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Grossi: «I ragazzi possono diventare violenti o si deprimono»

Andrea Grossi

“Alle porte della scuola bussano famiglie che hanno percorsi a volte travagliati, problematici o anche solo complicati, che devono affrontare difficoltà che viene dal trapiantarsi in un altro territorio, venire a patti con altre regole, diritto, modalità di scambio sociale. Riti di convivenza civile che sono diversi. La scuola ha una serie di responsabilità”. Il provveditore agli studi di Parma e Piacenza Andrea Grossi ricorda come “all’istituzione scuola è riconosciuto un fattore che può consegnare una possibilità di vita sociale, libera, serena e feconda”. Le complessità che stanno dietro al fenomeno dell’immigrazione danno vita ad alcuni rischi. “A causa di fattori come il mancato appoggio familiare il rischio è che i ragazzi, pur in presenza di capacità, intelligenza e potenzialità, finiscono per incanalarsi in percorsi riduttivi”. E poi la differenza nel ritmo di apprendimento della lingua all’interno della famiglia e la “ghettizzazione”. “C’è il rischio che si definiscano gruppi per comunità di etnia che tendano a ricostruire forme di relazione sociale poco porose rispetto al contesto. Questo riduce l’apprendimento della lingua, l’interazione e la capacità di entrare in relazione con i contesti culturali e sociali del territorio”, dice Grossi.

La pagella cucita nel vestito

Il dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale di Parma e Piacenza (questa la dicitura esatta del provveditore agli studi) è intervenuto nel corso dell’incontro “La scuola protagonista dell’intercultura e della comunione tra i popoli” promosso dall’Ufficio pastorale della scuola, l’Ufficio diocesano migranti e l’Associazione Migrantes della diocesi e tenutosi nel pomeriggio di martedì 26 novembre nell’auditorium della Casa madre degli Scalabriniani a Piacenza. Nell’aprire il suo intervento, Andrea Grossi ha citato l’episodio di un bambino maliano morto nel grande naufragio del 18 aprile 2015 nel Mediterraneo, che portava cucita nei vestiti la propria pagella scolastica. “Immaginiamo una madre orgogliosa, che ha pensato di far accompagnare il figlio da un documento che certificasse le acquisizioni scolastiche. Quello che spesso è fonte di preoccupazione, qui è fonte di orgoglio e garanzia, un elemento su cui costruire un futuro di serenità, tranquillità, vita professionale”, commenta Grossi.

Gestire la comunicazione

Accogliere, riconoscere, tradurre, perdonare: quattro verbi in cui, per il “capo” degli insegnanti di Parma e Piacenza, si sintetizza l’azione della scuola. “La prima abitudine dev’essere l’accoglienza – dice – la scuola deve avere sempre la percezione della novità di ciascuno. Non per tutti vanno bene le stesse risposte”. E poi, la scuola deve stare “attenta a gestire la comunicazione affinché non nasca un pregiudizio o un rallentamento nel percorso di fiducia che le famiglie le riconoscono”. “Non possiamo pensare che lo studente abbia motivazione se non gli riconosciamo potenzialità e valore e se non gli facciamo capire che la sua esperienza e la sua voce contano. Molte situazioni di violenza nascono dal fatto che i ragazzi non vengono presi sul serio, vengono messi da parte: ciò genera un senso di frustrazione che sfocia o in violenza o in depressione, un senso di inutilità con tutti gli esiti che conosciamo”.

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Avvicinare i gesti

“Occorrono forme di traduzione non solo del linguaggio ma di simboli culturali”, dice Grossi. “Tuttavia, non possiamo farlo con un meccanismo di sostituzione: l’unica strada è fare un lavoro culturale, avvicinando i gesti, cioè accogliendo un gesto che ha un significato in quella cultura e associandogli un gesto che viene da un altro contesto. È un’operazione frutto di intelligenza, studio e capacità culturale e occorre tempo per fare in modo che i vissuti convivano in modo non ostile e le persone apprendano a comprendersi. Credo che questo lavoro sia occasione di grande creatività per creare parole e significati nuovi. Questa opportunità va considerata non come tramonto dell’Occidente ma come un inizio”. E infine, per Grossi bisogna “avere chiaro che nella storia è presente la violenza e imparare a essere responsabili del contributo che si può dare alla costruzione della città. Questo ruolo passa attraverso un ruolo di critica, decostruzione, ma è anche un lavoro di costruzione: perdonare significa dare inizio a una nuova strada insieme. Ci sono meccanismi di sopraffazione e non possiamo fare finta di niente”.

Francesco Petronzio

Nella foto, il provveditore Andrea Grossi.

Pubblicato il 27 novembre 2024

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  • In Cattedrale è stato ricordato il beato Secondo Pollo

    pollo

    Lunedì 26 dicembre il vescovo mons. Adriano Cevolotto ha presieduto la messa in Cattedrale a Piacenza nella memoria del beato Secondo Pollo, cappellano militare degli alpini. Vi hanno partecipato i rappresentanti delle sezioni degli Alpini di Piacenza e provincia e i sacerdoti mons. Pierluigi Dallavalle, mons. Pietro Campominosi, cappellano militare del II Reggimento Genio Pontieri, don Stefano Garilli, cappellano dell'Associazione Nazionale degli Alpini di Piacenza, don Federico Tagliaferri ex alpino e il diacono Emidio Boledi, alpino dell'anno nel 2019.
    Durante la Seconda guerra mondale, il sacerdote parte per la zona di guerra del Montenegro (Albania), dove trova la morte il 26 dicembre dello stesso anno, colpito da fuoco nemico mentre soccorreva un soldato ferito. 
    Originaio di Vercelli, fu beatificato il 24 maggio 1998 da papa Giovanni Paolo II. 

    Nella foto, il gruppo degli Alpini presenti in Cattedrale con il vescovo mons. Adriano Cevolotto.

    Pubblicato il 27 dicembre 2022

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