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Storia del giornale

1 - I giornali cattolici prima del Nuovo Giornale

Le testate che nella seconda metà dell’800 hanno preceduto il nostro settimanale

2storiaLa data di nascita del nostro giornale è il 6 gennaio 1910, ma il lieto evento è stato preceduto da un impegno giornalistico in cui i cattolici si sono fatti le ossa passando da una fase di tolleranza, quasi di rifiuto di questo nuovo marchingegno che metteva nelle mani di pochi sprovveduti o anticlericali uno strumento tanto potente. Il settore, però, non  sentiva ragioni, andava avanti,  e i cattolici piacentini della seconda metà dell’Ottocento, anche sotto la guida di uomini illuminati aperti al nuovo come il vescovo Scalabrini, sono scesi nell’arena, hanno imparato il mestiere e cento anni fa, ma già con “La Favilla” un paio d’anni prima, erano pronti a misurarsi con amici e avversari secondo le regole  del gioco.
Ricordiamo in breve questa pattuglia di antenati del “Nuovo Giornale” non senza aver prima ringraziato il personale della Biblioteca Passerini Landi che conserva gelosamente, non solo quelli cattolici, ma ovviamente tutti i giornali della Piacenza degli ultimi 160 anni. Per maggiori informazioni, anche su questo settore, rimandiamo al libro “Giornalisti all’ombra del  Duomo” ormai prossimo all’uscita; di seguito solo qualche scarna citazione. 

IL VERIDICO (4 gennaio 1873 - 8 luglio 1884). Il giornale, che esce dal 4 gennaio 1873 fino all’8 luglio 1884,  ha la propria sede a Parma e si presenta con un formato ridotto (cm 28 x 39); in seguito allargherà le proprie pagine (cm.32 x 45). Sotto la testata un sommario indicativo del programma: “Periodico religioso, letterario, politico di Parma e Piacenza”. Esce il sabato ed è a quattro pagine. 

LA VERITA'  (6 gennaio 1880 – 31 dicembre 1881). Con il 6 gennaio 1880 i cattolici piacentini sono presenti con un loro quotidiano: “La Verità”; formato nel primo anno cm. 31 x 41, poi 33 x 46, in edicola tutti i giorni tranne quelli successivi i festivi.  La sede è in via San Michele (attualmente via Felice Frasi) e poi in Strada Diritta (ora via XX Settembre) al n. 81. Le pagine sono quattro; lo schema è quello adottato da tutti:  in quarta la pubblicità e presenza del romanzo d’appendice. Il giornale termina le pubblicazioni il 31 dicembre 1881.

LA VOCE DEL PAESE (5 aprile 1882 – 30 dicembre 1883). Il primo numero di questo nuovo foglio fa la sua comparsa il 5 aprile 1882, lo dirige Ferdinando Tammi, già responsabile  de “La Verità”, è bisettimanale (esce il mercoledì ed il sabato), il formato è cm. 34 x 47, viene stampato da Tedeschi in Strada Diritta 89. Con il numero del 2 gennaio 1883 la stampa passa alla Tipografia Sant’Antonino, in via Vescovado 20. Termina le pubblicazioni il 30 dicembre 1883.

L’INDICATORE PIACENTINO (3 gennaio 1885 – 10 febbraio 1886). Il primo numero di questo giornale fa la sua comparsa il 3 gennaio 1885, è un settimanale “religioso, politico, industriale” ed esce il sabato. Ha le abituali quattro pagine, il formato è cm. 34 x 48,  il direttore è Giovanni Bianchi, un esponente qualificato del giornalismo, non solo piacentino.  La sede  è  in via Sant’Agnese n. 5. Il 27 giugno 1885 diventa bisettimanale Chiude il 10 febbraio 1886.

L’AMICO DEL POPOLO  (2 gennaio 1886 – 22 maggio 1898). “L’Amico del Popolo”, la nuova testata cattolica, nel corso della sua vita va incontro a diversi cambiamenti: esce per la prima volta il 2 gennaio 1886, direzione e  amministrazione presso la libreria Cesare Schiavi, in Piazzetta San Francesco 60.  Dal 20 aprile 1887 l’amministrazione passa in via San Salvatore (attuale via Scalabrini), di fronte alla chiesa di Santa Maria della Pace. Direttore fin dall’inizio è don Gaetano Bersani.  Il 3 novembre la responsabilità del giornale passa al marchese Giambatttista Volpe Landi. Con il 1897 il giornale diventa quotidiano, la sede passa in via Sant’Antonino 3 presso il Caffè Grande. Dal 4 febbraio direttore è Domenico Ferrari. Il giornale cessa le pubblicazioni il 22 maggio 1898.

L’ECO DEL POPOLO (4 giugno 1898 – 2 luglio 1898). Esce il 4 giugno 1898, è bisettimanale (mercoledì e sabato)  e chiude il 2 luglio successivo.  Quindi una meteora. E’ a quattro pagine, ha sede in via Sant’Antonino 38, formato cm. 33 x 45 e il suo programma è quello dei cattolici “che amano disinteressatamente e di pari amore la religione e la patria. Ad una cosa sola tendono in Italia i cattolici, alla restaurazione, cioè dell’ordine cristiano nella famiglia e nella società…”.

LA VOCE  CATTOLICA  (1° maggio 1898 – 14 dicembre 1901). E’ il giornale con il quale i cattolici piacentini doppiano il secolo: è prima settimanale ed esce per la prima volta il 1° maggio 1898;  con il 1° gennaio  1899 diventa bisettimanale e cessa  le pubblicazioni il 14 dicembre  1901.  La sede è in Strada Diritta 89, passerà poi in Piazza Duomo 13-15 e in seguito in via Prevostura 7. Il formato è di cm. 28 x 39 (quando diventa bisettimanale passa a cm. 35 x 49); quattro le pagine. Alla direzione vi sono don Francesco Gregori, dal dicembre 1899 don Faustino Lotteri e negli ultimi mesi don  Vincenzo Pancotti. Tra i collaboratori il giornalista e storico Francesco Giarelli.

IL LAVORO (12 luglio 1902 – 3 dicembre 1904). Con il sottotitolo di “democratico – cristiano”, il nuovo giornale   esce  il 12 luglio 1902. Quindi vi è una pausa nel giornalismo cattolico locale di circa sei mesi.  E’ inizialmente settimanale, ma dal 4 marzo 1903 diventa bisettimanale; dal 3 gennaio 1904 ritorna settimanale. Chiude il 3 dicembre 1904.

LA FAVILLA (16 febbraio 1907 – 25 dicembre 1909). Il 16 febbraio 1907 fa la sua comparsa un nuovo giornale, “La Favilla”, con il quale inizia a Piacenza, in ambito cattolico, il giornalismo moderno. “La Favilla” è settimanale, ha il formato di cm 39 x 56, le pagine sono quattro,  ha la sede in via Chiapponi 11,  lo dirige don Francesco Gregori. La testata cessa le pubblicazioni il 25 dicembre 1909 annunciando la nascita del “Nuovo Giornale”.

(1 - continua)

 

2 - Le origini, gli anni di Gregori e il fascismo

“Il Nuovo Giornale” quotidiano. Rapporti difficili con il fascismo

7centenario2Nel dicembre del 1909  “La Favilla” annuncia la nascita di un quotidiano cattolico piacentino, è “Il Nuovo Giornale” che  inizia le pubblicazioni il 6 gennaio 1910. Tra le due testate  c’è realmente continuità. Non si tratta, quindi, di una chiusura, ma di un cambio di guardia interno. Infatti il 18 dicembre 1909, con il titolo “Il Nuovo Giornale di Piacenza”,  “La Favilla” aveva  annunciato l’uscita del quotidiano cattolico. Perché un titolo simile? “Per non ledere diritti di terzi”. Di questa testata si sta parlando, sul piano organizzativo, da circa un mese.
L’iniziativa è stata preparata nei dettagli: il nuovo quotidiano avrà una propria tipografia con una stampatrice  capace di 1.200 copie l’ora ed una macchina compositrice. Per i tempi si tratta di novità tecniche importanti. La sede è in via Garibaldi 60, accanto a quella della Posta (attuale sede della Provincia). Molte le indicazioni pratiche. Ad esempio ai nuovi corrispondenti viene offerto, in sintesi, un piccolo manuale di comportamento. Dovranno essere: “Attenti, pronti, oggettivi, concisi…”. “Il corrispondente non dimentichi di essere un cronista, pertanto riferisca i fatti come sono. Quanto alle impressioni, generalmente parlando, dica quelle del pubblico, non le sue personali”.  Meglio non si potrebbe esprimere un direttore moderno. Anzi!
Con “Il Nuovo Giornale” il settore della  stampa cattolica  ha ormai raggiunto una propria stabilità, anche se non mancheranno i cambiamenti, date le prove a cui il Novecento sottoporrà la nuova testata. Primo direttore è l’avv. Agostino Mittiga, ma la vera anima del giornale è don Gregori che in  seguito assumerà la guida della redazione in prima persona.
Restiamo al primo numero. In apertura un articolo di saluto a firma del direttore; titolo: “Cominciando”. “Il nostro giornale – dopo un periodo fecondo ed alacre di sforzi poderosi e continui – vede finalmente oggi la luce e corona con un pratico successo l’attesa che amici ed avversari avevano su l’opera nostra”.
Vi sono alcuni passaggi in cui Mittiga si concede un po’ di retorica e poi entra nel vivo: “Ai nostri tempi il giornale è una forza: lo è per gli avversari della Chiesa: dev’esserlo anche per noi. E’ un’arma che bisogna imbrandire e temprare in ogni momento. Ma è anche un’arma pesante che i muscoli e il coraggio di un solo, non bastano a maneggiar con  sveltezza e facilità.  Bisogna che tutti quelli i quali hanno con noi una fede e sanno che questa fede non è inerzia molle di animi imbelli, ma coraggiosa estrinsecazione di vita attiva e feconda – ci assistano con l’opera loro”.
Più avanti: “Nessuna mira bassa  ed innominabile di guadagno, nessuna losca ambizione di supremazia ci ha spinti. Abbiamo sentito che avevamo un dovere e questo dovere vogliamo compiere. Lo compiremo questo dovere in tutta la sua interezza, senza paure e tentennamenti, senza acrimonie vane e logomachie inutili. I nostri avversali leali si rassicurino”.
“Noi usciamo per combattere in piena luce non contro gli uomini che ci avversano, ma contro le loro idee malvage che tante infelicità han disseminato ne disseminano tuttavia nel mondo”.
“Vi sono uomini che dobbiamo difendere dalla lebbra più triste: dalla corruzione dello spirito, che si spande attorno ammantandosi di arabeschi e di ori falsi e luccicanti.
“… Il nostro programma non è che quello di tutti i cattolici d’Italia e del mondo: per la carità e per il bene, sempre, con ogni sforzo. Dinanzi a questo proposito le persone scompaiono perfettamente. Assalitori, non di anticipato volere ma se le necessità vi si costringeranno, useremo quella nobiltà di mezzi che ci è abituale”.
“Assaliti ci difenderemo con ogni sforzo maggiore usando rispetto per la lealtà degli avversari, smascherando senza esitazione e pentimento coloro che avranno creduto di rendersi  forti con la menzogna e con la vigliaccheria”.
Già abbiamo accennato che la direzione passerà poi a Gregori, vi sarà anche una parentesi con Angelo Maria Zecca, un prete letterato, ma all’inizio degli anni Venti, quando lo scontro con i due schieramenti opposti, da un lato i socialisti e dall’altro i fascisti, si fa più duro, la redazione è guidata da Gregori.
I giornalisti cattolici vengono più volte aggrediti, lo stesso direttore è vittima della violenza fascista. Si legge nel libro “Giornalisti all’ombra del duomo”: “E’ un crescendo: diversi preti vengono aggrediti, ma non solo; il 27 ottobre, alla vigilia della “marcia su Roma”,  nuova aggressione alla  testata cattolica (questa volta ci va di mezzo il redattore Umberto Del Ciglio) e così si giunge al 30 novembre 1922 quando viene reso pubblico il cambio di tutto il vertice del quotidiano cattolico (negli ultimi tempi, però, la redazione aveva seguito con uno stile diverso la presa del potere di Mussolini e i motivi li spiegherà con il suo articolo di addio lo stesso direttore uscente).
Mentre Gregori pubblica in prima pagina un articolo di fondo intitolato “Un salto nel buio”, in seconda apre con le sue dimissioni: “In limine… mortis”. Per la sua importanza, sia per conoscere l’uomo sia per capire il passaggio nella vita del giornale, è il caso di leggere quasi integralmente l’articolo: “Quando, fra poche ore, questo numero del ‘Nuovo Giornale’ vedrà la luce, io avrò cessato definitivamente di esserne il Direttore.
“Dico ‘definitivamente’, perché le mie dimissioni datano dal giorno otto Ottobre; e mi lusingo che i lettori del ‘Nuovo Giornale’, almeno i più attenti ed assidui, se ne siano avveduti”. Precisa di aver assunto l’incarico nel settembre del 1920, ribadisce i principi di giustizia nei quali ha sempre creduto e ai quali si è uniformato. “Ma ho dovuto convincermi che oggi il mio pensiero non è più all’unisono con quello della maggioranza; la mia è una mentalità ormai sorpassata, la quale viene accolta dai più con un sorriso  tra l’ironico ed il compassionevole”.
“Ora il rimanere in un ufficio in cui si ha il dovere di adoperarsi a formare l’opinione pubblica è sciocchezza per chi comprende  che i  criteri ai quali si ispira sono passati di moda, e per conseguenza non saranno mai divisi dagli uomini del suo tempo”.
“Per me, che questi criteri li ho imparati sulle ginocchia materne e li ho coltivati per mezzo secolo colla ostinazione del montanaro, il cambiarli oggi è impossibile. Piuttosto che rappresentare la malva, ho preferito apparire l’ortica; molto meno mi adatterei a fare la parte del girasole”. Precisa che per lui è ormai impossibile cambiare modo di pensare e, convinto di prendere una decisione non solo lecita, ma doverosa,  si dimette.
Alla dichiarazione di Gregori fa seguito quella del suo redattore, don Colombini, che lascia anche lui il giornale. Il sacerdote dichiara di condividere le parole della direzione e aggiunge alcune sue considerazioni venate di ironia: “Non mi duole di abbandonare la lotta; ho sempre avuto un senso nostalgico per i pacifici, che mi illudo possan essere beati. Non serbo rancore per nessuno. Ci tengo a dichiararlo specialmente a quelle anime, pie e non pie, che si sono date premura di affliggere più di una virtù cristiana, vagheggiando quel giorno felice, nel quale avrei deposto la penna”.
Dopo Gregori il giornale sarà diretto da Angelo Maria Nasalli Rocca, che lascerà  il posto a Silvio Celata,  Luigi Balduzzi e ad altri giornalisti che si muovono nell’orbita del quotidiano “L’Avvenire d’Italia”. La testata piacentina  affronta il periodo fascista in un primo tempo aderendo, sul piano politico, alla causa dei popolari, poi si limiterà alla pastorale affidandosi, per le scelte politiche, al già citato fratello maggiore di Bologna. Alla fine giunge la guerra, il giornale per alcuni mesi sospenderà le pubblicazioni, ma con il ritorno della democrazia, dopo le direzioni di Adeliso Massari e di Amedeo Ghizzoni, affronterà i problemi della società con rinnovato vigore. Questo riguarda soprattutto la direzione del giovane don Ersilio Tonini, ma ne parleremo nella prossima puntata.
In breve i cambi di periodicità: a parte la parentesi del 1918 quando, per motivi economici, esce solo una volta la settimana, la testata mantiene la cadenza quotidiana fino al 1926 quando diventa bisettimanale; nel 1932 passa  settimanale ed è con questa periodicità che giunge ai nostri giorni.

(2 - continua)

 

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