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Don Bulgarelli: nella catechesi aprire strade nuove

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Ascolto, relazioni, domande da accogliere, più che risposte da dare e un linguaggio nuovo da trovare per raggiungere i ragazzi e le loro famiglie (magari a partire da quello che abbiamo sperimentato attraverso i social media in questo periodo di emergenza sanitaria): sono alcuni degli ingredienti che entreranno a far parte della “catechesi dopo il Covid-19”, secondo don Valentino Bulgarelli, direttore dell’Ufficio Catechistico nazionale.

— “Niente sarà più come prima”. Il Covid-19 cambierà anche il nostro modo di fare catechesi?
La riflessione è ancora in atto: è un tempo di discernimento: i vescovi ci chiedono questo: un tempo di discernimento. Da anni la catechesi era impegnata a ripensarsi e a generare un rinnovamento. Ci siamo resi conto di come alcune cose sono funzionate: la passione per la buona notizia e il tentativo di tutti i catechisti di non perdere quella dimensione relazionale e comunitaria che abbiamo percepito essere indispensabile nella trasmissione della fede. Ci stiamo accorgendo che abbiamo bisogno degli altri, della comunità. È un aspetto da non sottovalutare.

— Come se la immagina, quindi, la catechesi dopo il Covid-19?
Come Ufficio nazionale stiamo cercando di vivere un’esperienza sinodale, provando a camminare insieme agli Uffici catechistici delle Chiese locali. Può apparire difficile perché l’Italia è grande e c’è una percezione molto diversa di quello che sta succedendo, ma abbiamo bisogno di questa rete che da sempre ha animato le scelte pastorali italiane. Una rete di esperienze e confronto. Perché il rischio è quello di ricominciare come se nulla fosse. Ma non sarà possibile. Oltre a ciò, in questo momento sta emergendo la necessità che la catechesi sia uno spazio per riuscire ad accogliere le domande dell’uomo, della donna, del ragazzo del bambino che in questi tempo si sono generati. Non c’è tanto la preoccupazione di dare risposte ma di accogliere le domande. Un cantiere aperto.

— Come procederà nei prossimi mesi?
Abbiamo alcuni appuntamenti istituzionali, la Commissione episcopale per la dottrina, l’annuncio e la catechesi sta predisponendo un testo che vuole essere un tentativo di rileggere quel che è avvenuto alla luce del Vangelo: potrà essere un punto di partenza per immaginare la catechesi da settembre in avanti, un tempo nel quale i grandi assembramenti non saranno ancora possibili. Poi c’è il tema del coinvolgimento delle famiglie; i genitori in questo tempo hanno dovuto fare insegnanti, catechisti oltre a dover gestire il proprio lavoro e le dinamiche generali. E su questo va fatta una riflessione, perché abbiamo forse voluto portare la Chiesa in casa ma non sempre ci siamo resi conto che la casa ha una sua quotidianità che già può essere occasione d’annuncio. Poi c’è il tema del linguaggio, che dobbiamo rinfrescare, essere più attenti al quotidiano, ma queste sono operazioni già nate. Da ultimo abbiamo scoperto anche il senso di una fede incarnata, legata al quotidiano. E la capacità di leggere la Scrittura in un modo un po’ diverso: una Parola che da gustare, che possa consolare, mettere in movimento le persone, far sentire la presenza e la vicinanza di Dio al nostro oggi.

— Qual è dunque l’eredità di questo periodo per il mondo della catechesi?
Ci ha messo in evidenza alcuni strumenti, che tali restano. Quante volte ci siamo lamentati dei social media e di quanto tempo ci “rubano”. Ma se non avessimo avuto questa opportunità, sarebbe stato ancora più complicato raggiungere i ragazzi. È chiaro che è uno strumento e deve essere orientato. Mai come oggi l’Evangelii Gaudium diventa quel sentiero nel quale cercare di mettersi. Immaginare ad esempio una “de-scolarizzazione” del catechismo: lo diciamo da tanto, ma ora ci sono le condizioni per farlo. Quanto ci lamentiamo dell’eccessiva sacramentalizzazione dell’iniziazione cristiana? La vita spirituale è anche altro. Credo che con le opportune prudenze, con il coinvolgimento di tutti, questo possa esser un tempo propizio.

Daniela Verlicchi

Pubblicato il 18 maggio 2020

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