Menu
logo new2015 ok logo appStore logo googleStore

Bisagni apre Cives: «Costruire la pace vuol dire trovare un equilibrio in noi stessi e poi con gli altri»

 gruppocives


“Siamo meravigliosamente complessi”, in ognuno di noi convivono diverse parti, “voci” che dialogano fra loro e hanno diritto di essere ascoltate. La prima fra le premesse della pace viene dall’armonia di queste voci. Da qui parte l’analisi dello psicologo Daniele Bisagni, che ha aperto “Zona franca”, ventiduesima edizione di “Cives”, il corso di formazione di Università Cattolica del Sacro Cuore e diocesi di Piacenza-Bobbio, nella serata di venerdì 28 ottobre.

Pace interiore, ovvero l’equilibrio di più voci
“La guerra e la pace dentro di noi e con gli altri”. Prima della relazione con l’altro si consuma il rapporto fra le diverse anime del nostro io. “Immaginate le vostre voci come i componenti di un gruppo – esemplifica Bisagni – tutti abbiamo parti positive e negative che gravitano intorno a un ‘io’ centrale, che è il leader, il conduttore del gruppo. Non possiamo delegare a nessuno la guida delle nostre voci, siamo artefici del loro funzionamento e, dunque, siamo potenzialmente artefici di pace”. La prima ‘pace’ da raggiungere riguarda quindi noi stessi, nasce dall’equilibrio fra le diverse caratteristiche della nostra personalità. Ogni voce va ascoltata, ognuna deve avere lo stesso tempo di parola e nessuna deve prendere il sopravvento: come dialoghiamo determina come stiamo.


Cinque passi per l’armonia interiore
Bisagni individua cinque passaggi da compiere per la pace interiore: il primo è accogliere e fare spazio a tutte le nostre parti; il secondo è ascoltare senza giudicare, ogni parte deve avere il diritto di parlare. I bisogni e i desideri emergono quando le varie parti si guardano da diverse prospettive. Il terzo passo è l’accettazione del dolore. “Fragilità e vulnerabilità ci appartengono – avverte Bisagni – il buon conduttore riconosce che il dolore fa parte dell’ascolto di sé. È un passaggio fondamentale, più si fa fatica ad accettare il dolore più si rischia di essere travolti dai disturbi mentali. Prima del Covid, l’Organizzazione mondiale della sanità ha contato più di 280 milioni di persone affette da depressione: un numero che continua a salire, soprattutto nella fascia 10-19 anni. Il dolore fa parte della nostra vita e fa bene sentirlo”. Il quarto passaggio è ascoltare i bisogni di ogni parte e prendersene cura. “Un punto dell’Act (terapia di accettazione e dell’impegno) è la ‘self compassion’ (compassione di sé), che raccomanda di avere un atteggiamento benevolo, di essere gentili con sé stessi così come accade con le persone care”. L’ultimo passo è l’interdipendenza. “Il tutto è più della somma delle parti”, dice Bisagni citando lo psicologo Lewin, ma sta al conduttore trasformare il gruppo in un gruppo di lavoro: “il riconoscimento reciproco delle parti – aggiunge – è permesso dall’interdipendenza, che si genera rinunciando a qualcosa di mio per l’altro o rinunciando per primo perché ci fidiamo dell’altro, dunque so che anche lui rinuncerà a qualcosa per me”. Per convivere in armonia le singole parti devono conoscersi e riconoscersi. Un modo per sentirsi meglio è trovare un senso al proprio vivere: l’ikigai, ossia il punto di incontro fra ciò che amiamo, ciò che ci fa stare bene, ciò per cui ci pagano e ciò di cui il mondo ha bisogno. “Ognuno di noi ha almeno un ikigai – spiega Bisagni – che è ciò che rende la vita degna di essere vissuta”.

Dall’individuo al gruppo
“Accogliere l’altro vuol dire andare oltre il cosiddetto ‘effetto privacy’, eliminando tutti i pregiudizi per fare spazio all’altro. Per prima cosa serve uscire dalla logica M-m, maggiore-minore, che scatena i meccanismi della violenza ed è il principio di tutte le guerre, e giungere a una logica di equilibrio. Rinunciare, dunque, a un atteggiamento passivo (rinuncia e sottomissione) o aggressivo (focalizzato esclusivamente sul proprio punto di vista) e collocarsi in una posizione assertiva, fatta di rispetto dell’individualità dell’interlocutore. E infine raccontarsi: per conoscersi non basta accogliere ma bisogna raccontare qualcosa di sé, avvicinarsi, creare interazioni per superare le prime impressioni”. La conoscenza è un percorso che richiede tempo. “Quando facciamo un viaggio in un Paese straniero notiamo cose nuove e inconsuete, altre familiari, altre ancora che ci fanno sentire offesi, minacciati oppure incuriositi e divertiti. Sbaglieremo strada per poi tornare sulla strada giusta e infine torneremo a casa, in ogni modo arricchiti. Il processo interiore, così come la guerra, richiede tempo: scegliamo qual è il tempo che vogliamo prendere in considerazione.

Il conflitto genera guerra
Nel rapporto possono esserci delle divergenze, ovvero contrasti e conflitti. “Il contrasto riguarda la sfera dei contenuti, dunque è costruttivo; il conflitto, che vive nell’ambito personale-relazionale, è distruttivo e può sfociare in una guerra se non c’è un buon conduttore. Quando il conflitto è già scoppiato – conclude Bisagni – torniamo all’interdipendenza: una delle due parti deve fermarsi e rinunciare, fare il primo passo avendo fiducia che l’altro faccia lo stesso”.

Francesco Petronzio

Nella foto, il gruppo dei partecipanti alla prima serata di Cives.

Pubblicato il 29 ottobre 2022

Ascolta l'audio

"Il Nuovo Giornale" percepisce i contributi pubblici all’editoria.
"Il Nuovo Giornale", tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), ha aderito allo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

Amministrazione trasparente