Da San Colombano impariamo ad essere tessitori di fraternità
Dai luoghi colombaniani d'Irlanda all'alta val Tidone la cui storia è stata segnata dalla presenza dei monaci che da Bobbio hanno diffuso il carisma del santo evangelizzatore dell'Europa: il vescovo mons. Adriano Cevolotto ha celebrato a Pecorara la messa per il patrono del Comune Alta Val Tidone. La data, il 18 luglio, sarebbe quella in cui, secondo la tradizione, nel 929 sono passate in questi luoghi le spoglie di Colombano portate dai monaci di Bobbio in solenne processione a Pavia, davanti al regnante Ugo di Provenza. La messa, concelebrata dal parroco di Pianello don Luigi Bavagnoli, da don Luigi Lazzarini, da don Mario Dacrema e da don Jean Marc Kasidicoco Ketikila, è stata contrassegnata dall'offerta dell'olio per l'accensione della lampada da parte del sindaco Franco Albertini e dalla consegna della onorificenza dedicata a San Colombano a Valentino Matti (nella foto sopra, la premiazione), iniziatore dell’associazione LaValtidone, anima del volontariato locale, che si è segnalato anche per gli aiuti portati in Congo e per aver reintrodotto in val Tidone la coltivazione dell'olio, donando anche un frantoio alla sede di Castel San Giovanni all'Istituto professionale per l'agricoltura "Marcora".
Il coraggio di partire dalle nostre sicurezze
Il Vescovo, nell'omelia, ha ripreso alcuni spunti del suo recente pellegrinaggio in Irlanda, a partire dalla meta finale, Bangor, laddove Colombano partì, a 50 anni, ormai 1500 anni fa, per portare il Vangelo nel Continente. Come accadde ad Abramo, al quale Dio disse che sarebbe stato benedizione per tutti coloro che lo avrebbero incontrato, così Colombano lascia il suo monastero, una posizione di prestigio, le sue sicurezze, fidandosi di Dio. “La vita per tutti noi è sempre scommettere su una Parola, su un futuro che non vediamo. Ogni volta che abbiamo il coraggio di salpare dalle nostre sicurezze per arrivare a costruire qualcosa di nuovo, la benedizione del Signore ci accompagna", ha richiamato mons. Cevolotto. Ecco allora che da Colombano ci arriva anzitutto la sollecitazione ad avere il coraggio di partire e di lavorare - come lui ha attraversato terre diverse e incontrato popoli diversi, in guerra tra loro - per l'unità.
L'orso ammansito
Il dipinto di Colombano collocato accanto all'altare richiama invece al "miracolo" dell'orso ammansito, su cui il monaco poggia il gioco per arare (nella foto sopra). “Se l'orso rappresenta coloro che ci sono di ostacolo, che sentiamo ostili, nemici, ecco che Colombano converte l'orso, perché collabori all'aratura. Prendiamola come una parabola: anche in una comunità ci sono divisioni, tensioni, opposizioni. Se le alimentiamo, le divisioni perpetuano il male. Ma possiamo spezzare questo circolo, le differenze possono diventare una risorsa per il bene di tutti". Colombano rilancia dunque alla comunità civile e religiosa il compito di tessere una trama di fraternità, di relazioni riconciliate. Il Vescovo ha fatto l'esempio del parroco cattolico di Bangor: in una terra in passato profondamente ferita dalla divisione tra cattolici e protestanti - la chiesa cattolica di Bangor venne perfino incendiata - il parroco si impegnò a costruire il "muro della riconciliazione", con tutte quelle figure, incluso Colombano, che hanno lavorato per unire, non per dividere. E che, alla messa celebrata da mons. Cevolotto nei giorni scorsi, ci fosse anche il sacerdote anglicano di Bangor è uno dei frutti di quel cammino di riconciliazione.
Mons. Cevolotto ha poi evidenziato un altro punto fondamentale: Colombano, nel suo pellegrinaggio per le strade d'Europa, porta il Vangelo. “Sceglierlo come patrono vuol dire allora essere consapevoli che abbiamo un dono da portare. Il Vangelo non si impone, lo si offre. Quando noi stessi diventiamo Vangelo, la realtà può trasformarsi. La testimonianza di un santo non si vive come in un museo, deve diventare vita”.
Pubblicato il 18 luglio 2025
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