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La fede corre sui social

 

corrado

In questi tempi di distanza, obbligata e necessaria per contrastare la diffusione del virus, i media sperimentano compiti e responsabilità diverse e forse più ampie del solito. Le tante Messe trasmesse su Facebook o in tv hanno permesso a tanti fedeli di mettersi in comunione, anche solo virtualmente, con una comunità più ampia, e le informazioni che da subito tutti i media hanno diffuso su questa crisi hanno permesso molti di sapere come comportarsi o hanno fatto riflettere. Certo, essendo dei mezzi, si possono anche usare male, molto male. “È questione di deontologia e di servizio” - spiega il direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della Cei Vincenzo Corrado. “È un momento in cui il servizio è servizio, con la «s» maiuscola – ragiona –, soprattutto per chi appartiene a una comunità di fede. Il nostro dovere, che nasce dalla Costituzione, è informare correttamente rispettando le regole deontologiche. L’informazione crea comunità. Ma l’informazione è anche formazione: in questo c’è un forte richiamo alla componente etica del nostro lavoro. Per fare i giornalisti in questo tempo, oltre a dare informazioni, bisogna non alimentare paure ma senso di responsabilità, come ci spiegava il presidente Mattarella. Non si tratta solo di fare cronaca”.
E dai media diocesani o dalle pagine Facebook parrocchiali cosa ci si aspetta, quali sono i limiti da non superare? “Noi abbiamo un’appartenenza forte che crea un impegno e una spinta in più verso il bene comune. Interpretare i fatti con l’occhio della fede può fare la differenza, non perché gli altri non sono in grado, ma perché abbiamo una lettura altra e alta della realtà. Questo momento può essere di crisi profonda, (viviamo la chiusura in tanti modi) ma dobbiamo invece valorizzare il tessuto vivo di relazioni, storie e umanità che ci sono nel nostre comunità”. Comunicare al tempo del Coronavirus, quindi significa, per il direttore delle Comunicazioni Sociali della Cei “in una parola, «essere a servizio» e quindi anche trovare modalità nuove per tenere vive le comunità. In questa emergenza, si vede una creatività che è la cifra sintetica di queste giornate, a partire dall’uso sapiente delle nuove tecnologie per portare la Parola nelle vite concrete della gente. È stato sempre così, ma ora abbiamo la misura concreta di quello che può essere”.
Messe o preghiere trasmesse su varie piattaforme e una domanda debordante di fede che corre sui social caratterizzano oggi mondo delle comunicazioni sociali. E a queste richieste, come media e come Chiesa occorre rispondere: “Quella italiana è una Chiesa di popolo, occorre far ritrovare a tutti la forza di ricominciare”. Una Chiesa che pian piano sta imparando portare il suo annuncio anche sui social. Di qui l’appello di Corrado: “Usiamo i media per vivificare i rapporti, che per forza maggiore sono interdetti, anche attraverso la tecnologia. E infine, a voi che siete delle regioni più colpite, un pensiero alle famiglie, ai malati, alle persone sole, agli operatori sanitari, ai medici e alle autorità che in questo momento difficile, devono prendere decisioni per tutti”.

Daniela Verlicchi

Pubblicato il 17 marzo 2020

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