Cura, libertà, relazione
Il 15 gennaio la bioeticista Colombetti a Sant'Antonio
“Non rendiamo patologica la paura del morire. È umana. Nessuno di noi ha esperienza diretta della morte, al massimo, abbiamo esperienza di qualcuno che è morto accanto a noi. Ma la morte - non dimentichiamolo - è una dimensione del vivere. Come diceva Heidegger: «appena nato, l’uomo è abbastanza vecchio per morire». Il punto qual è allora? Che si deve fare il passaggio dal «si muore» all’«io muoio». Per questo riflettere sulla morte è impegnativo: chiama in causa la nostra libertà, la gerarchia di beni, valori, azioni”. Elena Colombetti (nella foto), docente di filosofia morale all’Università Cattolica del Sacro Cuore e componente del suo Centro di Ateneo di Bioetica, mette a fuoco la riflessione che la vedrà relatrice dell’incontro “La morte e il morire tra libertà, relazione e cura” alla sala “Bongiorni” dell’oratorio di Sant’Antonio a Trebbia lunedì 15 gennaio alle ore 21.
La serata è promossa dall’Azione Cattolica parrocchiale, guidata da Piergiorgio Visentin, nell’ambito delle celebrazioni per il patrono sant’Antonio Abate.
“Cercheremo di riflettere, in un clima dialogante e non banalizzante dei problemi – anticipa la relatrice – sulla libertà che viene messa in gioco dal morire e sulla dimensione relazionale. Le relazioni costituiscono in modo forte la nostra identità, troppo spesso invece affrontiamo le problematiche a partire dall’individuo irrelato, come se fosse una monade sospesa nel nulla. Pensare gli altri e a se stessi a prescindere dalle relazioni, significa compiere un’astrazione aberrante, nel senso che deforma la realtà stessa. Anche nel morire dunque entra in gioco la relazione e quell’orizzonte di valori che, nella relazione, ci definisce”.
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Pubblicato il 13/1/2018