Madre Emmanuel: «La crisi come tempo di grazia e incontro con Dio»
“Chi di voi non ha mai avuto crisi nella vita?, così Madre Emmanuel Corradini lo scorso sabato 4 novembre ha subito sollecitato i fedeli venuti ad ascoltare la sua lectio nel monastero piacentino di San Raimondo. “Ciascuno di noi può attraversare diversi momenti di crisi, ma presto o tardi arriva per tutti la crisi della propria vita, a cui si possono dare risposte diverse: alcuni si buttano nelle passioni, per altri l'estrema difficoltà può trasformarsi in un tempo di grazia, di cambiamento di sé e di incontro con Dio”.
“La crisi come tempo di grazia” è stato il tema affrontato dalla Madre in una chiesa gremita di persone. Un passaggio difficile quello della crisi, che la suora ha spiegato ispirandosi soprattutto all'esempio di Mosè, fuggito a quarant'anni dall'Egitto per vivere da straniero in terra di Madian; fino a quando Dio non gli ha parlato.
L'esempio di Mosè
“Sappiamo dagli Atti degli Apostoli che Mosè era molto bello – ha spiegato - . Ebreo, venne raccolto dalla figlia del Faraone e per due volte prese le difese degli ebrei oppressi, anche uccidendo un egiziano: ma i suoi propositi di salvezza non furono compresi dal proprio popolo. Così Mosè fuggì dall'Egitto e passò quarant'anni nel deserto non sapendo più chi era, non sentendosi né ebreo né egiziano. Mosè scappa dall'Egitto, ma non fugge da sé stesso, dalla sua paura, dalla sua tentazione. Il problema, il pericolo è proprio questo: non basta fuggire, se si porta con sé quello che ci fa scappare”. Mosè quindi fugge dal suo fallimento umano, interiore ed esistenziale – sottolinea Madre Emmanuel – e vive l'esperienza della crisi. In greco la parola 'crisi' significa valle della decisione, la scelta a cui Dio ci porta sprofondandoci nelle tenebre”.
Come affrontare i momenti di crisi
Poi l'abadessa con il suo discorso ha parlato al cuore di ciascun ascoltatore. “Quante volte capita verso i 40, 50 anni di sentirsi incompleti per non aver generato, o di chiedersi il senso della vita e rimpiangere le scelte compiute davanti a situazioni di difficoltà, malattia, morte. Tutti entriamo nella vita con il desiderio di fare qualcosa di grande, per noi e per gli altri, ma poi questo sentimento si spegne: perché costruiamo la nostra vita e persino la santità a nostra misura, anziché a misura di Dio. E allora alla prima crisi ci accorgiamo di essere lontani dalla santità, nonostante sacrifici e preghiere, vediamo che il nostro cammino non è andato come immaginavamo e inizia lo scoraggiamento. Tutto in noi vacilla, perfino la fede: ma è proprio la crisi il momento in cui si deve decidere se rimanere chiusi in se stessi, oppure accettare di aprirsi a Dio ed entrare nella lotta. La crisi è indispensabile nella vita dell'uomo – diceva Taulero - , domenicano del '400 citato dalla Madre - : fa crollare il castello di carta umano e spirituale di ciascuno mettendo l'umo a tu per tu con sé stesso e con Dio”.
“Diversi i modi possibili di esprimere la crisi – ha detto poi la superiora - . La prima tentazione è di voler vivere il proprio fallimento da spettatori”, dando la colpa al contesto in cui si vive: alla famiglia, alla comunità di appartenenza, al lavoro. Il nostro problema resta così fuori da noi stessi, ma attribuendo la responsabilità della crisi alla realtà che viviamo ne prendiamo gradualmente le distanze. Ci separiamo dagli affetti, dalla chiesa, dalle attività lavorative piuttosto che cercare di trarne forza per rialzarci. Al contrario si può reagire alla crisi “gettandosi nell'attivismo”: ci si butta nel lavoro per non pensare. “Non c'è niente però di più pericoloso dell'incapacità dell'uomo di restare da solo con sé stesso”, ci ricorda Pascal. È da questa inadeguatezza che nasce infatti l'accedia, dicono i padri del deserto citati dalla madre: “quell'atonia della vita e dell'anima”, per cui non si riesce ad instaurare un rapporto equilibrato con il tempo e lo spazio. Una totale apatia buia in cui non esistono stimoli, dove niente è tanto bello da illuminare lo sguardo, ma nulla è così terribile da suscitare il pianto.
“Come fare allora ad uscire dalle tenebre”? - ha fatto riflettere la madre - . Bisogna innestare un processo lento, ma efficace di accettazione di sé e dei propri limiti, coltivando una disciplina quotidiana che permetta di uscire da sé stessi attraverso il disbrigo delle piccole mansioni di ogni giorno. Ma soprattutto non dobbiamo dimenticare, come diceva Taulero, che la crisi non va nascosta o allontanata in fretta. Occorre affrontarla come possibile momento privilegiato di incontro con Dio e una vita spirituale vissuta alla ricerca della verità aiuta ad uscire dal buio.
Dio cerca persone umili
“Noi cristiani cerchiamo troppo spesso una vita spirituale a nostra misura – ha sottolineato la suora - vogliamo che ci accontenti, che ci faccia stare bene. Ma la strada più efficace da percorrere è quella che fa male, perché dice la verità su noi stessi e fa breccia nel cuore: alla luce della Parola di Dio, dell'eucaristia e della preghiera”.
Così è accaduto a Mosè - continua Madre Emmanuel - , la crisi l'ha portato ad una visione più realistica e profonda di sé e di Dio. Cristo permette le difficoltà proprio perché noi facciamo un salto più grande di fede e amore verso di Lui”. Dobbiamo buttarci tra le Sue braccia senza la pretesa di comprendere tutto, nella consapevolezza che Dio c'è. Lo ha fatto Maria, ricorda la superiora, accettando di essere Madre di Dio e lo fanno tutti gli uomini di fede. Lo ha fatto Carolina Nobile, violinista di fama internazionale morta giovanissima di tumore: “sono guarita nell'anima” , scrive la ragazza al risveglio da una crisi cerebrale in ospedale. “Io confido nel Signore e, pur nel mio percorso difficile e tormentato, riconosco sempre il Suo aiuto.” Ecco la grazia della fede, il miracolo.
Quando Mosè vede il roveto ardere nel deserto – riprende il suo esempio la Madre – sono passati quarant'anni, ormai è anziano, ma la sua vita cambia proprio in quel momento. Prima spaventato dalle fiamme, poi è attratto e si avvicina. Alla voce di Dio che dice di togliersi i sandali, lui, il lottatore,il bello, obbedisce umile. Mosè affida a Dio le redini della propria vita, consapevole che le incertezze divine sono preferibili alle certezze umane”.
Dio cerca quindi umiltà, uomini disarmati che si consegnino a Lui deponendo il proprio io. Bisogna comprendere che solo attraverso le contrarietà, la crisi appunto, si può conoscere veramente Cristo e per farlo abbiamo bisogno di sentire un'autentica commozione del cuore verso il Suo amore e il Suo dolore. E la preghiera è necessaria nel cammino di Fede – ha concluso l'Abbadessa – , perché gli occhi dell'anima siano preparati a vedere il volto di Dio.
Micaela Ghisoni
Pubblicato l'8 novembre 2023
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