La vita sociale e lavorativa delle persone fragili parte dall’«abitare»: l’incontro della Fondazione La Ricerca
Abitare. È questo il passaggio fondamentale che consente alle persone fragili di integrarsi e avere una vita sociale, affettiva e lavorativa. Si è parlato di questo in un incontro pubblico promosso e ospitato dalla Fondazione La Ricerca il 13 giugno. Al centro del convegno, il progetto “Inte(g)razione. Legami per l’inclusione e l’autonomia” realizzato da Fondazione “La Ricerca” Ets in collaborazione con l’Ausl di Piacenza (centro di salute mentale Serdp – psichiatria di collegamento) e Csv Emilia, con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano. Attualmente le case per l’inserimento di persone in carico ai Servizi psichiatrici dell’Ausl di Piacenza e gestite dalla Fondazione La Ricerca sono tre e vedono anche un coinvolgimento di volontari nella vita quotidiana e in iniziative di sensibilizzazione e apertura al territorio: due sono in città (Casa Sophia, con quattro posti donne e Casa Lucia con sei posti uomini) e una (Casa Laura, con tre utenti uomini), a Ponte dell’Olio.
Da “figli di un dio minore” a cittadini “di serie a”
L’idea condivisa dagli attori di questo intervento di rete è contrastare insieme il processo di esclusione sociale aiutando le persone con disagio psichico «ad aumentare un senso di sé stabile, un senso di casa, cioè di un posto dove poter stare a proprio agio e a cui sentire di appartenere, un senso di connessione a relazioni stabili e legami sociali». Importantissimo quindi anche il ruolo complementare di volontari per attivare relazioni di aiuto e di amicizia. «Per noi è stata un’occasione enorme – ha spiegato il presidente della Fondazione La Ricerca Enrico Corti – perché, avendo una comunità di doppia diagnosi psichiatrica, ha voluto dire avviare esperienze per portare persone ritenute non solo fragili ma, mi spiace la battuta, di “serie b”, in un contesto urbano e sociale dove non solo possono integrarsi ma avviare un percorso per partecipare attivamente non solo alla vita sociale ma anche lavorativa e affettiva. E questo per noi è molto importante perché porta persone che generalmente sono figlie di un dio minore a un’aspirazione, a una vita civile a partire dall’abitare che è fondamentale per essere cittadini di “serie a”».
Il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano con il “Bando autonomie”
L’incontro, moderato da Raffaella Fontanesi del Csv Emilia, è stato introdotto dagli interventi di Elena Uber, consigliera d’amministrazione della Fondazione di Piacenza e Vigevano (e direttrice del servizio dipendenze patologiche dell’Ausl di Piacenza) e Corrado Cappa, direttore di psichiatria di collegamento e inclusione sociale dell’Ausl di Piacenza. A seguire, il personale delle tre “case” per l’inserimento ha portato la propria esperienza sui temi dell’inclusione, dell’autonomia e del “fare insieme”. Ha concluso l’incontro l’intervento del pedagogista Johnny Dotti, imprenditore sociale e docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, oltre che presidente di “È.one-Abitarègenerativo”, amministratore delegato di “On impresa sociale” e già consigliere delegato e presidente di Cgm e di Welfare Italia. «L’anno scorso la Fondazione ha voluto smettere i panni del “bancomat” – le parole di Elena Uber – e imboccare la via dei bandi per orientare le richieste. All’interno del Bando autonomie, abbiamo scelto alcuni progetti da finanziare, tra cui quello del sostegno all’abitare (della Fondazione La Ricerca, ndr), che non punta solo ad assistere le persone ma investe sul loro protagonismo. È una scommessa che si innesta in un momento storico in cui le risorse investite in questa direzione sono contingentate».
“Senza benessere la vita si spegne”
Corrado Cappa ha spiegato che il progetto mira a «mettere le radici in un contesto di vita fatto di relazioni e non solo di muri». «La psichiatria – ha detto – a distanza di oltre quarant’anni da una riforma importante (la legge 180 “Basaglia”, ndr) si allarga a popolazioni molto più ampie. Perciò vale la pena, a livello locale, praticare azioni congiunte tra istituzioni e associazioni per garantire il benessere delle persone. Il benessere che proponiamo non è individuale ma condiviso: la salute mentale di comunità, che non esclude nessuno. Includere – ha precisato – è uno sforzo attivo che chi è consapevole delle condizioni altrui deve operare. Noi abbiamo incontrato il terzo settore, i familiari, le istituzioni. Sappiamo che le persone possono soffrire o morire, e non si muore solo biologicamente, si muore anche come qualità di vita. Se una persona non acquista una situazione di benessere, la vita si spegne. Per cui, la spinta sull’abitare, insieme a quella del lavoro, va assolutamente promossa, sostenuta e ha un grande futuro: tutti noi abbiamo un luogo in cui vivere che rappresenta il nostro esistere».
Pensarsi individui attraverso gli altri
Lucia Catino, responsabile servizi adulti fragili, e Andrea Latte, psicologo, hanno parlato dell’esperienza di Casa Sophia, in via Taverna a Piacenza. «È un’idea di cohousing molto innovativa – ha detto Lucia Catino – in linea con un cambiamento sociale che credo debba avvenire, ossia pensarsi individui attraverso gli altri. Abbiamo due obiettivi: far sperimentare l’autonomia a persone con fragilità mentali e dare una valida alternativa ai progetti istituzionalizzati». «Ognuno dei progetti di cohousing della Fondazione La Ricerca – le parole di Andrea Latte – ha le proprie unicità che richiedono declinazioni diverse. Tuttavia, ci sono aspetti comuni nel nostro approccio: innanzitutto, fare in modo che gli ospiti abbiano un ruolo importante nella vita stessa della casa. E, poi, condividiamo situazioni che richiedono un forte investimento da parte sia di chi ci lavora sia di chi ci abita, è un approccio sfidante dal punto di vista educativo. Sulle regole, il nostro approccio è sempre stato ibrido nei contesti di cohousing: alcune arrivano verticalmente (dall’alto al basso) e l’ospite deve accettarle; e poi un aspetto di orizzontalità forte: gli ospiti sono chiamati a discutere con noi alcune regole, proporci modifiche, esporci difficoltà».
Tredici utenti in tre “case”
Andrea Latte ha poi spiegato i tre progetti abitativi della “Ricerca”. «Nel 2018 abbiamo aperto “Casa Laura” a Ponte dell’Olio, progetto pilota, con due inquilini; nel 2021 è stata la volta di “Casa Sophia” in via Taverna, con due inquilini. Due appartamenti in cui c’è un forte stimolo all’autonomia: le persone sono chiamate a sviluppare capacità di gestione della casa e del tempo per la spesa, i pasti e la convivenza forzata con una persona sconosciuta. La nostra presenza in “Casa Laura” è limitata nel corso della giornata, l’operatore c’è come supporto per esigenze pratiche e momenti più complessi. Caso differente è il progetto più recente, “Casa Lucia”: già “geograficamente” la casa richiede approccio diverso, essendo una palazzina di due piani con sei stanze diverse che ospitano una persona ciascuna, con spazi comuni come la cucina, il soggiorno e la sala tv. Ciò significa che ci sono compiti condivisi, e quindi una dimensione di gruppo diversa dalla dimensione di convivenza con una singola persona. Abbiamo investito molto sulla socializzazione, sul fatto che comunità sia parte della vita della città».
“Imprigionate da un mondo interiore che mangia la loro vita”
L’esperienza di “Casa Lucia” è stata raccontata dall’educatrice Anna Bianchi e dalla volontaria Anna Casaroli. «Venendo da un’esperienza istituzionalizzata, gli ospiti erano disabituati ai rapporti umani. Grazie al gran lavoro dei volontari sono stati fatti passi avanti nella socializzazione, e gli ospiti sono stati chiamati a mettere in campo doti sociali e capacità che non sapevano di avere. Un ragazzo, una volta, disse a tutti che la sera precedente era riuscito a prepararsi da solo una piadina: per loro queste piccole cose sono una conquista». Anna Casaroli ha raccontato che, all’inizio dell’attività di volontariato, si dedicò ad aiutare gli ospiti nella preparazione dei pasti. «A volte queste persone sorprendono – ha detto – sono state proprio quelle persone definite “fragili” a prendermi per mano e a portarmi dentro il loro mondo, sono persone trasparenti, non hanno maschere. E, col passare delle settimane, ho capito che è vero che si può morire anche non biologicamente vedendo queste persone imprigionate da un mondo interiore, la loro patologia, che mangia la vita. È per questo che il volontario non solo li aiuta a preparare i pasti, ma deve fare qualcosa in più dal punto di vista umano». Andrea Praolini, educatore, ha spiegato come i tre utenti di “Casa Laura”, al centro di Ponte dell’Olio, siano passati da un’esperienza non più funzionale a un’altra, molto diversa. «Queste persone sono state sradicate dalla loro routine quotidiana e sono state trasferite da Cortemaggiore a Ponte dell’Olio; ma, allo stesso tempo, per loro, è stata una rigenerazione, inseriti nel contesto di un paese che ha consentito loro di sviluppare un’autonomia».
Forme di vita più socializzate
«Siamo tutti fragili – ha osservato Johnny Dotti –. La popolazione italiana fra poco avrà una maggioranza di ultrasessantenni, e chi vive più a lungo passa gli ultimi anni in una situazione precaria e di difficoltà. Forse bisogna superare l’idea troppo rigida degli alloggi e degli appartamenti, perché ci si isola e si muore da soli». Dotti si è soffermato sulle parole “alloggio” e “appartamento”, considerandole “non adatte a definire l’abitare umano”. «“Alloggio” si usava per gli asini e i cavalli – ha detto – oggi invece abbiamo alloggi protetti, gruppi alloggio. Questa parola va eliminata, così come “appartamento”, che ha la stessa radice di apartheid e determina uno spazio separato». Il pedagogista sostiene che «non sempre bisogna fare interventi specialistici, forse alcune cose si possono fare accompagnando le persone a forme di vita un po’ più socializzate con gli altri. Perché è vero che la comunità psichiatrica, per casi molto spinti, è utile, ma è anche vero che, se si pensa alla lunghezza della vita, è inimmaginabile tenere una persona per troppo tempo in posti che hanno un assetto semiospedaliero».
Francesco Petronzio
Nella foto, da sinistra Enrico Corti, Elena Uber, Corrado Cappa e Raffaella Fontanesi.
Pubblicato il 14 giugno 2024
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