Leone XIV e «i due polmoni» della Chiesa
Decidere di chiamarsi “Leone”, significa scegliere di dare un’impronta forte, ampia, riformatrice, contemporanea, spirituale alla missione petrina. Farlo da “figlio di sant’Agostino”, come il neopontefice si è presentato al mondo, attesta poi un amore profondo, intelligente, un approccio ragionato, pensato delle grandi questioni delle fede e di una fede incarnata in una stagione ecclesiale gravida di tante attese dopo la morte di Papa Francesco.
La storia dei tredici pontefici della Chiesa Cattolica che si sono imposti il nome “Leone” è densa di fatti unici, significativi, innovativi che gioverà rimemorare. E poi, il primo e l’ultimo dell’elenco dei Leone – un auspicio per il 267° vescovo di Roma e Papa – sono da ricordare per la durata del loro Pontificato, tra i più longevi di sempre: 21 anni Leone I; 25 anni Leone XIII.
Come Leone I “magno”, il grande mediatore politico in un secolo di invasioni barbariche, il neo Pontefice dovrà e saprà difendere Roma dagli “Attila” del nostro tempo, dai nemici spirituali che inquietano il cuore della Chiesa, della storia, il cuore di istituzioni civili e politiche che alimentano paure e divisioni, il cuore di uomini e donne sempre più povere di pace perché mendicanti misericordia e giustizia.
Come Leone III, il Papa che dopo secoli non esercitò più “il potere temporale”, il neo Pontefice aiuterà la Chiesa a camminare profeticamente nel duplice registro “sociale e spirituale”, i due ventricoli del medesimo cuore, i cui battiti d’amore sono per l’uomo, per la sua salvezza, per la promozione della sua dignità integrale e trascendente.
Fu, infatti Papa Pecci, alla vigilia del “secolo buio”, il Novecento, ad accendere nella storia della Chiesa due luci specialmente attese, due fari direzionali senza precedenti: la prima Enciclica sociale “Rerum Novarum” (1891) e la prima Enciclica spirituale “Divinum Illud Spiritus” (1897).
Leone XIII pubblicò così due opere di straordinaria importanza, che segneranno e cambieranno il corso della riflessione teologica, filosofica e sociologica: come mai, prima, si cominciò a riflettere sull’uomo e sullo Spirito Santo; sul lavoro dell’uomo, “la questione operaia e le condizioni indegne dell’uomo”, e sul lavoro di Dio, “lo Spirito Santo, il grande Sconosciuto”.
I Papi del post Concilio hanno cercato di produrre una sintesi di questi due profili della Chiesa; il suo Magistero spirituale e sociale è una sorgente ricchissima e potentissima a disposizione di credenti e non credenti, la sola, oggi, che sia davvero capace di generare ideali e buone prassi in un mondo che smarrendo Dio ha smarrito l’uomo, che non sa ritornare a Dio perché non sa ripartire dall’uomo.
Papa Leone XIV non potrà non proseguire sulla rotta tracciata dai suoi più immediati predecessori, spronando la Chiesa a “ricominciare” dalla sottomissione allo Spirito di Dio e dalla missione all’uomo, a riprendere tra le mani la Dottrina Sociale della Chiesa e a interpretarla alla luce della Pentecoste, del Vangelo missionario dello Spirito Santo.
Il Pontefice ha subito invitato a “costruire ponti”, dentro e fuori la Chiesa. Ha parlato alla Chiesa e della Chiesa. “Chiesa”. Una parola tornata più volte sulle labbra del Santo Padre, come non si era udita in nessuno dei saluti dei Pontefici alla Loggia delle Benedizioni. Non estemporanea, ma “pensata e scritta” nel foglio che il Papa teneva in mano, un messaggio chiaro recapitato alla coscienza dei credenti.
Una Chiesa che in un giorno “mariano” ha vissuto un anticipo di Pentecoste, che non si ritrae in se stessa se non per sentire la voce dello Spirito che la spinge “a fare Pentecoste”, armonia di voci, di carismi, di opere, di missioni. Una Chiesa che superi improvvidi dualismi e contrapposizioni tra “spirituale e sociale”, che ritrovi “la via dei laici” ripartendo da Cristo e dall’uomo.
Salvatore Martinez
Nella foto, Papa Leone XIV mentre celebra la messa pro Ecclesia con i Cardinali nella Cappella Sistina. (foto Vaican Media /SIR)
Pubblicato il 9 maggio 2025
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