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«L’amore non avrà mai fine»: testimoni di speranza alla Sala dei Teatini

 

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Una serata intensa, fatta di voci, esperienze e riflessioni che hanno saputo accendere il cuore e la mente, si è svolta, il 3 luglio, presso la Sala dei Teatini a Piacenza. L’incontro, alla viglia della festa patronale di Sant’Antonino, dal titolo “L’amore non avrà mai fine”, è stato promosso dal Comune di Piacenza e dal settimanale Il Nuovo Giornale, con il contributo musicale di Elisa Del Corso (voce) e Lorenzo Geroldi (pianoforte) che hanno saputo offrire momenti di emozione e respiro attraverso la musica. A moderare l’evento è stata la giornalista Barbara Sartori, che ha accompagnato i presenti in un viaggio tra parole, vita vissuta e spiritualità.

San Vincenzo, uomo di fede e di azione

Al centro della serata, la figura di San Vincenzo de’ Paoli, uomo di fede e azione, che continua a parlare anche al nostro tempo. L’intervento principale è stato affidato a padre Nicola Albanesi, superiore del Collegio Alberoni e teologo, che ha tracciato le linee essenziali dell’eredità spirituale e umana di San Vincenzo. Ci sono storie che ci ricordano come le grandi trasformazioni nascano spesso da piccoli gesti, da scelte controcorrente, da uno sguardo nuovo sulla realtà. È quello che ha voluto raccontare padre Albanesi, attraverso la vita e l’eredità di San Vincenzo de’ Paoli. In un tempo in cui la povertà era vista come una minaccia all’ordine pubblico, - ha sottolineato padre Nicola - nel 1653 il cardinale Mazzarino, primo ministro di Francia, propose un progetto ambizioso: un enorme ospedale generale che accogliesse 27.000 poveri di Parigi. Non per curarli, ma per toglierli dalla strada, per contenerli. In pratica, una forma di reclusione sotto la maschera della carità. Ma San Vincenzo non ci sta – ha rimarcato il superiore del Collegio Alberoni. Per lui i poveri non sono un fastidio sociale, ma persone da amare. Propone un’alternativa radicale: un piccolo ospedale, 20 uomini e 20 donne, da seguire con cura, rispetto, e amore. Perché, diceva, non si può amare 27.000 persone in un colpo solo, ma si può iniziare dai piccoli numeri, e da lì trasformare il mondo.

La lettura del Vangelo

Questa attenzione alla persona, alla concretezza della vita, si riflette anche nel modo in cui San Vincenzo ha vissuto la sua vocazione. Non basta riceverla, - ha evidenziato padre Albanesi - bisogna coltivarla giorno per giorno. E per farlo serve un linguaggio, una spiritualità che parli al cuore. Oggi, molti giovani cercano un senso, ma - per il teologo vincenziano - spesso mancano le parole per esprimere le domande più vere. Anche San Vincenzo, da giovane prete, si sentiva impreparato. Ma grazie a un accompagnamento spirituale, alla lettura del Vangelo e a esperienze pastorali vere, ha maturato uno sguardo di fede capace di riconoscere la presenza di Dio in ogni cosa – anche nel volto più sofferente e disumanizzato di un povero.

La vocazione di Padre Nicola

Questa stessa forza trasformante del Vangelo l’ha sperimentata lo stesso padre Nicola da giovane ragazzo durante una missione popolare vincenziana. Aveva 16 anni e ascoltando alcuni missionari predicare nel suo piccolo paese, ha sentito nascere dentro di sé una domanda nuova, un desiderio di “essere di più”. Da lì il cammino nei gruppi giovanili, le esperienze di servizio, fino alla decisione di entrare nel Collegio Alberoni, senza sapere bene dove stava andando. Anni di amicizie, discernimento, crisi, e alla fine una scelta: fidarsi di Dio e dire sì alla vocazione sacerdotale.

Le testimonianze

A seguire, le testimonianze di alcuni testimoni della carità attiva nella realtà piacentina hanno dato voce a quell’“amore che non avrà mai fine” raccontato nel titolo.

Don Adamo Affri, cappellano della casa circondariale delle Novate, ha condiviso l’esperienza di accompagnare spiritualmente chi vive il carcere, luogo di sofferenza ma anche di possibili rinascite. È un ambiente – per don Affri – dove l’amore si fa ascolto, silenzio, presenza discreta. È un terreno dove i semi del Vangelo possono ancora germogliare.

Itala Orlando, responsabile della Pastorale della Salute della diocesi, ha parlato del dolore e della speranza che si incontrano ogni giorno negli ospedali e hospice. La cura vera - per Itala - nasce solo da una relazione, da uno sguardo che riconosce l’altro come unico e irripetibile.

Ha toccato il cuore il racconto della famiglia di Davide Cantarelli e Alessandra Turetta, la cui storia ha preso forma alla Casa della Carità. Lì, dove si intrecciano vite e percorsi di fragilità, è nato un amore che ha saputo diventare casa, accoglienza, apertura. “Abbiamo ricevuto molto – hanno raccontato – e oggi cerchiamo, nel nostro piccolo, di restituire con gratitudine”.

Infine, Alessandro Repetti, capo scout della parrocchia di Sant’Antonino, insieme ad Anna Chiara Aspetti, hanno descritto l’esperienza del loro gruppo nell’organizzare momenti di incontro e condivisione con gli ospiti della Mensa della Fraternità di via San Vincenzo e con i parrocchiani. Mettersi a tavola insieme – per Alessandro e Anna Chiara – significa capire che la carità non è dare qualcosa, ma è farsi prossimi, abbattere i muri dell’indifferenza.

Una serata che ha ricordato a tutti che l’amore vero – concreto, fedele, gratuito – non finisce mai, perché ha la forza di rigenerare vite, comunità e speranze. Proprio come insegnava San Vincenzo.

Riccardo Tonna

Nella foto, la giornalista Barbara Sartori e padre Nicola Albanese.

Pubblicato il 5 luglio 2025

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