Perché in Paradiso
si entra poveri
Dal Vangelo secondo Matteo (5,1-12)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte:
si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli.
Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e,
mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate,
perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
La nostra vita e la Parola
Le Beatitudini. Sappiamo bene che le beatitudini sono l’apertura del grande discorso della montagna. Quindi, come in uno spartito all’inizio si trova la chiave che permette di leggere tutto quello che segue, così all’inizio del grande discorso di Gesù c’è la chiave per leggere ciò che viene detto dopo. Proprio per questo probabilmente le beatitudini costituiscono uno dei brani più difficili da commentare. Dall’approccio che si ha con questo testo si comprende che lettura si dà dell’intero Vangelo. Dobbiamo ammettere che l’approccio al Vangelo è stato ed è spesso moralistico, quasi che le parole di Gesù siano una legge da mettere in pratica. Addirittura le beatitudini vengono assimilate ad un manifesto politico, un marxismo ante litteram: la promessa di un riscatto dei poveri e degli afflitti che con l’intervento di Dio verranno riscattati se non nella vita presente almeno in quella futura. Eppure le beatitudini non sono una legge, non impongono nulla, non spingono in una direzione, ma riconoscono un fatto.
Beati i poveri, beati gli afflitti: sono condizioni che di per sé non dipendono in primo luogo dall’uomo, ma nelle quali si manifesta l’elezione di Dio. Io posso spogliarmi di qualche cosa, posso fare penitenza ma non sarò mai un vero povero o un vero afflitto. È una condizione in cui mi trovo quella nella quale Dio manifesta se stesso. Lo si comprende molto bene anche nell’ultima beatitudine, quella che riguarda i perseguitati: non c’è persecuzione che io possa procurarmi da solo. È a causa mia e del Vangelo che venite perseguitati, dice Gesù.
Il cuore del Vangelo. L’incontro e il rapporto con la persona di Gesù sono il cuore delle beatitudini. Il dono della beatitudine - l’essere figli - viene comunicato a coloro che sono stati scelti. È Dio che nel suo Figlio si dona all’uomo e riversa il dono dello Spirito Santo che è la beatitudine che trasforma il cuore. La povertà, l’afflizione, la purezza di cuore, la mitezza sono sì le condizioni in cui Dio si rivela ma sono anche il frutto dell’azione di Dio nell’uomo per mezzo dello Spirito Santo che è l’amore.
È l’amore che, a partire dalla povertà che l’uomo vive, lo rende sempre più povero, cioè meno padrone di se stesso per possedere il vero bene che è lo Spirito, che lo rende sempre più puro e mite, cioè mosso semplicemente dall’amore con cui viene amato. La vita cristiana, l’incontro con Cristo e la sua presenza in noi, non è quindi una rivincita per il povero e l’afflitto, ma l’anticipo, la caparra di ciò che vivremo quando entreremo pienamente nella vita di Dio. Come diceva don Divo Barsotti: “siamo poveri oggi per essere più poveri domani. Saremo poveri totalmente, non avremo più nulla, non avremo che Dio”. Questa è la meta, la direzione e il cammino.
Don Andrea Campisi