Costanza Miriano sabato 9 in San Raimondo
La scrittrice Costanza Miriano, ideatrice del “monastero wi-fi“, apre nella chiesa di San Raimondo sabato 9 luglio il triduo in preparazione alla solennità di San Benedetto abate, nel decennale di rifondazione del monastero benedettino guidato dalla abbadessa Madre Maria Emmanuel Corradini. Alle ore 21, nella chiesa di Corso Vittorio Emanuele II a Piacenza, incontro sul tema “La preghiera è essenziale per il cristiano come lo è un monastero per una città”.
Il 10 concerto con il Vox SILVAE ENSEMBLE
Domenica 10 alle 8.30 Terza meditazione di Madre M. Emmanuel; alle 9 messa. Alle 17.30 Primi Vespri di S. Benedetto. Alle 21 concerto “Pax Christi veniat“ con Vox Silvae Ensemble.
Lunedì 11 messa con il Vescovo
Lunedì 11, alle ore 6.15, Lodi e meditazione di Madre M. Emmanuel; messa alle 7. Alle 19 Vespri solenni e messa presieduta dal vescovo mons. Adriano Cevolotto. Al termine, rinfresco nel chiostro.
Di seguito l'intervento di Madre Maria Emmanuel Corradini sul concetto di pace secondo San Benedetto.
La Pax in San Benedetto
La pace è una forma di relazione fra gli esseri umani che solo Dio può rendere possibile, perchè per noi peccatori può sgorgare solo da Dio, da una redenzione operata da Dio, perché la pace nasce da una relazione “innocente”, nel senso lettera le della parola latina “innocens”, che vuol dire una relazione che non nuoce, che non fa il male all’altro. Nella sequenza di Pasqua, Victimae paschali, c’è una frase molto intensa: “Christus innocens Patri reconciliavit peccatores - Cristo innocente ha riconciliato i peccatori col Padre”. È l’innocenza di Cristo, è Cristo che non nuoce, il Signore della pace, che ci riconcilia col Padre, ci redime, e così ci rende innocenti come Lui, redenti dal male, e quindi capaci di relazioni di pace. Gesù nel Battesimo, e in tutti i sacramenti, “ci tocca nella nostra realtà personale” e ci trasforma “radicalmente” in Figli di Dio. Dio trasforma la nostra relazione con Lui, rendendola filiale e questo ci rende soggetti di relazioni nuove, trasformate, con ogni essere umano. Quest’opera trasformante di Cristo “modifica così tutti i nostri rapporti”, il che vuol dire che tutti gli uomini diventano per noi fratelli e sorelle. Dal Battesimo, deve però nascere la vita nuova, la vita che corrisponde a questa natura nuova di noi stessi, a questa natura di grazia di noi stessi. La nostra libertà è chiamata a dire di sì a quello che siamo per Cristo e in Cristo, a quello che siamo nel rapporto filiale col Padre che Cristo ci dona, a quello che siamo nel dono dello Spirito che abita in noi, che geme in noi, che prega e ama in noi, pur dentro il cammino della vita e attraverso tutte le nostre e altrui fragilità.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.” (Gv 15,9-12)
È nella relazione fraterna che diciamo di sì all’amore di Dio per noi, e che consentiamo a diventare figli del Padre. Questo per noi significa anzitutto consentire alla conversione che il Padre ci domanda: la conversione alla fraternità in Cristo che l’amore del Padre rende sempre possibile amandoci e perdonandoci tutti per primo. Quindi, la pace nasce e rinasce da rapporti rinnovati, dal rinnovarsi dell’incontro, della relazione fra le persone, come appunto il padre della parabola del figlio prodigo fa di tutto per ristabilire l’incontro e la relazione fraterna fra i due figli, al di là dell’istinto divisore della gelosia, dell’egoismo, della sete di potere e di prevalenza. Questo è veramente il punto cruciale del nostro impegno per la pace: dare la nostra vita per vivere e costruire dei rapporti umani animati dalla comunione fraterna che Cristo ci dona e ci chiede. È un impegno che parte dalla preghiera, perché umanamente non ne siamo capaci. Noi diveniamo innocenti solo se iniziamo dall’essere “concordi nella preghiera” (At 1,14), e riceve dallo Spirito Santo la grazia di essere “un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32). Ed è questa la pace che ciascuno di noi deve costruire con la sua vita.
La Pax benedettina, è sempre stata considerata un po’ la caratteristica principale del monachesimo secondo San Benedetto. Ma forse non ci si chiede abbastanza perché e in che senso.
Cerchiamo di capirlo nella Regola
San Benedetto parla per la prima volta della pace nel Prologo. Queste prime istruzioni tratte dal salmo 33 sono dunque: “Se vuoi avere la vita vera ed eterna, trattieni la tua lingua dal male e le tue labbra non proferiscano menzogna. Distogliti dal male e fa’ il bene, ricerca la pace e perseguila !” (Prol. versetto 17; Sal 33). La pace è una forma di relazione fra gli esseri umani che rinuncia al male. Qui san Benedetto insiste sulla necessità di questa “innocenza”, di questa rinuncia a nuocere, a fare il male, per iniziare un cammino di pace. Il male che distrugge la pace è il male che possiamo provocare e intrattenere nelle relazioni, soprattutto con la parola che dice il male, che proferisce la menzogna. La parola che fa male è la parola che ferisce e uccide la relazione, che rompe la comunione con l’altro, perché è una parola priva di carità, priva di perdono. La violenza inizia là dove permettiamo al male di rompere la relazione col fratello, di rovinarla, di renderla falsa. È lì che rifiutiamo la pace. E manchiamo di fede perché se noi preghiamo per l’altro nasce in noi la pietà e non il giudizio.. la mormorazione.. Dio può tutto, anche cambiare il fratello…
Cerca la pace e perseguila
La pace non è quindi un bene che possiamo tenere fra le mani, che possiamo possedere: è un bene da cercare e da seguire, da costruire da scegliere.. decido di amare. Questo è un aspetto della pace che percorre tutta la Regola. La pace non è mai un bene posseduto una volta per tutte, non è un tesoro che possiamo chiudere nei nostri forzieri. La pace è una realtà che va sempre ricercata. La pace, quindi, non è opera nostra, non è un prodotto delle nostre mani, non è qualcosa che viene da noi; dobbiamo chiederla e accoglierla da un Altro. Inoltre decidere di amare e scegliere la pace è rinnegare se stessi.. ricordiamocelo.. perché la frase “ho ragione io” non porta alla pace
Nel capitolo 4 sugli strumenti delle buone opere, san Benedetto ci offre due parole molto illuminanti sulla pace.
La prima è: “Non dare una pace falsa” (RB 4,25) e la seconda è: “Ritornare in pace con chi si è in disaccordo prima del tramonto del sole” (4,73).
E’ inevitabile che si abbiano più problemi con chi ci è vicino che con chi ci è lontano. È lo stesso nelle famiglie: col tempo, spesso è più difficile il rapporto con il proprio marito o la propria moglie che con chiunque altro al mondo. La pace è qui presentata come una dimensione alla quale ritornare e nella quale rientrare, come due fratelli che la sera tornano a casa dopo una giornata di lontananza e di divisione. Ritornare nella pace: anche qui la pace non è in noi, non è nostra, non è nelle nostre mani: è piuttosto la casa del padre a cui ritornare e nella quale i “discordanti” ritrovano la comunione. La dis-cordia è la divisione dei cuori. Il suo contrario è la con-cordia, la comunione dei cuori. Nella dimora della pace di Dio, ciò che è diviso si ricompone. Il fratello o la sorella dal cui cuore il mio cuore si è staccato, nella pace lo ritrovo, ritrovo il suo cuore e il mio cuore, uniti oltre noi stessi. La giornata al suo tramonto allora non finisce male, e la notte sarà abitata da una luce nuova, più luminosa delle nostre tenebre. Ecco la necessità di recitare il Padre Nostro perché vengano superate ogni spine di contesa.
“Non dare una pace falsa”
Ma quando è veramente falsa la pace che diamo?. La pace è falsa quando abbiamo la pretesa di dare all’altro una pace che è iposcrita , di maschera, solo per salvarci la faccia in quel momento. La Regola dice che gli angeli riferiscono tutto a Dio. Bontà vera, servizio vero non dei bei modi che dietro non hanno spessore o tante volte contengono mormorazione.. uno non cammina spiritualmente. Diventa un abito che cammina.. vuoto. Notiamo che questo strumento delle buone opere, san Benedetto lo inserisce fra due altri molto significativi: “Nell’amore di Cristo pregare per i nemici” (RB 4, 72) e “Mai disperare della misericordia di Dio” (4,74). La pace è possibile solo se è generata e alimentata dall’amore e dalla preghiera di Cristo e dalla misericordia invincibile del Padre. La pace è vera quando la chiediamo al Signore: all’amore crocifisso di Cristo che prega per i nemici; alla misericordia del Padre che vuole riunire tutti i suoi figli nella sua casa; alla comunione dello Spirito che riconcilia i cuori divisi. È sempre necessario che la preghiera che si apre alla pace di Dio si inserisca nella ferita della discordia, della divisione fra le persone e i popoli, affinché Dio possa trovare al fondo di questa ferita l’umile acconsentimento che permetta alla sua pace di penetrare il mondo
La pace cioè non è una semplice “spiritualità”, bensì una dimensione della vita. Bisogna riconciliarsi con il proprio passato.. coi torti ricevuti, o dati. Consegnare tutto a Dio. Purificare la memoria, altrimenti non saremo mai donne o uomini di pace.
San Benedetto raccomanda allora a tutta la comunità di guardare a se stessa come a un corpo composto da varie membra, nel quale la vita circola nella misura in cui circola l’amore. La fragilità o la forza delle membra di un corpo non sono in contrapposizione, in conflitto, ma sono condivise nell’unica vita donata a Cristo e redenta dal Suo amore. Quando si ha questa coscienza di comunione nel vivere in comunità o in famiglia, i sentimenti di divisione diventano assurdi. L’essere contenti o scontenti non è più un sentimento degli uni contro gli altri, perché domina il sentimento della comunione, che implica la condivisione e la compassione. Quando domina lo sguardo benevolo gli uni verso gli altri che non si lascia turbare dalle differenze di talenti, di beni degli altri anzi si gioisce. Ma così, san Benedetto ci fa capire che tante volte noi perdiamo la pace, proprio su queste cose. Esserne coscienti è di un’importanza “mondiale”, perché quasi tutte le liti e le guerre nascono proprio da una sete di possesso e di dominio che perde lo sguardo sulle persone, che guarda più alle cose che alle persone. Tutte le guerre nascono in fondo dalla riduzione dell’altro a quello che ha, soprattutto al potere che ha. Ma questa riduzione dell’altro è anche una riduzione di se stessi, perché vuol dire che pure per se stessi non si concepisce un valore più grande di quello che deriva da ciò che si ha o non si ha.
San Benedetto, ci indica che dal cuore dell’uomo può scaturire una guerra mondiale. Che differenza c’è in fondo fra la gelosia e concupiscenza che posso avere riguardo a ciò che possiede il mio fratello o sorella o i miei parenti o vicini di casa e la gelosia e concupiscenza di una nazione, di una superpotenza, riguardo a ciò che possiede un’altra nazione, un’altra superpotenza? È lo stesso meccanismo, la stessa logica di peccato, con la differenza che di quello che avviene fra me e il mio fratello o la mia sorella sono responsabile io. Una responsabilità che sembra insignificante, senza nessuna influenza sul mondo; ma chi mi dice che una guerra mondiale non sia il risultato finale di tanti impercettibili conflitti di potere e di possesso fra i quali ci sono anche i miei segreti conflitti quotidiani, i miei pensieri, il mio sguardo invidioso e sprezzante verso il fratello che mi è prossimo?
Piccoli atti di amore e sacrificio ci salvano
I Santi ci hanno indicato e testimoniato come i piccoli atti di amore e di sacrificio posti nelle mani di Dio diventa strumenti di salvezza per molti. San Benedetto ci chiede proprio una conversione in questo. Ci chiede un lavoro per aprirci alla pace nella vita quotidiana della nostre comunità e nelle nostre famiglie. Ci chiede di imparare a guardare alle persone senza ridurle a quello che hanno, ci chiede di guardare alle loro qualità e alle loro fragilità ai loro reali bisogni.
San Benedetto ci insegna allora che i meccanismi della guerra passano per il cuore dell’uomo. Ma ci insegna anche, e soprattutto, che pure la pace del mondo passa per i nostri cuori. Un cuore che dice di no alla tristezza della concupiscenza del possesso che non vede più il fratello ma le cose che ha; un cuore che dice di no alla gelosia che fece di Caino l’assassino di suo fratello Abele, diventa seme della vittoria della pace per il mondo intero. La pace di Dio si posa sull’umanità quando l’uomo rinuncia a definire il valore di se stesso e degli altri con la misura del possesso, del potere, di quello che si ha: beni, cariche, onori... Comprendiamo allora che quello che ci chiede qui san Benedetto, questo lavoro continuo sul sentimento e lo sguardo che abbiamo nei confronti dei fratelli e sorelle, del marito o della moglie non è solo per essere bravi, non è solo per raggiungere una santità personale: è per la salvezza e la trasformazione del mondo intero, è per favorire la pace del mondo intero.
Madre Emmanuel Corradini
Abbadessa del Monastero
benedettino di San Raimondo
Pubblicato il 7 luglio 2022
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