Don Giancarlo Plessi prete da 40 anni
Quest’estate lo aspettano al Meeting di Rimini per la terza volta consecutiva. Parlerà del valore dell’amicizia insieme al giornalista Egidio Bandini, grande esperto di Guareschi. Don Giancarlo Plessi, classe 1957, originario di Castel San Giovanni, sacerdote da 40 anni, è parroco a Besenzone e amministratore di San Martino in Olza, Mercore e Bersano ai confini con la diocesi di Fidenza: “Si parlerà - spiega - del rapporto conflittuale, ma che in realtà era grande amicizia, tra don Camillo e Peppone. Io parlerò della mia amicizia con Cristo”.
I chierichetti a Morfasso
— Sei entrato prestissimo in Seminario, alle medie. Che cos’era accaduto?
Era il 3 ottobre 1969 e iniziavo la seconda media. Tutto è partito quando avevo 9 anni. Non andavo sempre a messa ma due miei amici, Angelo (oggi don Angelo Bertolotti, ndr) e mio cugino Delio, mi avevano invitato al mese di maggio nella chiesa di San Rocco. Lì ho conosciuto don Aldo Concari, curato di mons. Daturi; con la sua grande carica umana appassionava tutti noi ragazzi. Così ho iniziato ad andare a messa ogni giorno al mattino.
Finita la prima media, sono stato alla tre giorni diocesana dei chierichetti a Morfasso, dov’era in vacanza in quei giorni il cardinal Oddi. Qualcuno gli aveva fatto sapere che c’erano quattro ragazzi di Castello, me compreso, che dopo la terza media sarebbero entrati in Seminario, ma lui capì che se decidi una cosa, è bene metterla subito in pratica. Così ha chiamato don Aldo e ha insistito perché entrassimo in Seminario senza aspettare troppo. Solo io, quel momento, ho fatto quel passo.
— E i tuoi come hanno reagito?
Mia mamma piangeva, mio papà, un socialista, reduce dal campo di concentramento di Dachau in Germania durante la guerra, mi ha detto: “rispetto la tua scelta, ma non girarti mai indietro”.
A Varese da Manfredini
— Come sono andati i primi tempi?
Un mese dopo il mio ingresso abbiamo partecipato a Varese all’ordinazione episcopale del nuovo vescovo Enrico Manfredini. Rimasi impressionato dalle dimensioni del Vittorione. Quando poi arrivò a Piacenza, Manfredini volle che i seminaristi l’8 dicembre andassero nelle parrocchie a raccontare la propria vocazione. E io a soli 13 anni parlai nella chiesa di San Pietro. Degli alunni di quegli anni, una sessantina in tutte le medie, siamo diventati preti in tre: oltre a me, don Mauro Stabellini e don Marco Guarnieri.
Don Cesare Ceruti era il rettore e don Ferrando il suo vice. Poi gli incarichi passarono a don Francesco Cattadori e don Roberto Mazzari.
— Che esperienza hai vissuto?
Sono stati anni stupendi, di bella amicizia, in un clima aperto a tutti i movimenti e le associazioni. Partecipavamo alle Mariapoli e a tante altre esperienze. Nel ’75 è accaduto un fatto che mi ha segnato. Paolo VI, che aveva sotto gli occhi la crisi della Chiesa, per l’Anno Santo ha invitato i giovani a Roma. Da Piacenza sono partiti tre pullman con Gioventù Studentesca. Don Giussani aveva subito risposto all’appello del Papa.
Bruno Ognibeni, che era arrivato a Piacenza su invito di Manfredini, aveva già un posto prenotato ma era influenzato, così mi ha detto: “vai tu”. Mi sono ritrovato su quel pullman anche con qualche amico di Castello, dove era già arrivato don Luigi Chiesa. A Roma tra quei diecimila giovani che ballavano sotto la pioggia pensavo di essere capitato in un manicomio. Sono stato incuriosito da quell’esperienza e mi sono lasciato coinvolgere.
La vicinanza del Movimento mi ha aiutato tanto. Quei giovani che giravano con il Libretto delle Lodi sempre in tasca, il modo con cui visitavano gli ammalati, l’incontro con Giuseppe Carini di Roveleto... Tutto ciò mi ha tenuto in piedi.
“Lo sappiamo che sei di CL!”
— In quali parrocchie sei stato come seminarista?
A Gropparello e a Lugagnano. A Gropparello don Giulio Melfi è stato per me un padre. Andavo su in corriera al sabato dopo le lezioni, viaggiavo con i ragazzi che tornavano da scuola. Alla domenica sera tornavo in autostop, ma spesso mi accompagnava Giovanni Marchioni, uno dei catechisti che aveva già la patente.
A Lugagnano era appena partito per fare il parroco a Rivergaro don Angelo Ferrari, da tutti molto amato. Il suo omonimo, don Angelo Ferrari senior, l’aveva sostituito. Appena arrivai, mi sentii dire: “lo sappiamo che sei di CL!”. Niente male come accoglienza. Sono stati tre anni bellissimi, don Angelo aveva seminato bene. Io non ho mai fatto propaganda per CL, come diceva Giussani tutto si diffonde per osmosi. È nata lì l’amicizia con Fausto Arrisi, oggi parroco a Podenzano.
— Prima di diventare prete il 25 marzo dell’83, nel settembre ’82 approdi a Pianello.
Arrivavo dopo don Maurizio Noberini, a cui i giovani erano legatissimi. Sono stati anni meravigliosi a fianco di don Luigi Molinari. Lavoravo per la pastorale giovanile dell’alta val Tidone. Il progetto di Manfredini, nell’individuare un prete per i giovani di un’intera valle, nasceva, da un lato, dal vedere il calo delle vocazioni, dall’altro, dal desiderio di non perdere i giovani.
È di quegli anni il Direttorio di pastorale giovanile, ripartiva la marcia Castel San Giovanni-Strà dopo una lunga pausa, organizzavamo le veglie di Avvento e Quaresima con i giovani e tanti viaggi e pellegrinaggi. A Vernasca e in val d’Arda, anni dopo, è partita l’esperienza del “Voyager” alla scoperta delle bellezze artistiche dell’Italia.
Sempre a Pianello avevamo fondato il Centro culturale San Colombano e Radio Patriots, con l’antenna di 16 metri ad Arcello; si sentiva fino alle grotte di Postumia...
Sulle orme di Tonini
— Nell’89 il passaggio a Salsomaggiore...
Lì c’era come parroco don Cesare Rampini. Mi sono occupato dell’oratorio Don Bosco costruito da Tonini negli anni ’50. C’erano rimasti solo il bar e la squadra di calcio, era ormai un carrozzone abbandonato.
Ho cominciato con la messa tutti giorni nella cappella, da lì è ripartito tutto, con il la partecipazione dei ragazzi e un lavoro culturale che ha coinvolto anche le storiche Terme Berzieri. L’obiettivo, come ha sempre insegnato don Giussani, è valorizzare tutto ciò che di bello c’è in un territorio, la sua memoria del passato, la sua cultura, i talenti artistici. Come diceva Giovanni Paolo II, occorre rendere di nuovo cultura la fede.
Così è nato l’Happening dei giovani, con duemila persone che lo visitavano, 160 volontari, e poi le mostre, il doposcuola “La bottega dei miracoli”, i centri estivi, le vacanze insieme.
— Cosa cerca la gente in un sacerdote?
Il segreto è esserci. I giovani sono generosissimi, ma per coinvolgerli devi lavorare in prima persona. Inizi a tagliare l’erba e poi chiedi a qualcuno di darti una mano.
Così, ad esempio, è accaduto nei 15 anni come parroco a Vernasca, dal ’97 al 2012 per la sistemazione di tante chiese della zona e nel coinvolgere in una proposta i giovani della val d’Arda.
La questione è sempre l’incontro con Cristo, aprire il tuo cuore all’evento, a Lui, ma noi preti a volte siamo i primi che non ci crediamo...
A Besenzone, dove sono arrivato nel 2012, dalla gente ho imparato che il prete è colui che dona i sacramenti. Che sia bello o brutto, antipatico o simpatico, è l’uomo di Dio. Ciò che conta è che ci sia nei momenti cruciali della vita.
Tortelli o anolini?
— Per molti sei l’uomo della tavola. Tortelli o anolini?
Anolini per San Biagio, tortelli e lasagne d’estate, ma io sono un carnivoro, amo le grigliate, la porchetta, i secondi.
Lo stare a tavola nei momenti di festa però è una conseguenza dell’eucaristia che si vive insieme. A tavola ci si conosce e si ritrova la famiglia allargata di tutta la comunità, si invitano gli amici, ed è bello che ciascuno si senta responsabile: chi cucina, chi sistema i tavoli, chi fa le pulizie.
La parrocchia è il luogo in cui si evidenzia la vocazione di ciascuno. Sulla porta del nostro oratorio, costruito da don Silvio Losini e completato da don Francesco Pallastrelli, c’è scritto: Chi non ha niente da fare, lo vada a fare da un’altra parte”.
— Raccontaci un incontro inatteso.
Quello con Sgarbi nella notte di Natale del 2020 in pieno Covid. Mi ha suonato il campanello a mezzanotte. Io ero a letto, mi sono alzato e abbiamo mangiato del culatello. Ci siamo conosciuti grazie all’avvocato Sforza Fogliani. Quando lo incontro - ci siamo visti tre volte - lo tempesto sempre di domande. E poi i tanti amici, il rapporto con Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà, e con mons. Luigi Negri. Diverse volte quando ormai viveva a Milano, dopo aver lasciato la guida della diocesi di Ferrara, diceva a chi lo accompagnava: “Portami da don Giancarlo”, e capitava qua. L’amicizia è una cosa sacra.
Davide Maloberti
Nelle foto, un primo piano del sacerdote e Giancarlo Plessi con il parroco mons. Luigi Molinari a Pianello nei primi anni ’80.
Pubblicato il 6 aprile 202
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