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Don Coluccia a Palazzo Gotico: «Siate portatori sani di vita e di legalità»

coluccia

“Come cittadino, mi impegno a far rispettare la Costituzione; come ogni sacerdote diffondo il Vangelo. Non sono un eroe, mi sento una persona assolutamente normale”. È il valore della sana normalità che guida le azioni di don Antonio Coluccia, parroco nel quartiere San Basilio di Roma, finalizzate a sottrarre manovalanza, e quindi affari, alla criminalità organizzata. La sua storia – che ha raccontato mercoledì 8 marzo davanti a una folta platea riunita a Palazzo Gotico a Piacenza – comincia in Salento, sua terra natia, dove frequenta le scuole e inizia a lavorare come operaio. “Quando lavoravo in fabbrica – dice – mi sono reso conto dell’importanza di studiare, di aprire un libro, di saper leggere e scrivere, di avere una passione. La passione è come una Pasqua, va scoperta”. La vita di don Antonio Coluccia inizia a cambiare quando un prete gli dice “Dio ti sta chiamando”. “Sul momento non diedi peso a quelle parole. Ero fidanzato, pensai dentro di me ‘Starà cercando qualcun altro’. Ma poi andai da don Rosario, il parroco del mio paese, che mi consigliò di avviare un percorso di discernimento. Fu il primo passo per diventare sacerdote”.

Ridurre gli affari della malavita

L’Opera San Giustino, organizzazione di volontariato fondata da don Coluccia, ha sede in una villa confiscata a un boss della Banda della Magliana, arrestato nel 2022. “Nel cuore della piazza di spaccio di San Basilio – precisa il sacerdote – uno dei territori in cui ai giovani viene rubata la speranza. Il bronx di San Basilio, denominato Case occupate, è una zona militarizzata dalla malavita: le vedette si posizionano a terra e sui tetti, pronte a dare l’allarme appena un intruso si avvicina. L’articolo 3 della Costituzione parla di partecipazione, uguaglianza e sussidiarietà e afferma che la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli. Allora io, con l’aiuto delle istituzioni, vado a liberare le persone”. È un’azione pericolosa quella di don Coluccia: “salvando” i ragazzi affiliati alle organizzazioni criminali, di fatto ne intacca gli affari, scatenando naturalmente delle reazioni. Per questo, la sua scorta di secondo livello – che gli è stata assegnata nel 2016, dopo le varie intimidazioni ricevute – non lo abbandona mai. “Mi vogliono fare fuori perché tocco i loro soldi”, dice, “una volta hanno sparato quattro colpi di pistola sulla mia automobile”.

L’omertà aumenta il male

"La droga è l’eucaristia di Satana”. È forte e violenta l’affermazione di don Antonio Coluccia, che analizza il business che si cela dietro l’affare più grande della criminalità organizzata che agisce nella capitale. “Mala albanese, ‘ndrangheta calabrese e mafia romana la fanno da padrone a San Basilio: la loro economia produce un ‘Pil’ di 23mila euro al giorno”, rivela. Il territorio ha un’importanza rilevante. “Le mafie sono ovunque, ma a seconda del luogo in cui operano hanno un impatto diverso. Lo Stato crea dei vuoti istituzionali, per cui le organizzazioni criminali diventano proprietarie di quei luoghi. E allora è il boss a comandare, a dare lavoro, a creare ‘welfare’”. E fa un esempio eloquente: “Quando hanno ammazzato un giovane, Francesco Fasano, lo hanno messo in ginocchio, gli hanno sparato un colpo in testa e poi l’hanno investito con la macchina. Le persone hanno visto, ma non hanno detto niente”.

Gli “strumenti liturgici” di don Coluccia

La missione di don Coluccia va oltre il bronx. “Mi dissero che per cambiare davvero le cose e salvare i ragazzi avrei dovuto occupare le piazze. Per farlo, uso due ‘strumenti liturgici’: il megafono e il pallone. Nelle zone di spaccio i ragazzi giocano con un pallone che vale decine di migliaia di euro, perché al suo interno contiene 1.200 pezzi di cocaina. Ma quei ragazzi dovevano studiare, formarsi come cittadini, perché il futuro è un’altra cosa. Molti si fanno affascinare dai criminali, ma è una strada che non porta da nessuna parte. Quando una persona riceve Gesù sa che la sua vita non può avere un prezzo, non è a disposizione delle organizzazioni criminali. Tutti devono avere diritto di scelta e nessuno deve essere pregiudicato solo perché nato in un quartiere piuttosto che un altro. Il Vangelo è scomodo, come diceva Primo Mazzolari. Per cui, se metterò a rischio la mia vita per salvare quel ragazzo non starò facendo nulla di eccezionale. Gesù ha dato la sua vita per salvarci, chi sono io per non farlo?”.

I “palleggi” con il Vescovo

Osare, rischiare, compromettersi: questi i tre pilastri. “Nelle scuole mi apostrofano come infame. E allora li invito a riflettere su quella parola, perché l’infame non sono io, ma chi sa e non parla, e dunque non dà il proprio contributo alla vita della comunità. Il cambiamento è possibile – ne è convinto don Coluccia – ma è necessario credere nelle proprie capacità, non mirare alla bella vita ma a una vita bella, sapendo dire di no. I ‘no’ sono le potature che fanno rinvigorire la vita”. Dai suoi ‘strumenti liturgici’ don Coluccia non si separa mai, e li ha portati con sé anche a Palazzo Gotico. Il simpatico siparietto ha coinvolto anche il vescovo mons. Adriano Cevolotto, che si è cimentato in una serie di palleggi col prete romano. E dal megafono è partito l’appello ai presenti: “Impegnatevi per le persone più fragili, per coloro che non hanno la possibilità. Siate voi la possibilità. Nel momento in cui noi ci impegniamo a portare la possibilità in questi territori, siamo portatori sani di vita e di legalità”.

Francesco Petronzio

Nella foto, don Antonio Coluccia a Palazzo Gotico.

Pubblicato il 9 marzo 2023

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