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Cives: «La Costituzione non limita la sovranità popolare, ma permette alla pluralità di esistere»

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Non un meccanismo “intermittente” che si accende solo al momento di votare, ma un apporto quotidiano per l’edificazione della convivenza: perciò l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Il primo articolo della Costituzione, secondo Filippo Pizzolato che è professore di Istituzioni di diritto pubblico, è quello più danneggiato. “La Costituzione è stata svuotata di senso, siamo nel pieno della post democrazia”. Dietro l’angolo è lo spettro dell’autocrazia. “L’Ungheria di Orbán sta diventando sempre più un’autocrazia – osserva il giornalista Eugenio Cau – e il controllo dei media sta prendendo piede anche negli Stati Uniti”. È cominciato così il corso di formazione Cives, organizzato da Università Cattolica del Sacro Cuore e diocesi di Piacenza-Bobbio in collaborazione con la Fondazione di Piacenza e Vigevano, che per la 25esima edizione ha scelto di parlare di “Democrazia versus autocrazia”. La prolusione, nella serata del 7 novembre a Palazzo Rota Pisaroni, ha offerto un confronto a due voci tra Pizzolato, docente all’Università di Padova, e Cau, autore e voce del podcast “Globo” de Il Post.

“Nelle forme e nei limiti”

“Il ciarlatano” di Bernardino Mei è il quadro scelto dai coordinatori del corso per la copertina dell’edizione di quest’anno, illustrato in apertura di serata da Fabio Obertelli, mentre Francesco Perini ha rivelato il programma del corso. Ha portato il saluto della Fondazione di Piacenza e Vigevano la consigliera d’amministrazione Giovanna Palladini. L’incontro, condotto da Susanna Rossi, ha visto alternarsi domande ai due relatori, sollecitati in ultimo anche dal pubblico presente in sala. In Italia, secondo Filippo Pizzolato, “la rappresentanza si è presa la scena e ha confinato nell’episodicità la partecipazione come riempitivo interstiziale”. Il professore ha preso in esame due passaggi chiave dell’articolo uno della Costituzione: il fondamento, sul lavoro, e l’esercizio della sovranità che appartiene del popolo, “nelle forme e nei limiti” della Carta stessa. “Il populismo tende a parlare di popolo al singolare e fa credere che la Costituzione sia una gabbia del popolo, ma la parola «forme» indica che il popolo parla in una pluralità di modi. La Costituzione, in realtà, non è un limite alla sovranità popolare, ma è il patto che permette la coesistenza della pluralità. Parlare di popolo al singolare è già oltre i confini della democrazia”.

Il “modello cinese”

Eugenio Cau ha spiegato il meccanismo con cui Viktor Orbán sta prendendo il controllo dei media in Ungheria. “Non chiude radio e tv, ma le fa comprare da «amici», così si innesca un’autocensura. Questo sta cominciando ad accadere anche negli Usa con Trump che in campagna elettorale ha querelato l’emittente CBS”. Il caso più interessante è quello della Cina, “un Paese autoritario ma particolare, molto diverso dall’Urss: chi non si occupa di politica può vivere una vita molto buona in Cina, ma basta poco per finire nei guai col Partito comunista. Questa cosa è piaciuta e si è cominciato a parlare di modello cinese, che significa crescita economica in cambio di trascurare i diritti civili. La Cina ce l’ha fatta, ma ora le cose stanno cominciando a cambiare”.

Fraternità “anima delle istituzioni”

La grande sfida, riflette Filippo Pizzolato, è riscoprire la fraternità come “principio universale concreto”. Negli anni, ha spiegato il docente, il tema è stato controverso: si è detto che era un affare privato, oppure una faccenda religiosa. La fraternità consiste nel riconoscere un legame originale e assumercene la responsabilità. Quando diciamo che siamo tutti fratelli umani, la fraternità – per la sua assunzione di responsabilità – si misura nel particolare. Il rischio allora è che l’universalità non si incarni mai, o che il particolarismo diventi una fraternità chiusa”. Ma di fraternità c’è bisogno, nel mondo di oggi, secondo Pizzolato, “perché ci richiama costantemente all’idea che c’è una condizione che ci accomuna, un’esposizione comune ai rischi a cui tutti andiamo incontro, un legame che può essere basato su una fragilità. E, proprio in virtù di questo, esige l’assunzione della responsabilità, richiede la cooperazione come compito condiviso. La fraternità dà anima alle istituzioni”.

Un sindaco socialista a New York

Tornando alle questioni di stretta attualità, Eugenio Cau ha analizzato la recente elezione del 34enne socialdemocratico Zohran Mamdani a sindaco di New York. Uno “sconosciuto”, che nel 2024 era conosciuto solo dall’1% dei newyorkesi, e in un anno è riuscito a vincere le elezioni e dal primo gennaio 2026 sarà primo cittadino della Grande Mela. Cau premette che in realtà quella giornata, lo scorso 5 novembre, è stata “un successo per gli anti-trumpiani” grazie anche alle vittorie dei Democratici in Virginia e New Jersey. Ma il trionfo di un rappresentante della GenZ, con un passato da rapper (si faceva chiamare Mr. Cardamom), nella città più emblematica degli Stati Uniti, ha oscurato tutto il resto. “Le persone lo hanno votato per il suo messaggio, ben focalizzato su una questione cocente come il costo della vita, in una città dove l’affitto medio, nel quartiere più povero e degradato, è di 1.700 dollari al mese”. Il sottile confine tra democrazia e autocrazia è messo in pericolo, in questo caso, dalle parole di Donald Trump che ha minacciato di tagliare i fondi federali a New York. “In altre città governate da Democratici – ricorda Cau – Trump ha mandato la Guardia nazionale, giustificandola con problemi inventati, per intimidire la politica locale. Le città, da sempre roccaforti di sinistra, stanno cominciando a cedere perché chi governa dall’alto sta cercando di forzare la mano. C’è il rischio che New York diventi la cartina di tornasole della deriva autoritaria degli Stati Uniti”.

Francesco Petronzio

Nella foto, al tavolo, da sinistra: Francesco Perini, Fabio Obertelli, Eugenio Cau, Filippo Pizzolato, Susanna Rossi

Pubblicato il 9 novembre 2025

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