranno come sempre lo scopo di interrogare gli interlocutori sui principali temi della recente storia politica per trarne utili suggerimenti sulla lettura dell’attuale contesto socio-politico. Senza una chiara conoscenza del passato, anche recente, non si può affrontare il presente con lucidità di giudizio. Questo è l’obiettivo principale che si prefigge questa serie di incontri “storici” proposta dalla scuola di formazione ideata e curata dai due ex consiglieri comunali di Piacenza Stefano Frontini e Giovanni Botti. Tengono sempre a precisare i due organizzatori che l’orizzonte di questi incontri non vuole essere una scuola di "partito" ma un’occasione di arricchimento culturale e formativo nell’alveo dei principali insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa.
Madri e padri in difficoltà con i loro figli, che si aiutano tra loro, confidandosi sentimenti, dubbi e paure, ma anche esperienze e utili informazioni sulle strategie educative. E in questo modo riescono a darsi reciprocamente forza e coraggio per riprendere in mano le redini del proprio ruolo genitoriale. Accade all’associazione La Ricerca dove è storicamente provato che in questo modo, partecipando ai cosiddetti Gruppi Ama (Auto-mutuo-aiuto), si riesce effettivamente a recuperare la relazione con i figli e ad aiutarli a uscire da situazioni critiche come può essere la dipendenza da sostanze o l’autoesclusione dalla vita sociale.
Chi volesse aderire e capire come frequentare uno di questi gruppi può rivolgersi direttamente all’associazione in Stradone Farnese 96, chiedendo della responsabile dell’Auto-mutuo- aiuto, Anna Papagni (cell 348.8557985 – annapapagni [AT] laricerca [DOT] net). L’invito è quello di prendere coraggio e chiamare, non aspettare che i problemi si aggravino e possano degenerare in forme di disagio che spesso si manifestano nei nostri ragazzi con il ricorso all’uso di sostanze o al consumo di alcol, psicofarmaci e quant’altro. “Perché non si manifestano mai da un momento all’altro, ci sono segnali chiari, campanelli d’allarme, tensioni, silenzi, incomunicabilità, frequenti manifestazioni di rabbia, chiusura dei nostri ragazzi anche nei confronti degli amici, dei compagni di scuola, degli studi…segnali che non dobbiamo sottovalutare”. Negli incontri tra genitori che stanno vivendo le stesse preoccupazioni e paure, lo stesso disorientamento, incontri guidati da psicologi ed esperti dell’ascolto, “ci si confronta sulle difficoltà, ma anche sulle strategie educative, su come assumersi con convinzione e coraggio la responsabilità genitoriale, anche quella di dire dei no. Il confronto e la reciprocità, la solidarietà fra genitori dà la forza per guardarsi dentro con più lucidità, mettendosi anche in discussione per ritrovare dentro di sé le risorse che consentono di riprendere in mano la situazione”. Generalmente l’associazione ha in carico anche i figli di chi frequenta i gruppi di Auto-mutuo-aiuto. Ai percorsi accedono infatti sia familiari di giovani che stanno compiendo un percorso di sostegno psicologico ed educativo o un percorso riabilitativo in comunità, sia familiari di ragazzi con problemi di dipendenza da sostanze che frequentano altri centri di recupero. “Ma può capitare che partecipino anche genitori senza che i figli vengano coinvolti perché qui riescono comunque a trovare il conforto del confronto”.
“La responsabilità della cura deve avere un valore sociale, non è solo a carico del singolo”. Si è concentrato sulla figura del caregiver il convegno “Responsabilità della cura: un impegno da condividere”, organizzato da Piergiorgio Visentin di Azione Cattolica nell’oratorio della parrocchia di Sant’Antonio abate, martedì 17 gennaio. “Anticamente questo luogo – ha ricordato Visentin in apertura – era un lazzaretto dove i pellegrini scontavano le quarantene, ma si curavano anche le malattie della pelle con le pomate fatte col lardo dei maialini di Sant’Antonio. Era un ospedale con una funzione sociale”.
Chi si prende cura? Il caregiver è “colui che assiste, che è vicino”, e può essere informale – quando a prendersi cura è un familiare – o formale, nel caso di una figura professionale. “Attraverso l’esperienza della fragilità possiamo imparare a camminare insieme”, ha sottolineato Itala Orlando, responsabile dell’Ufficio Pastorale della salute della diocesi di Piacenza-Bobbio e moderatrice dell’incontro. “Chi si prende cura – ha aggiunto – non deve mai perdere di vista il lato umano”.
Le difficoltà nel prendersi cura Dietro un caregiver si nascondono sentimenti di diverso genere, spesso negativi come ansia, paura, stanchezza. “Il ‘burden’ del caregiver viene definito come il ‘peso dell’assistenza’ – ha spiegato Eleonora Fernandi, infermiera del reparto Malattie infettive dell’ospedale di Piacenza – L’attività di cura è gravosa e può comportare nel caregiver sentimenti di ansia, depressione o problemi fisici. Il caregiving è gravoso sul piano clinico, assistenziale, psicologico-emozionale e relazionale. Chi si occupa della cura è a contatto con il limite, con il dolore anche più atroce, e non è raro identificarsi nel malato. ‘E se succedesse a me?’. Il professionista deve interfacciarsi su diversi ambiti: la persona malata, i familiari. Nel caso di un percorso di malattia lungo, spesso c’è un sentimento di diffidenza e paura da parte del caregiver familiare nell’affidare il malato ad altre mani, anche se competenti e affidabili. La complessità e l’integrazione del vivere richiede un approccio multidisciplinare. Al centro la persona fragile, che orienta nostro agire, e poi ogni professionista che può soddisfare i bisogni specifici della persona. La famiglia ha ruolo fondamentale: è mediatrice fra il paziente e il mondo esterno, conosce certi aspetti del linguaggio che uno sconosciuto non può percepire, ha un’influenza sull’accettazione della malattia e sullo stato emozionale del paziente. Il caregiver formale ha bisogno di sostegno, collaborazione, confronto e dialogo da parte dei familiari”.
Di cosa ha bisogno il caregiver L’Ufficio Pastorale della salute della diocesi di Piacenza-Bobbio, in collaborazione con l’associazione “La Ricerca”, organizza dei gruppi di auto mutuo aiuto che servono ai caregiver per condividere sentimenti e soluzioni pratiche apprese tramite l’esperienza diretta. I caregiver in Italia sono 8,5 milioni, tra cui 7,3 milioni sono familiari, in prevalenza donne. Poi ci sono gli ‘younger caregiver’: 7 ragazzi su 100 si occupano di membri fragili della famiglia, in media per 23 ore settimanali. “Alle persone fa piacere restituire quello che hanno ricevuto. Nei gruppi di auto mutuo aiuto – ha spiegato Donatella Peroni, facilitatrice dei gruppi per l’associazione “La Ricerca” – c’è l’incontro fra persone unite da uno stesso problema, che hanno bisogno di rompere l’isolamento per raccontarsi”. I gruppi, composti da circa dieci persone, si trovano ogni due settimane e sono coordinati da professionisti coadiuvati da facilitatori formati alla comunicazione e all’ascolto. Il caregiver ha bisogno di: pause, sostegno pratico, informazioni sulla malattia, formazione per accrescere le competenze nel lavoro di cura, sostegno emotivo, comunicazione migliore, gestire lo stress, essere coinvolto nell’erogazione e nella pianificazione dei servizi”.
È fondamentale non trascurarsi Mai dimenticarsi di sé stessi. “Il caregiver – ha ribadito Peroni – ha il permesso di prendersi cura di sé, senza pensare di ‘togliere qualcosa’ al malato che assiste, deve avere spazi di riposo, la possibilità di essere arrabbiato, stanco, triste, disperato o ribelle. Deve essere libero di farsi aiutare, andare in vacanza e ridere con ironia e leggerezza. Non bisogna giudicare i caregiver che si prendono il diritto di fare tutto ciò”. Nelle parole dei partecipanti ai gruppi si notano tutte le sensazioni elencate dalle relatrici: “Mi sento inutile e ho paura, un domani sarò anch’io in queste condizioni”, “Nello stesso tempo amo mia madre ma provo rabbia per la situazione che sta vivendo. È possibile?”. Chi frequenta i gruppi di auto mutuo aiuto, però, dice di aver fatto un viaggio di consapevolezza, perché “la sofferenza condivisa diventa più leggera”.
Come iscriversi ai gruppi Chi è interessato a partecipare ai gruppi può rivolgersi all’associazione “La Ricerca” (tel. 348 8557985, e-mail: annapapagni [AT] laricerca [DOT] net). Prima di essere ammessi al gruppo sono richiesti due colloqui conoscitivi. Il gruppo accoglie nuovi membri in qualsiasi momento.
Francesco Petronzio
Nelle foto: in alto, da sinistra, Donatella Peroni, Itala Orlando, Eleonora Fernandi; sopra, Piergiorgio Visentin.
Quasi una stalla su dieci (9%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività per l’esplosione dei costi con rischi per l’economia e l’occupazione ma anche per l’ambiente, la biodiversità e il patrimonio enogastronomico nazionale. E’ la Coldiretti a lanciare l’allarme sul crack degli allevamenti italiani nel rapporto “Salviamo la Fattoria Italia” diffuso in occasione di Sant’Antonio Abate, il patrono degli animali, con il presidente della Coldiretti Ettore Prandini in Piazza San Pietro a Roma dove per la tradizionale benedizione sono arrivate le razze più rare e curiose di mucche, asini, pecore, capre, galline e conigli. Si va dalla pecora sarda alla Sopravvissana, dalla capra Girgentana alla Monticellana, dal cavallo agricolo italiano al Lipizzano, che ha avuto il riconoscimento Unesco come patrimonio culturale immateriale dell’umanità, fino all’asino dell'Amiata il "Miccio" amiatino, oltre alle razze bovine tradizionali italiane come la Chianina e la Marchigiana e molto altro. Quello di Sant’Antonio Abate è un giorno – spiega Coldiretti – che vede in tutta Italia parrocchie di campagne e città prese d’assalto per la benedizione dalla variegata moltitudine di esemplari presenti sul territorio nazionale. L’allevamento italiano – continua la Coldiretti – è un importante comparto economico che rappresenta il 35 per cento dell’intera agricoltura nazionale, per una filiera che vale circa 40 miliardi di euro, con un impatto rilevante dal punto di vista occupazionale dove sono circa 800mila le persone al lavoro sull’intera filiera.
L'allarme di Coldiretti
L’emergenza economica – denuncia Coldiretti – mette però a rischio la stabilità della rete zootecnica italiana che è importante non solo per l’economia nazionale ma ha una rilevanza sociale e ambientale. A strozzare gli allevatori italiani è l’esplosione delle spese di produzione in media del +60% legata ai rincari energetici, che arriva fino al +95% dei mangimi, al +110% per il gasolio e addirittura al +500% delle bollette per l’elettricità necessaria ad alimentare anche i sistemi di mungitura e conservazione del latte, secondo l’analisi Coldiretti su dati Crea. A tutto questo – afferma Coldiretti – si aggiunge il problema della disponibilità di fieno e foraggi, la cui produzione è stata tagliata dalla siccità, con i prezzi in salita anche a causa della guerra in Ucraina. A rischio – denuncia la Coldiretti – c’è un patrimonio zootecnico di oltre 6 milioni di bovini e bufale, oltre 8 milioni di pecore e capre, più di 8,5 milioni di maiali, altrettanti conigli e oltre 144 milioni di polli. Da salvare c’è la straordinaria biodiversità delle stalle italiane che, dalla mucca Grigio Alpina alla capra Jonica, dalla mucca Tarina alla pecora Saltasassi, conta decine di razze autoctone o a limitata diffusione suddivise in 64 razze bovine, 38 di capre e 50 di pecore, oltre a 19 di cavalli, 10 di maiali, altrettante di polli e 7 di asini che Aia (Associazione italiana allevatori) in collaborazione con Coldiretti vuole tutelare attraverso il progetto Leo con una grande banca dati sugli animali a rischio di scomparsa. Particolarmente drammatica la situazione delle stalle di montagna con un calo stimato della produzione di latte del 15% che impatta sulla produzione dei formaggi di alpeggio, a causa della crisi, del cambiamento climatico e della mancanza della neve che ha impattato sul turismo. Ma a rischio c’è l’intero patrimonio caseario tricolore con 580 specialità casearie tra 55 Dop (Denominazione di origine controllata) e 525 formaggi tipici censiti dalle Regioni.
Prandini: “Quando una stalla chiude si perde un intero sistema”
Allo tsunami scatenato dalla guerra in Ucraina si aggiunge poi – denuncia Coldiretti – la “spada di Damocle” della direttiva sulle emissioni industriali che finisce per equiparare una stalla con 150 mucche o un inceneritore o a una fabbrica altamente inquinante andando a colpire circa 180mila allevamenti ed esponendoli al rischio chiusura con un effetto domino sulle attività collegate. La proposta di direttiva – spiega la Coldiretti – estende una serie di pesanti oneri burocratici a quasi tutti gli allevamenti dei settori suinicolo, avicolo e bovino che vengono considerati alla stregua di stabilimenti industriali. Una situazione che rischia di lasciare campo libero alle importazioni da paesi che non applicano le pratiche sostenibili di allevamento che caratterizzano il sistema produttivo europeo o, ancora peggio, e di spingere verso lo sviluppo di cibi sintetici in provetta, dalla carne al latte cibi sintetici. “Una minaccia quella di Bruxelles che pesa su migliaia di allevamenti che si trovano già in una situazione drammatica per l’insostenibile aumento di costi di mangimi ed energia provocati dalla guerra in Ucraina in un momento in cui è sempre più evidente la necessità di puntare sulla sicurezza alimentare e sull’autosufficienza” denuncia il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado dei territori soprattutto in zone svantaggiate”.
Nelle foto, animali da stalla in piazza San Pietro in occasione della festa di Sant'Antonio abate; benedizione degli animali a Groppallo in Alta Val Nure.
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