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Suor Gervasia nell'inferno di Rebibbia

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Chi era davvero suor Gervasia Asioli, la “suora postina” di Rebibbia, la “mamma dei detenuti”, come la chiamavano in tanti? A rispondere è il nuovo volume in uscita per Marietti1820 venerdì 5 settembre, “Una suora all’inferno. Lettere dal carcere a suor Gervasia Asioli” (sopra, la copertina), che raccoglie un’eccezionale selezione di lettere scritte da carcerati – pluriomicidi, ex terroristi, boss mafiosi, detenuti comuni – a una religiosa radicalmente diversa da ogni stereotipo.

Curato dai giornalisti Gabriele Moroni, inviato de “Il Giorno”, ed Emanuele Roncalli, per lunghi anni caposervizio de “L'Eco di Bergamo”, con prefazione della magistrata e deputata Simonetta Matone, il libro apre uno squarcio inedito sulla spiritualità e sull’umanità reclusa nelle celle italiane tra gli anni Settanta e i primi Duemila. Nelle lettere, spesso strazianti, a volte poetiche o intrise di sarcasmo, emerge il ritratto di una donna capace di vivere il Vangelo accanto ai più dimenticati: non giudicava, non chiedeva cosa avessero fatto. Si preoccupava solo di alleviarne le sofferenze.

Centinaia di lettere, dai terroristi degli anni Settanta ai detenuti comuni

Religiosa delle orsoline, insegnante in scuole d’élite, Gervasia lasciò la cattedra per dedicarsi completamente a emarginati, tossicodipendenti, rom e detenuti. Ogni sabato si recava in carcere, spesso in autostop, per portare sigarette, vangeli, parole, abbracci. E riceveva centinaia di lettere: confessioni intime, racconti di disperazione, desideri di riscatto. A volte anche solo uno sfogo.

Tra i mittenti figurano nomi che hanno segnato la cronaca giudiziaria e politica italiana: Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, Vincenzo Andraous, Gilberto Cavallini, Domenico Papalia, e molti altri. Ma accanto alle firme note ci sono le voci anonime dei “sepolti vivi” dei braccetti d’isolamento, dei carcerati di Trani, dell’Asinara, di Ariano Irpino. Dalle loro righe emerge un’umanità frantumata, in cerca di redenzione.

«Nelle lettere dei detenuti si leggono preghiere, riflessioni su Dio, sulla giustizia, sulla colpa, ma anche poesie, disegni, pensieri sulla vita fuori – spiegano i curatori Moroni e Roncalli –. Questo carteggio è il ritratto di una relazione potente tra chi ha sbagliato e chi non ha mai smesso di guardarli come persone». Una relazione fondata sulla fiducia e sulla misericordia, come testimonia una delle lettere-testamento di suor Gervasia: «Ringrazio tutti, chiedo perdono e perdono tutti. Viva simpatia e un po’ di umorismo che ci fa toccare e accettare i limiti. Credo che siamo più deficienti che cattivi: Dio ci vuol bene».

La prefazione di Simonetta Matone, magistrato di sorveglianza

Tra i documenti più toccanti, le missive dal 41-bis, le lettere di chi ha partecipato agli scioperi della fame, i racconti dei suicidi in cella, le parole di chi ha perso tutto e trova nella religiosa l’unico appiglio. Fioravanti scrive: «Sicuramente quel ragazzo non conosceva una suora Gervasia...», dopo l’impiccagione di un giovane compagno di detenzione. E ancora: «Ogni alba che spunta è sempre una bella giornata. Anche nella peggiore delle carceri dell’uomo».

La prefazione firmata da Simonetta Matone – magistrata di sorveglianza negli anni Ottanta – offre uno sguardo diretto sulla relazione tra lei e suor Gervasia: «Fu lei a farmi conoscere storie estreme e drammatiche che mi hanno accompagnata per tutta la vita. Era una suora rivoluzionaria. Politicamente scorretta. Cristiana militante».

A 15 anni dalla sua morte, Una suora all’inferno restituisce voce e dignità ai detenuti e illumina la figura di una donna capace di vivere fino in fondo le parole evangeliche: “Ero carcerato e mi avete visitato”.

Il libro non è solo un documento storico e sociale, ma una testimonianza spirituale viva e scomoda, un invito a guardare oltre le sbarre.

Pubblicato il 2 settembre 2025

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