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Don Pagazzi: la fede e la carità devono sbocciare in speranza

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“Nel mezzo del cammin di nostra vita  mi ritrovai per una selva oscura”. È la famosa frase del sommo poeta, Dante Alighieri, incipit della Divina Commedia, citata da don Cesare Pagazzi, il 14 febbraio, nell’aula magna del Seminario di via Scalabrini a Piacenza. L’età di mezzo è - per il relatore - un periodo difficile della vita dove si entra nella voragine della selva oscura.
L’incontro sul tema: “Diventare adulti, diventare cristiani”, inserito nella serie di appuntamenti “Focus chiesa Adulti”, è stato organizzato dal Settore adulti di Azione Cattolica della diocesi di Piacenza-Bobbio, in collaborazione con il Coordinamento degli Uffici Pastorali diocesani, che ha accolto l'invito del Vescovo per "passare dal lamento all'appello" e di vivere per primi "un’esperienza sinodale, cioè un’esperienza bella e attraente di un camminare insieme”.
Protagonista della serata il teologo Cesare Pagazzi, nato a Crema nel 1965, prete della diocesi di Lodi, docente ordinario di Ecclesiologia Familiare presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II a Roma, insegnante alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano e allo Studio Teologico Riunito dei Seminari di Crema, Cremona, Lodi, Pavia e Vigevano, docente di Estetica del Sacro presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera a Milano e tra i nuovi consultori della Congregazione per la Dottrina della Fede in Vaticano.

L’età di mezzo

Don Pagazzi ha messo in evidenza come la Chiesa manifesta un vuoto di attenzione all’età di mezzo. “Un periodo significativo della vita - ha aggiunto - dove si arriva apparentemente al meglio di sé. Infatti i 40enni raggiungono, in buona parte, una stabilità affettiva, sono gratificati dai figli, vivono un periodo promettente, ma, nello stesso tempo, sperimentano la fase in cui ci si accorge di invecchiare. I genitori, sempre più anziani, chiedono aiuto. Si incomincia a vedere coetanei che muoiono e nascono sentimenti di delusione. Quando poi arriva un fallimento, come spesso capita, questo viene avvertito in modo molto più grave rispetto all’età dell’adolescenza. È un periodo in cui le crisi toccano i nervi scoperti e si avverte un senso di abbandono”. Il sentirsi abbandonati - secondo il teologo- è la radice di tutti i peccati ed è come se nascesse una specie di autolegittimazione nel fare cose sbagliate, perché lo si vive come un risarcimento per l’abbandono che si sente anche da parte di Dio.

Gesù il consolatore

“Quando ero adolescente - ha raccontato don Cesare - la spiritualità che mi veniva proposta era saturante, riempiva continuamente, non lasciava vuoti… Dio era come uno stucco di muratore che copriva ogni crepa, ma questo non è il Dio della Bibbia! Il Signore ci fa sperimentare anche l’abbandono. Lo stesso Cristo grida, con il Salmo 21, “perché mi hai abbandonato…”. Tanti salmi sono richieste aiuto.
La Sacra Scrittura non ha paura di parlare del senso di abbandono del credente, noi invece pensiamo che sia contro la fede e vogliamo incipriarlo e nasconderlo”. Anche Gesù - secondo il sacerdote - è il consolatore e la sua prima missione è quella di confortare, rincuorare. La vocazione dell’uomo è quella di collaborare con Dio che sembra abbandonare l’umanità, ma mai la tradisce.

Come una mamma

Il profeta Isaia - citato dal relatore - incarica tutti di consolare il suo popolo. Al capitolo 66, Dio dice di rallegrarsi con Gerusalemme paragonata ad una mamma: “Così succhierete al suo petto e vi sazierete delle sue consolazioni; succhierete, deliziandovi, all'abbondanza del suo seno”. Dio è quindi come una madre che nutre e consola tutti ed il paragone con la mamma che allatta il figlio, è stato il centro della riflessione di don Pagazzi che ha spiegato come l’allattamento sia una fase formidabile della crescita del figlio, dove c’è attaccamento e distacco. La madre, nello svezzamento, avvia pian piano un processo di separazione nei confronti del figlio perché impari a giocare da solo. Così è Dio - per il teologo - che apparentemente abbandona l’uomo. È come una mamma che lascia il figlio diventare indipendente.

Quanta speranza?

La mamma quando lascia solo il bambino lo fa con un senso di speranza e diventa la custode del “tu puoi”. Anche Dio è pieno di speranza per noi: “La nostra fede quanta speranza produce?”, si è interrogato don Cesare. “Non può convivere un credente e un disperato - ha puntualizzato - ed oggi un mare di fedeli sono senza speranza. Ma la fede e anche la carità devono sbocciare in speranza”.
È proprio nell’età di mezzo - per il teologo - che queste discrepanze saltano fuori in maniera lampante ed è un periodo che deve essere oggetto di maggiori attenzioni nella pastorale della Chiesa.

Riccardo Tonna

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Pubblicato il 15 febbraio 2022

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