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Demenza: parliamone, con amore

L'ntervento della Commissione della Pastorale per la Salute 

alzheimer

Anche la Commissione della Pastorale per la Salute ricorda il valore del 21 settembre, XXVI Giornata Mondiale Alzheimer. Lo slogan di quest’anno è “Demenza, parliamone”, e allora parliamone! Non abbiamo azioni concrete da promuovere in questo momento, ma abbiamo la responsabilità di non ignorare questo tema. Sono in crescita i numeri delle persone colpite dalla malattia di Alzheimer, l’invecchiamento della popolazione e l’allungamento dell’età della vita, infatti, determinano l’incremento del numero dei malati in Italia e nel mondo. Per la demenza non esistono ancora cure risolutive e si tratta spesso di malattie lunghe e difficili da seguire. Per questo spesso ne vengono messi in risalto i costi sanitari. Al di là dei numeri, che certamente impressionano, abbiamo il compito di ricordare le persone che soffrono questa malattia: molti di noi le hanno conosciuto per motivi professionali, lavorando negli ospedali e nei servizi socio sanitari, tanti, sempre di più, ne hanno fatto esperienza per motivi familiari. Sono i nostri nonni, i genitori, gli zii, i vicini di casa. All’udienza generale dello scorso mercoledì Papa Francesco, che ricorda sempre tutto, ci ha invitato a pregare per i malati di Alzheimer. Pregare per gli altri vuol dire averli nel cuore, tenerli a mente e, se possibile, mettersi a disposizione concretamente. La prima cosa che vorremmo tenere a mente è che il malato di Alzheimer, che progressivamente perde la memoria, le funzioni cognitive e le autonomie della vita quotidiana, è una persona che soffre, spesso consapevole del suo dramma, più di quel che si può immaginare e oltre ad avere diritto alle cure, in modo continuativo e appropriato, ha diritto al massimo rispetto da parte di tutti, fino all’ultimo istante di vita. È difficile stare con una persona che gradualmente non sa più riconoscere anche i volti più familiari, che ha comportamenti strani e talvolta imbarazzanti. Fin dall’esordio della malattia chi è vicino al malato, qualunque sia il suo ruolo, deve sentirsi custode della sua dignità, portando una pazienza infinita, non rinunciando a trovare soluzioni ai problemi della convivenza e della quotidianità. Ma la comunità deve aiutarlo, standogli vicino invece che isolarlo, aiutandolo nelle piccole cose che possono dare sollievo, dando supporto alla famiglia. E ciò succede, in modo silenzioso e invisibile, e questa è una grande risorsa. Ma possiamo fare di più, anche come comunità.
Prendersi cura, questo è l’impegno di tutti: molte famiglie ogni giorno, 24 ore su 24, sono impegnate nella cura, da sole o aiutate da personale professionali, dalle badanti, dai servizi domiciliari ed è un impegno che può durare anni. Prendersi cura: è il lavoro degli medici, degli infermieri, degli operatori socio sanitari, degli animatori, dei volontari dentro le residenze per anziani, nei nuclei dedicati. Prendersi cura è anche un’attenzione pastorale. La persona è corpo e anima, sempre, e l’uno si distende nell’altra. La spiritualità, anche nella massima fragilità fisica, continua ad abitare la persona e talvolta è proprio nella memoria più profonda del malato che si conservano i segni indelebili della sua storia, di certi insegnamenti e gesti. Che il nostro sguardo sappia sempre restituire al malato che abbiamo davanti, che curiamo, imbocchiamo, laviamo, accompagniamo, la sua umanità. Siamo noi il suo riflesso, non dobbiamo spaventarlo, ma dargli sicurezza e amore. E dobbiamo usare le parole giuste, quelle che parlano di relazione, di gentilezza, di tutela, di inclusione. Demenza, parliamone, con amore.

Pubblicato il 20 settembre 2019.

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