Mons. Dosi in San Raimondo: «agire con scaltrezza è impegnarsi a dire sì a Cristo»

“Oggi ci ritroviamo per la prima volta a celebrare la santa messa dopo la pausa estiva nel monastero delle Benedettine di San Raimondo, un appuntamento che ci unisce ogni primo venerdì del mese. Grazie quindi alle monache che come sempre ci accolgono e grazie a tutte voi presenti che permettete di vivere questo momento di preghiera comunitaria nel nome del Signore. Siamo anche nella settimana di commemorazione dei defunti e vogliamo perciò rivolgere una preghiera perché il dolce ricordo dei nostri cari non venga mai meno”. Così l'assistente ecclesiastico Don Celso Dosi ha aperto la celebrazione in omaggio alla beata Maria Cristina di Savoia lo scorso 7 novembre.
“Questo pomeriggio vogliamo concentrare la nostra attenzione sulla scaltrezza, un atteggiamento che ci colpisce e un po' ci frastorna, al centro della pagina del Vangelo di Luca che abbiamo letto in cui il Signore loda il servo «scaltro» (Lc 16,1-8) - ha poi proseguito il sacerdote iniziando l'omelia-. L'espressione «ha agito con scaltrezza» riportata nel Vangelo non gode di un'accezione positiva, nel nostro linguaggio popolare la scaltrezza è identificata con la furbizia e la disonestà. Ma nel contesto evangelico assume un significato diverso: diventa la capacità di cogliere il tempo opportuno, l’impegno, la risposta e la reazione agli stimoli e agli inviti che il Vangelo ci presenta. La scaltrezza è quindi adesione piena della nostra vita e collaborazione nei confronti del Signore.
Il messaggio del brano evangelico
“Siamo senz’altro di fronte ad una parabola di difficile interpretazione, che, per tanti, potrebbe sembrare scandalosa, addirittura immorale per la lode che Gesù fa del cattivo amministratore - continua monsignor Dosi -, nonostante questi inviti a truccare i conti. Quanto devi al mio padrone?’, chiede infatti l'amministratore ad un debitore. ‘80 barili d'olio’, risponde lui, e l'altro lo esorta a modificare la ricevuta scrivendo di doverne 50”. Per comprendere la lettura dobbiamo discernere il vertice teologico presente nel racconto. Il brano stimola subito una riflessione: “perché il Signore loda il suo servo imbroglione? – si chiede il prete -. Non per la sua disonestà, ma per il modo con cui, in una situazione difficile, ha saputo destreggiarsi pensando al futuro con ingegno e realizzando quel che si era proposto. La scaltrezza va allora intesa in questo senso: viene lodato il discepolo che non vivacchia alla giornata ma che opera con determinazione e coraggio per mantenersi fedele fino alla fine, che perdona e condona tutto ai suoi simili per assicurarsi il diritto alla vita eterna. Allo stesso tempo vengono biasimati quei discepoli che si mostrano abulici, cioè indecisi nell'agire quando si tratta di occuparsi del loro destino eterno. Occorre, dunque, senza un attimo di esitazione, mettere al sicuro il proprio avvenire, assicurarsi nel tempo presente il regno di Dio amando concretamente Lui e il prossimo.
Ecco, quindi, la buona notizia: ciò che è urgente, l’azione buona, è distribuire il denaro di ingiustizia ai poveri, non conservarlo gelosamente per sé. Proprio queste parole di Gesù vogliono essere la buona notizia per i ricchi, che in questo modo sanno come devono amministrare i beni non loro: distribuendoli a tutti”.
Poi il richiamo alla biografia di San Paolo attraverso il riferimento alla Lettera ai Romani nella prima lettura, dove viene presentato il suo ministero, il suo invito ad annunciare il Vangelo a tutti; soprattutto “tra le genti”, nel mondo dei pagani. “Paolo ha incontrato il Signore sulle vie di Damasco e alla luce di questa esperienza ha aderito a Lui con decisione - ha spiegato Don Celso -, lasciando da parte tutto e buttandosi nell'annuncio del Signore. Possiamo scorgere nella decisione radicale di Paolo l'invito ad agire con scaltrezza che ci propone oggi il Vangelo. Ricordiamoci che essere credenti è un decidersi, è «mettere mano all’aratro» senza voltarsi indietro. (Lc 63 – 67). Significa prendere in mano la nostra vita e affidarla al Signore, dire un sì deciso a Cristo e costruire con Lui una relazione giorno dopo giorno. Se pensiamo alle varie espressioni vocazionali, dal sì nel matrimonio al sì nel sacerdozio, fino al sì nel contesto della comunità monastica e della vita religiosa, sono tutti modi di prendere in mano la propria vita, decisioni di fidarsi dell’altro - sia questi il Signore o il coniuge - e di costruire insieme un percorso.
“Chiediamo quindi in questo contesto di preghiera che la nostra fede e il nostro deciderci per il Signore non incontrino tanti ostacoli - esorta in conclusione -, ma trovino lo slancio e la dedizione necessari perché il nostro sì continui ad essere impegnato, determinato, costruttivo: capace, attraverso la nostra testimonianza, di rivelare l’adesione alla persona di Cristo”.
Micaela Ghisoni
Nella foto, mons. Celso Dosi nella chiesa di San Raimondo.
Pubblicato l'11 novembre 2025
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