«Le famiglie immigrate devono far parte della sfida educativa»
“La fiducia non è data in partenza, va guadagnata. È una questione di relazione, mettiamoci nei panni di chi deve affrontare un contesto assolutamente diverso dal proprio. La questione del rapporto scuola-famiglia è seria, c’è una corresponsabilità da costruire: mettiamo anche le famiglie immigrate nelle condizioni di partecipare a questa sfida educativa”. È il commento del vescovo mons. Adriano Cevolotto, a cui sono state affidate le conclusioni dell’incontro “La scuola protagonista dell’intercultura e della comunione tra i popoli” promosso dall’Ufficio pastorale della scuola, l’Ufficio diocesano migranti e l’Associazione Migrantes della diocesi e tenutosi nel pomeriggio di martedì 26 novembre nell’auditorium della Casa madre degli Scalabriniani a Piacenza. Dopo i saluti di padre Mario Toffari, direttore dell’Ufficio migranti della diocesi, si sono susseguiti gli interventi di Andrea Grossi, dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale di Parma e Piacenza (provveditore), Stefania Mazza, formatrice, Antonello Mortilla e Silvia Manzi, docenti, e Rita Parenti, presidente dell’associazione “Mondo aperto”. Ha moderato Claudio Ferrari, direttore dell’Ufficio pastorale della scuola diocesano. Presente in prima fila l’assessora comunale al welfare Nicoletta Corvi.
Uno sviluppo oltre le ideologie
Il convegno, come ha spiegato padre Toffari in apertura, ha l’obiettivo di “avere una fotografia della situazione reale della scuola nel territorio piacentino, attraverso le testimonianze di docenti che vivono la realtà della compresenza di più culture, di cogliere alcune prospettive di programmazioni e attenzioni che potrebbero dare un contributo di speranza per la comunione e di uno sviluppo al di sopra di ogni ideologia precostituita”. Andrea Grossi ha elencato i principali rischi a cui la gestione dell’integrazione va incontro e ha riassunto in cinque verbi l’azione che la scuola può mettere in campo: accogliere, riconoscere, tradurre, perdonare. Le difficoltà, secondo il provveditore, partirebbero dalla “limitazione” delle opportunità per un ragazzo di origine straniera a causa delle barriere linguistiche, ma anche dalla differenza di ritmo nell’apprendimento della lingua all’interno della famiglia e dalla “ghettizzazione”, ovvero dalla creazione di comunità esclusive fra persone e famiglie con la stessa provenienza.
Nella foto, Claudio Ferrari e padre Mario Toffari
Gli errori sono fondamentali per crescere
Stefania Mazza ha parlato di progettazione, che “ormai non è più esclusiva della scuola ma necessita di lavorare insieme”. “Gli adulti, prima di progettare per i bambini e i ragazzi, dovrebbero ascoltarli”, dice Mazza, che cita il pedagogista Stefano Rossi: “I ragazzi devono sentirsi accolti e ascoltati, il bisogno di ogni essere umano è quello di essere nello sguardo”. I bambini, aggiunge Mazza, vogliono essere rispettati, creduti, e che le loro opinioni abbiano valore e contino qualcosa, vogliono che si dia spazio ai loro interessi e le proprie passioni, vogliono essere creativi, usare gli strumenti del loro tempo, lavorare in gruppo e su progetti, esprimere e condividere le loro opinioni, aiutare a prendere decisioni e condividere il controllo, vogliono essere in connessione con i loro coetanei, in classe così come nel mondo, collaborare e competere con gli altri”. Imprescindibile, secondo la formatrice, è la libertà di sbagliare. “Quando la progettazione è «troppo perfetta» non funziona. Tutti possono fare errori, solo così si cresce”.
Riabilitare gli istituti professionali
“Non sono mai dovuto intervenire per sedare liti per il colore della pelle o l’etnia”, confessa Antonello Mortilla, che insegna italiano e inglese alla scuola primaria “Don Minzoni” di Piacenza, dove è referente per i bambini nuovi arrivati e con bisogni educativi speciali. “Il mio ruolo – dice – è fare in modo che bambini non si sentano abbandonati. A volte basta sedersi alla loro altezza, sorridere e fare da tramite con i compagni di scuola. Le classi della primaria di oggi rappresentano già una comunione tra popoli”. Silvia Manzi ha difeso gli istituti professionali, spesso frequentati prevalentemente da stranieri e considerati meno prestigiosi dei licei. “Mi hanno sempre detto che il trucco era stare un po’ qua (al professionale, nda) per poi andare al liceo, ai piani alti. Ho insegnato anche al liceo, perciò non voglio denigrare l’istruzione liceale, ma la visione idilliaca dei licei e screditante dei professionali è miope. Sarebbe da capire come mai l’Italia non sia in grado di garantire anche agli stranieri un’istruzione diversa da quella professionale”. Parafrasando Elio Vittorini e le sue Conversazioni in Sicilia, Silvia Manzi dice che le “armi” in mano alla scuola sono le parole e l’ascolto. “Mettiamoci al loro livello – afferma – e costruiamo progetti rivisitando il nostro modello”.
Servizi non comprensibili e case sfitte
Rita Parenti è una delle massime esperte sul territorio in materia di immigrazione e integrazione. “Per prima cosa bisogna ascoltare e capire quanto loro trovano difficile ciò che noi chiediamo. Un report dell’Accademia della Crusca dice che le leggi italiane sono quelle scritte nel modo più difficile del mondo. E invece dovrebbero essere capite da tutti. Abbiamo tanti servizi che non sono comprensibili: sarebbe utile mettere all’ufficio del comune un Qr code che rimanda a spiegazioni semplici. E poi servono porte aperte: i ragazzi stranieri non hanno nulla da fare al pomeriggio e tanto meno d’estate, quando ogni opportunità è a pagamento”. Parenti accenna infine al grave problema abitativo. “Parecchie persone vivono in condizioni non adeguate mentre tanti di noi, piacentini, abbiamo appartamenti sfitti o affittati a caro prezzo agli universitari”.
Francesco Petronzio
Pubblicato il 27 novembre 2024
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