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«Scalabrini spiegato a tutti»: incontro il 28

donXeres

“Scalabrini spiegato a tutti”: è il tema dell’incontro-intervista in programma lunedì 28 novembre alle ore 18 nella basilica cittadina di Sant’Antonino con don Saverio Xeres, tra i maggiori conoscitori del nuovo santo, storico della Chiesa, docente al Seminario di Como e alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale a Milano.
La scelta del giorno non è casuale. Nel 1887 in quella stessa data il vescovo Scalabrini scelse la chiesa del Patrono per la nascita della Congregazione dei Missionari di San Carlo.

L’evangelizzazione

— Don Saverio, come si sviluppa l’attenzione di Scalabrini al catechismo?
La sua preoccupazione fondamentale è l’evangelizzazione.
Quando diventa parroco, fa le cose normali che fa un parroco. Si preoccupa, in una comunità popolosa, delle famiglie. I genitori per la maggior parte lavoravano come operai nelle tintorie e nelle seterie ed erano stremati da orari folli. C’era così il problema della cura dei bambini. Da qui, in lui, nasce l’idea di avviare l’asilo e l’oratorio.

Il vescovo Castelnuovo nella prima metà dell’800 aveva realizzato un catechismo per gli adulti. Scalabrini ne prepara uno per i bambini con la sillabazione.
A Piacenza, poi, dove promuove il primo congresso catechistico nazionale, pubblicherà un vademecum per i catechisti con regole di pedagogia, sullo stile di don Bosco, suggerendo dolcezza e attenzione verso i propri interlocutori.

— Un’enorme mole di lavoro...
Tutto nasce dalla vita pastorale ordinaria. Scalabrini vede il problema dell’incredulità, dell’indifferenza religiosa, della secolarizzazione, come diremmo noi oggi. Ha vissuto tutto questo nella sua esperienza personale. Il fratello Angelo, che era stato in Seminario, ha poi abbandonato la fede. Alla fine della sua vita morirà però ricevendo i sacramenti.
Scalabrini non è un teorico ma coglie in modo acuto i problemi, li studia per conoscerli e capirli a fondo e poi passa all’azione. Così ha fatto in molti ambiti, dall’emigrazione all’attenzione alle categorie di persone più in difficoltà.
Durante una visita pastorale chiede ad un uomo perché voleva emigrare. Alla risposta, “se non parto, non posso mangiare”, Scalabrini dice: “non seppi che cosa rispondere”. Non sapere è indice di intelligenza, ma Scalabrini non si ferma lì, comincia a studiare interessandosi concretamente a questo problema specifico come alla questione del lavoro, quando difende gli operai e scrive il bellissimo testo “Il socialismo e l’azione del clero”.

Como in fermento

— In quale clima sociale si forma Scalabrini a Como?
A Como l’800 è stato un secolo straordinario di grande fermento. Di fronte a situazioni drammatiche che segnavano la città nascono tante iniziative di aiuto.
Chiamate dal Vescovo, arrivano le suore Canossiane per seguire i sordomuti, le Giuseppine si occupano delle ragazze cieche, poi c’era chi seguiva gli operai nelle filande, mentre la beata Giovannina Franchi dà vita ad una casa di accoglienza nel quartiere più malfamato della città: diventerà, in seguito, un ospedale.
Don Guanella, compagno di scuola di Scalabrini, nella val Chiavenna inizialmente segue gli anziani, poi, con le prime suore, tutti i dimenticati, quelli di cui nessuno si occupa.

Dietro a questo grande movimento c’è un altro santo, il cardinal Andrea Ferrari, originario di Parma, vescovo di Guastalla, che giunge a Como come giovanissimo vescovo per poi passare a Milano. È lui a riconoscere per primo l’opera di don Guanella.

— Qual era a quel tempo il criterio per la nomina dei Vescovi?
Fino all’inizio dell’800 i Vescovi erano in genere figli di nobili, quelli della generazione di Scalabrini sono i primi Vescovi presi dal popolo. Scalabrini era figlio di un venditore di vino, il padre del cardinal Ferrari era calzolaio. Inoltre, avevano lavorato nei Seminari e in parrocchia. È una svolta storica.

Davide Maloberti

Pubblicato il 14 novembre 2022

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