Festival del Pensare Contemporaneo. «Sì all’intelligenza artificiale a scuola, ma non facciamoci sostituire»
L’intelligenza artificiale può entrare nella scuola? La risposta è sì, ma con moderazione. Questo, in estrema sintesi, è il punto d’arrivo del dibattito “La scuola alle prese con l’intelligenza artificiale” che si è svolto nella mattinata di sabato 21 settembre all’Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano all’interno del Festival del Pensare Contemporaneo. Tutti docenti i relatori: Daniele Bruzzone, ordinario di pedagogia generale e sociale alla facoltà di Scienze della formazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore ed esperto di filosofia dell'educazione, Giulia Lorenzoni, docente e autrice con un Ph.D. in anglo-irish literature, e - in videoconferenza - Adriano Fabris, ordinario di filosofia morale presso il Dipartimento di civiltà e forme del sapere dell’Università di Pisa ed esperto di etica delle nuove tecnologie. Ha moderato l’incontro la giornalista Marzia Foletti.
Gli studenti interrogano Joyce con ChatGpt
“Ho portato l’intelligenza artificiale in classe – racconta Lorenzoni – con un progetto creativo su James Joyce, cercando di abbinare i libri alla tecnologia, l’insegnamento tradizionale a ChatGpt. I ragazzi hanno iniziato a fare domande personali a Joyce, trattando l’intelligenza artificiale come un essere umano”. Al feedback positivo degli studenti è però seguita, tempo dopo, una reazione diversa. “Due mesi più tardi, abbiamo iniziato un progetto diverso e l’entusiasmo non c’era più. Questo mi ha fatto pensare che alla meraviglia spesso si è sostituita la sorpresa. Ma se quella sorpresa si ferma, e non si produce la meraviglia che apre nuovi spazi del pensiero, allora penso che forse non sono stata capace io di sviluppare questo tipo di capacità”.
L’IA come supporto, “non facciamoci sostituire”
Qual è oggi la sfida della scuola? “Insegnare a relazionarsi ai nuovi dispositivi in modo corretto”, risponde Adriano Fabris. Per porci in modo corretto di fronte all’intelligenza artificiale, “innanzitutto, non dobbiamo cercare di antropomorfizzarla, bensì insegnare ai nostri ragazzi che questi sistemi sono altro dall’essere umano. Sono sistemi supportati da programmi di apprendimento con determinate capacità, ma l’uso della parola «intelligenza» è fuorviante”, specifica Fabris, che in passato ha collaborato con esperienze formative della Fondazione Golinelli – uno dei partner del Festival del Pensare Contemporaneo – per la formazione di studenti e docenti. “La Fondazione – spiega – ha sviluppato corsi in partenariato con il Ministero dell’Istruzione e del Merito per aiutare i docenti a orientarsi nelle diverse forme e applicazioni dell’intelligenza artificiale”. Qual è il rischio? “Dobbiamo stare attenti a non farci sostituire – dice Fabris – possiamo usare l’IA come sostegno, supporto e affiancamento, ma il rischio è delegare a tal punto da generare una sostituzione. Così perdiamo un pezzo della nostra umanità e generiamo un «deskilling» che non vogliamo dai nostri ragazzi”.
Quali competenze dovranno avere i ragazzi in futuro?
Bruzzone evidenzia come, a differenza di altre tecnologie “che hanno invaso le vite dei ragazzi, come internet, videogiochi e smartphone, stavolta siamo partiti per tempo. La differenza la facciamo sempre noi – dice – non possiamo aspettarci che una legge stabilisca quello che dovremmo fare noi attraverso l’educazione (si riferisce alla decisione del ministro Valditara di bandire i cellulari in classe, ndr). Dobbiamo interrogarci, piuttosto, su quali sono le competenze che i ragazzi dovranno avere in futuro e gli effetti che l’uso massiccio dell’IA può generare: la scuola deve continuare a esercitare una funzione controciclica, andare cioè nella direzione opposta al trend. Se l’IA ci renderà meno capaci di pensare e meno propensi a leggere, scrivere, riflettere, meno autonomi nelle decisioni, forse in questo la nostra umanità ci perderà. Anche se, come dice Federico Faggin, neanche la forma più evoluta dell’IA potrà sostituire l’uomo, perché libero arbitrio, coscienza di sé, dubbio e sentimenti sono cose che, almeno per il momento, sono proprie solo dell’umano”.
L’intelligenza artificiale può sostituire gli insegnanti?
“L’anno scorso – ricorda Bruzzone – abbiamo fatto un convegno con i ragazzi scuole superiori di Piacenza e abbiamo portato il nostro piccolo robot antropomorfo, chiedendo a ragazzi di interagire con lui. Ho notato che la loro attenzione non era tanto sull’aspetto funzionale, quanto su quello relazionale: cercavano di toccarlo, di porgergli la mano. Il processo di apprendimento non comporta solo aspetti cognitivi ma anche relazionali: noi ci evolviamo grazie alle relazioni. Se in aula viene meno l’atmosfera emotiva, se si smette di coltivare la conoscenza come sentimento, c’è il rischio di impoverire l’azione. I docenti non possono essere sostituiti, a patto che riescano a stare in questa relazione”.
“Modificare la didattica, più peso all’esperienza”
“Credo che la didattica abbia bisogno di essere modificata – sostiene Lorenzoni – l’esperienza dovrebbe diventare centrale. Personalmente, sono resistente a insegnare l’empatia e la resilienza, perché credo siano esperienze che si fanno da quando si è piccoli”. L’intelligenza artificiale può essere, tuttavia, un valido supporto anche a scuola. “Ci può essere uno strumento che semplifica un testo in inglese, ad esempio. I docenti, anche di sostegno, sono facilitati nel produrre materiali utili alla personalizzazione. Ma sul piano delle esperienze, dobbiamo tornare alla lettura e alla letteratura, che è la simulazione della vita reale. Possono diventare due momenti separati del momento di classe: l’esperienza, leggendo le storie, e la lezione, dove la personalizzazione entra più nel dettaglio tecnico”.
Francesco Petronzio
Nelle foto, l'incontro all'auditorium della Fondazione: in alto, da sinistra Marzia Foletti, Giulia Lorenzoni e Daniele Bruzzone (l'altro relatore era in videoconferenza) e il pubblico in sala.
Pubblicato il 23 settembre 2024
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