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L’allieva di padre Sicari

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Nelle aule dell’Università di Trento, quella che aveva visto formarsi il futuro brigatista Renato Curcio e da dove era partita l’ondata della contestazione, c’era un carmelitano che, con il suo saio, attirava ad ascoltarlo decine e decine di studenti, compresi tanti atei dichiarati: era padre Antonio Sicari, celebre per le sue collane di ritratti di santi, capace di rendere con il linguaggio dell’oggi la ricchezza di storie e carismi delle varie epoche della storia cristiana.
Tra questi giovani c’era anche Marta Bergamasco, padovana, classe 1958, studentessa di Sociologia. Aveva scelto quella Facoltà per il desiderio di non rimanere alla superficie della realtà, indagandola nel profondo nelle sue dinamiche e nelle sue trasformazioni. Padre Sicari diverrà la sua guida spirituale, colui che la introdurrà alla conoscenza del carisma carmelitano sul quale, a trent’anni, ha deciso di giocare la vita, entrando in un monastero della Capitale, che oggi ha concluso la sua presenza.

Il Carmelo da 350 anni a Piacenza

Suor Marta dal 13 ottobre 2018 è una delle dodici monache del convento di via Spinazzi. La comunità sta per iniziare le celebrazioni per i 350 anni di presenza del Carmelo a Piacenza. Sabato 18 marzo, alle 21, invita i piacentini alla Veglia di preghiera presieduta dal preposito generale dei Carmelitani, padre Miguel Marquez Calle. Domenica 19, alle ore 10, messa, celebrata sempre da padre Marquez Calle. Il Carmelo ha messo su casa in via Spinazzi nel 1964. Le altre due sedi sono state, agli inizi, in Cantone Santo Stefano e, dal 1701 fino al secolo scorso, nella storica struttura di Stradone Farnese.

Quel primo incontro di padre Sicari sul tema della libertà

Suor Marta è arrivata a San Lazzaro dopo cinque anni di esclaustrazione, per poter accudire il padre, gravemente malato. A Roma ne aveva trascorsi 26. Dopo la laurea, aveva lavorato in un centro per giovani con disabilità psichiche. “Un’esperienza forte di incontro con la sofferenza, che mi provocava. Mi sentivo impotente. Poco alla volta, ho capito che potevo essere per loro e con loro, in un’altra dimensione. C’è una frase, che ho sentito molti anni dopo, che lo riassume bene: contemplare è prendersi cura. Oggi posso dire che è davvero così: la preghiera è un modo differente, ma efficace, di abbracciare l’altro”. La sete di radicalità la accompagna da sempre. “Avevo scelto Sociologia come forma di contestazione: un modo alternativo di vivere, di andare alla radice delle cose. Anche la preghiera, in questo senso, è contestazione: ti aiuta ad andare al fondo, a scoprire ciò che non appare”.
A Trento, in Università, ricorda perfettamente il primo incontro tenuto da padre Sicari: era sul tema della libertà. Ha acceso quella fiamma di cui parla San Giovanni della Croce, la ricerca della bellezza che ciascuno ha dentro e alla quale ciascuno è chiamato. Dopo tanti anni di vita contemplativa, le intuizioni degli inizi sono diventate certezza. “La preghiera come cura: lo sperimento incontrando le persone, ma anche come cammino interiore di conoscenza di me stessa. La preghiera diventa sempre più vera nella misura in cui cresce la consapevolezza di sé”.

“Siamo segno che propone ma non impone”

Il nuovo terreno di cura e di incontro è la Rete. “Colgo una grande sete di senso, ma anche di silenzio, quasi che la comunicazione, così come è vissuta oggi, anziché aiutare a creare relazioni sia ostacolo ad un ascolto autentico. Noi monache, per la nostra vita, siamo un segno, che dice e non dice, propone ma non impone, in un profondo rispetto della libertà dell’altro”.

Barbara Sartori

Pubblicato il 9 marzo 2023

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