La Casa di Betania, immagine guida del percorso sinodale
È stato un viaggio emozionante attraverso le Scritture, l’incontro sul tema “Nella casa di Betania”, del 15 giugno nel salone del Seminario di via Scalabrini, organizzato da Il Nuovo Giornale e dalla scuola di Formazione Teologica della Diocesi di Piacenza-Bobbio, guidato da Marialura Mino, docente bresciana di Sacra Scrittura. Attraverso le sue parole, fondate su una profonda conoscenza biblica, e dal suo entusiasmo contagioso, Mino ha offerto un contributo al Cammino sinodale, che ha scelto proprio la casa di Betania, dove vivevano i tre fratelli Marta, Maria e Lazzaro, grandi amici di Gesù, come immagine-guida legata al percorso dei “Cantieri” di lavoro che orientano la vita della comunità cristiana.
L’evento, introdotto da don Davide Maloberti, direttore del Nuovo Giornale, è riuscito ad immergere i presenti nelle vicende dei tre fratelli di Betania, vivendo le loro emozioni e le sfide spirituali che hanno affrontato nella loro relazione con Gesù.
La casa un luogo di inclusione
“Commentare la Scrittura con i contributi iconografici è una grande avventura”: così ha iniziato la biblista Mino, cercando di far emergere le tematiche presenti nel Nuovo Testamento relativi a Betania.
Cosa c’è dietro a Betania? Si è domandata Marialaura che ha cercato di far comprendere i tre testi riferiti all’episodio di Marta e Maria, alla resurrezione di Lazzaro e all’unzione di Betania, per portare i presenti a cogliere un significato esistenziale, adatto alla vita di oggi.
“A Betania c’è una casa - ha precisato Mino - e questa è il luogo dell’incontro con Gesù. Il cristianesimo è la religione della casa: un luogo inclusivo, anche al tempo di Cristo, dove uomini, donne, giudei e pagani potevano essere accolti indistintamente”.
La biblista ha delineato i tre episodi di Betania con l’aiuto dei dipinti e li ha immaginati come un trittico con a sinistra l’incontro di Gesù con Marta e Maria, a destra l’unzione di Betania e al centro la resurrezione di Lazzaro.
Marialaura Mino ha sviscerato questi testi evangelici, mettendo, per il suo significato simbolico, alla fine l’unzione di Betania.
Marta e Maria
Marta, un'anima generosa e attiva, rappresenta - sintetizziamo le parole della docente di S. Scrittura - l'incarnazione delle responsabilità quotidiane e dell'ospitalità che dobbiamo coltivare nella nostra vita. Insegna che il servizio amorevole e l'impegno per il bene degli altri sono fondamentali nel percorso di fede.
Maria, invece, incarna l'aspetto contemplativo e la sete di conoscenza spirituale. La sua scelta di sedersi ai piedi di Gesù, ascoltando le sue parole con attenzione e devozione, ci ricorda l'importanza di trovare il tempo per coltivare una relazione intima con Dio, abbandonandoci alla sua presenza e nutrendo la nostra anima con la sua Parola.
La risurrezione di Lazzaro
Il quadro centrale del trittico, - ha sottolineato Marialaura - formato dalle scene ambientate nella casa di Betania, è dedicato alla risurrezione di Lazzaro. Nel racconto, ampio, dettagliato, è come se l’evangelista avesse voluto dipingere un quadro con tutti i colori della sua tavolozza. In particolare, ritroviamo qui i temi caratteristici dei racconti della passione-morte e risurrezione di Gesù, a partire dai discorsi d’addio. Un concentrato straordinario, che ruota attorno all’evento incredibile, inaudito, della risurrezione di un uomo morto da ormai quattro giorni, evento capace di scuotere in profondità tutti gli attori del dramma narrato e di avere ripercussioni sull’intera vicenda del Cristo.
Nell’incontro con Maria, sorella di Marta, - ha commentato la Mino - figura piuttosto silenziosa, che piange la morte di Lazzaro, Gesù crolla. Cristo si commuove profondamente, è turbato e quasi adirato contro il male, che strappa gli uomini via dal mondo, dagli affetti, che semina sofferenza e pianto. Di fronte all’evidenza della morte e al suo dolore indicibile, lui stesso scoppia in pianto.
Nel grido di Gesù: “Lazzaro, vieni fuori!”, - ha spiegato la biblista - sentiamo la voce del Verbo-Logos divino che chiama con forza l’uomo-Adamo, ogni uomo, fuori dalla prigione della morte.
L’unzione di Betania
Maria, donna del silenzio, - sintetizziamo le parole della biblista - è capace di gesti forti: prende 300 grammi di puro nardo e li versa ungendo i piedi di Gesù.
Si tratta di un gesto eclatante: il nardo profumo pregiato, costava tantissimo ed era
conservato per la sepoltura dei propri cari. L’unguento, un bene prezioso, veniva custodito con cura e Maria lo versa tutto sui piedi di Gesù, ed il profumo fortissimo riempie la casa. In questo modo Maria riconosce che Gesù è profeta, sacerdote e re; è il Kyrios, colui che deve venire. Cristo ha risuscitato suo fratello Lazzaro e Maria non ha più bisogno di tenere l’unguento. Ella riconosce - ha proseguito Mino - il Dio fatto uomo, Colui che ha potere di vincere la morte. Nelle parole di Gesù, in cui dice che Maria ha fatto questo gesto per il giorno della sua sepoltura, si comprende che Cristo si innalzerà dalla Croce, e la risurrezione porterà a compimento la sua vita.
Maria ha compreso tutto questo e versa il profumo perché Gesù è il Risorto: ha capito il senso della nostra fede che è fondata proprio su questo.
Pietre vive
Dopo l’intervento della biblista Marialaura Mino, Daniela Sfolcini, ha portato la sua testimonianza, nata dalla frequentazione della Scuola di Teologia per laici della diocesi di Piacenza-Bobbio dove ha compreso l’importanza di diventare “pietra viva” nella chiesa.
Partendo dalla prima lettera di Pietro e dal salmo 117 dove si parla di pietre vive, ha ricordato a tutti che non siamo semplici spettatori nella nostra comunità cristiana, ma siamo chiamati a diventare protagonisti attivi, a costruire insieme la chiesa.
“La mia voglia di approfondire la fede - ha affermato Sfolcini - nasce dall’esperienza della sofferenza, del dolore e della morte che ho vissuto come infermiera alla Fondazione Verani Lucca di Fiorenzuola d’Arda. Durante il momento drammatico della pandemia di Covid, ho fatto un’esperienza molte forte e tutte le mattine, quando con le colleghe ci ritrovavamo, dicevamo siamo: “Siamo ancora qua”. Infatti non ci siamo mai ammalate ed abbiamo continuato a curare e dare sostegno agli ospiti. Da qui è nato il desiderio di diventare “pietra viva”, di comprendere meglio la fede, di viverla appieno ed ho accettato l’invito a partecipare alla Scuola di teologia. È stata una grande opportunità per capire che ognuno non si salva da solo, ma siamo parte di una comunità”.
Daniela Sfolcini ha dimostrato che la Scuola diocesana di formazione teologica non è solo un luogo di studio, ma una fucina di trasformazione spirituale. La sua testimonianza ha messo in evidenza che, come pietre vive nella comunità cristiana, tutti possono vivere il cammino di fede: un viaggio che non ha mai fine, una chiamata che continua a crescere ed agire con amore nelle comunità cristiane.
Riccardo Tonna
Pubblicato il 17 giugno 2023
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