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Duemila persone alla festa dell'emigrante a Bardi

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Il 13 agosto la Festa dell’emigrante e delle genti della Val Ceno ha portato a Bardi circa duemila persone, provenienti dalle città del nord e poi da Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Stati Uniti, Canada, Australia, Malesia, tanto estesa è nel mondo l’emigrazione valligiana. Le distanze non affievoliscono il rapporto tra i discendenti di chi è partito già alla fine dell’Ottocento alla ricerca di fortuna e chi è rimasto.

Ha salutato tutti la sindaca Valentina Pontremoli, nel discorso ufficiale. «Ognuno di voi, che sia arrivato oggi da lontano o che viva qui tutto l’anno, è parte di una stessa grande famiglia: la famiglia della Val Ceno, che ha saputo affrontare sacrifici e lontananze, ma che non ha mai dimenticato le proprie origini». Una terra, ha proseguito, «che non è grande nelle dimensioni, ma immensa nei valori: il lavoro, la solidarietà, l’onestà, il rispetto per chi c’era prima e per chi verrà dopo. Un grazie speciale va a tutti voi che, pur vivendo lontano, portate un pezzo di Val Ceno con voi. E un grazie anche a chi è rimasto qui, custodendo la memoria e mantenendo viva questa comunità». L’auspicio della sindaca è continuare a essere «faro e rifugio per ogni cuore bardigiano nel mondo».

Per il consigliere regionale e presidente della Consulta regionale degli emiliano-romagnoli nel mondo, Matteo Daffadà, «Bardi è al centro dell’emigrazione delle valli parmensi e piacentine. Questa non è solo una festa dell’emigrazione del paese ma di tutta la nostra emigrazione che è andata nel mondo. È bello ritrovarsi qua perché si respira entusiasmo e attaccamento per il territorio». Sul palco c’erano anche i sindaci di Varsi e di Calestano e un assessore di Fornovo, rappresentanti di un territorio che sta cercando di ragionare insieme per affrontare i problemi dello spopolamento montano e del mantenimento di servizi essenziali come la scuola e la sanità.
La festa è frutto della collaborazione tra l’amministrazione comunale di Bardi e tanti volontarie e volontari che ogni giorno si impegnano nell’associazione sportiva dilettantistica Bardi, nella Pubblica Assistenza e nell’Avis. Il detto “l’unione fa la forza” ha mostrato ancora una volta la sua validità. Anche tanti ragazzi e ragazze sono stati coinvolti nel servizio della cena in piazza, con un menu vario e curato nei particolari. Nei serpentoni, che diligentemente si sono formati prima di arrivare ai banchi delle cucine e alle casse, si sono mescolate le lingue d’importazione – dal francese all’inglese all’“americano” –, le età, i colori, in un’attesa diventata occasione di conoscenza e di dialogo. Il ballo liscio, la lotteria, l’albero della cuccagna, i giochi per i bambini e le bambine sono stati gli altri ingredienti della serata all’ombra della chiesa parrocchiale e tra i giardini pubblici.

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Un libro ricorda la tragedia dell'Arandora Star

Primo importante momento della festa è stato l’incontro culturale sotto il portico di Maria Luigia dove è stato presentato il romanzo “L’ultima crociera” di Chiara Clini, pronipote di Guido Conti, uno dei 48 emigranti bardigiani periti sull’Arandora Star il 2 luglio 1940 insieme ad altri 400 italiani e altrettante vittime di altre nazionalità. La più grande tragedia dell’immigrazione italiana è stata riconosciuta nel 2020 dal presidente Mattarella che definì i morti “vittime innocenti”. Dopo la dichiarazione di guerra di Mussolini all’Inghilterra, gli italiani erano diventati “stranieri nemici” e avevano subito varie ritorsioni, tra cui gli assalti ai loro locali e il confino in campi di internamento, premessa all’espulsione verso l’Australia e il Canada.

Dopo varie presentazioni del romanzo in Italia, l’autrice, residente a Venezia, l’ha presentato con emozione «a casa», dove tra il pubblico erano presenti anche la madre, Luisella Conti, trasmettitrice con la nonna della dolorosa storia familiare, e lo zio Giuseppe Conti, responsabile del Comitato pro vittime Arandora Star. Il lavoro del gruppo ha mantenuto vivo il ricordo della tragedia, avvenuta al largo delle coste irlandesi a opera di un sommergibile tedesco, e ha trasformato un dolore e una memoria personali in una memoria collettiva. Le donne sono state fondamentali nel darle continuità: le vedove, le madri, le sorelle delle vittime, la ricercatrice Serena Balestracci che ha pubblicato la prima opera storica sull’Arandora Star (Una tragedia dimenticata), le scrittrici Caterina Soffici (Nessuno può fermarmi), Maura Maffei (Quel che abisso tace; Quel che onda divide) e ora Chiara Clini che nel suo romanzo d’esordio ha inserito la vicenda del prozio Guido Conti che donò un salvagente a un ragazzo e poi fu colpito da un legno e sparì tra le onde. Pagine intense quelle de L’ultima crociera, orchestrate dall’ autrice attraverso le proprie competenze come sceneggiatrice, la sua passione per la letteratura e la frequentazione delle Sacre Scritture nella Chiesa valdese di Venezia.

Padre Toffari, l'emigrante non è un trapiantato altrove

Anche in questa prima parte della Festa dell’emigrante la collaborazione – tra Comune, Centro studi Val Ceno, Famiglia Bardigiana – è stato un valore importante. Tra le voci convocate dagli organizzatori anche quella di padre Mario Toffari, direttore dell’ufficio Migrantes della diocesi di Piacenza-Bobbio, definito da Conti «un caro amico di Bardi». «Da quando ho conosciuto l’Arandora Star e sono stato alla cappella dei caduti – ha spiegato Toffari – ho ricevuto qualcosa di vitale che non ho potuto più lasciare, ma la visita è stata anche una miniera per cogliere alcuni aspetti dell’emigrazione che i nostri amici di Bardi ci hanno trasmesso anche nella morte. Ho sentito qui parlare della necessità del fare memoria, dell’aspetto del dono, dell’immigrato che si era realizzato, dell’importanza delle radici. L’emigrante non è un trapiantato altrove, è una pianta che ha radici là dove è nato e cresciuto. Questo mi porta a immaginare l’oggi. L’Arandora Star ci insegna che non possiamo pensare che gli immigrati di oggi siano delinquenti. Immagino l’emigrazione come una grande casa, la casa dell'umanità, dove in diverse stanze vivono diverse persone che hanno una fratellanza. Tutti noi che abitiamo questa casa del mondo siamo interdipendenti, e dalla valorizzazione di ognuno di noi – bianco, nero, giallo – si valorizza la nostra casa».

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Don Basini: siamo chiamati ad essere generatori di pace

«Parlo più da bardigiano che da vicario generale – ha detto don Giuseppe Basini –. Ringrazio tutti, in particolare Chiara Clini. Avete portato luce su una tragedia che spesso è stata dimenticata e, come è stato ricordato, fare memoria vuol dire porre le condizioni per vedere il presente e il futuro in un modo diverso. La domanda citata da Chiara nel romanzo – «Adamo, dove sei?» –, posta all’inizio del libro della Genesi, ci chiede dove ci poniamo di fronte alla realtà. Quello che ci deve muovere nel fare memoria è avere uno sguardo nel quale viene messa al centro la dignità di ogni persona e dire io da che parte sto. Oggi di fronte a quello che sta succedendo siamo chiamati a essere generatori di pace, a generare scelte di bene, a non arrenderci alla brutalità del male ma assumere resistenza come comunità, a collocarci in modo forte a favore della vita».

Laura Caffagnini

Nelle foto, dall'alto, don Giuseppe Basini alla Festa dell'emigrante a Bardi, l'autrice del libro dedicato all'Arandora Star, Chiara Clini e il pubblico presente.

Pubblicato il 18 agosto 2025

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