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Dieci luoghi, da qui l’Italia è cambiata nel Novecento: ecco «Ripartire da qui» delle edizioni Low

Dadati Paraboschi Menzani

Nessun luogo è troppo isolato per fare la storia. Nessuno è troppo piccolo per rimediare a un’ingiustizia. È questo il filo che lega i dieci reportage raccolti da Giovanni Battista Menzani e Gabriele Dadati nel libro “Ripartire da qui”, l’ultima creatura delle piacentine edizioni Low. Dieci luoghi in cui, nel corso del Novecento, qualcuno si è rimboccato le maniche per cambiare le cose non tanto per sé, ma per le persone che aveva attorno. Sono tutti luoghi in cui qualcuno ha provato a fabbricare giorno dopo giorno una società diversa, un futuro migliore. C’è la Barbiana di don Milani, la Gorizia di Franco Basaglia, ma anche la Cinisi di Peppino Impastato e l’Ivrea di Camillo e Adriano Olivetti. C’è Genova, con don Gallo, c’è Sesto San Giovanni, la “Stalingrado d’Italia”, e la prima cooperativa italiana di Altare (Savona). E poi Vermicino (Roma), La Martella (Matera) e Casa Cervi (Gattatico, Reggio Emilia).

I luoghi parlano ancora

Gli autori sono andati nei luoghi, li hanno visitati, ascoltati e vissuti per qualche giorno per raccontarne l’oggi, ovvero come sono resistiti, cosa sono diventati, come si sono trasformati. A trascrivere su carta le esperienze sono Simone Marcuzzi, Lucia Tilde Ingrosso, Marco Peroni, Giuliano Pavone, Antonio Paolacci e Paola Ronco, Lorenzo Calza, Elisabetta Paraboschi, Nicolò La Rocca, Giampaolo G. Rugo e Paolo Landi. Giovanni Battista Menzani e Gabriele Dadati hanno presentato il libro a Piacenza insieme alla giornalista Elisabetta Paraboschi, autrice del reportage su Casa Cervi, il 28 marzo alla limonaia di Palazzo Ghizzoni Nasalli.

Un libro “cooperativo”

“Undici autori hanno esplorato questi luoghi per provare ad ascoltarli, a vedere cosa resta da quelle esperienze, se c’è ancora qualche segno visibile – ha spiegato lo scrittore Gabriele Dadati, che è nel comitato di redazione di Low –, cosa resta nei fatti, come le persone che vivono lì conservano la memoria e se c’è un insegnamento”. È un libro a più mani, che Dadati definisce “cooperativo” legandone il significato all’origine della casa editrice Low, nata alcuni mesi fa dall’esperienza di Officine Gutenberg, storica cooperativa sociale di Piacenza. Perciò, ha sottolineato lo scrittore, “questo libro è importante nel progetto editoriale di questo nuovo marchio, perché nel dna di una cooperativa sociale c’è il fare insieme. Ci piacerebbe, almeno una volta all’anno, pubblicare un nuovo libro cooperativo”. Gli ha risposto Giovanni Battista Menzani, che di Low è direttore editoriale, ironizzando sulle difficoltà logistiche. “I libri cooperativi sono molto faticosi da realizzare, e poi non sarà semplice fare le presentazioni”. E poi ha aggiunto: “Alcune di queste storie sono ancora attuali. I servizi di welfare che Olivetti ha progettato insieme alla fabbrica di Ivrea pare che negli Stati Uniti e in Giappone siano ancora replicati”. Parla direttamente all’attualità la storia di Franco Basaglia, che tra gli anni ’60 e ’70 ha compiuto una vera e propria rivoluzione per liberare i malati psichiatrici dai manicomi, poi aboliti. “Oggi abbiamo una situazione simile in molte carceri – afferma Dadati –, sebbene in tante altre ci siano esperienze virtuose. Non dimentichiamo che i percorsi rieducativi riducono drasticamente le recidive”.

Fratelli Cervi: agricoltori innovativi e antifascisti

Quella che si vive entrando a Casa Cervi è “un’esperienza immersiva, che racconta le anime che sono ancora vive”. La casa dei sette fratelli e dei genitori Alcide e Genoeffa si trova ai Campirossi, nelle campagne reggiane, fra Gattatico e Campegine, e oggi è un museo. “Mi sono chiesta: perché si va a casa Cervi? – dice Elisabetta Paraboschi – La risposta me l’ha data Albertina Soliani, presidente dell’Istituto Alcide Cervi: «Veniamo a Casa Cervi perché cerchiamo ciò che abbiamo già trovato, il valore della libertà». E in effetti noi andiamo a Casa Cervi con l’idea di entrare in un universo valoriale che fa riferimento all’antifascismo, alla democrazia, alla pace. È vero, ma non dobbiamo trascurare il cambiamento agrario portato dai fratelli Cervi, che si fanno portavoce di una rivoluzione con un modo diverso di ripensare il loro lavoro e il loro rapporto con la terra. Oggi ne restano i segni, come il piccolo trattore che si trova appena si arriva a Casa Cervi. Aldo, uno dei fratelli, l’aveva acquistato. Era una cosa strana, in un periodo in cui la prassi era noleggiarli”.

Le donne della Resistenza e della Memoria

Un altro aspetto da cui si può ripartire, suggerisce Paraboschi, è il ruolo delle donne. Si riferisce alle quattro vedove che, dopo la fucilazione dei mariti avvenuta il 28 dicembre 1943. “Accanto agli uomini, che ben conosciamo per le loro idee, ci sono le donne, che operano sottotraccia. Non ricordiamo neanche i loro nomi, ma sono loro il vero nervo della memoria successiva. Continuano a resistere, come avevano fatto i mariti e i cognati. Non abbandonano i Campirossi, anche se le violenze continuano. Stanno lì e cercano di dare concretezza al sogno della famiglia: comprare il podere e la casa. E ci riescono”.

Francesco Petronzio

Nella foto, da sinistra Gabriele Dadati, Elisabetta Paraboschi e Giovanni Battista Menzani.

Pubblicato il 29 marzo 2024

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